Выбрать главу

— Serifice è morta — dice Clay, alzandosi, spazzolandosi la sabbia di dosso. — Ma vorrei rivedere gli altri. In realtà non volevo abbandonarli. Andiamo.

13

Marciano diretti verso nord, almeno per quanto riesce a stabilire Clay. Siccome lo sferoide non è particolarmente portato alla conversazione, Clay si dedica a un tentativo di analisi razionale delle sue esperienze a partire dal momento del risveglio. Cerca di ricapitolare, dividendo in categorie gli eventi. Classifica le varietà di cosiddette forme "umane" da lui incontrate; considera le varie metamorfosi che ha attraversato; registra i dettagli di ognuno dei suoi viaggi al di là delle normali capacità sensoriali di un uomo del ventesimo secolo, e cerca di discernere se questi viaggi siano stati frutto di illusione o realtà. Esamina i fenomeni di quest’epoca futura, quali l’ambiguità sessuale e la transitorietà della morte. Durante questo riesame freddo e spassionato presta ben poca attenzione all’ambiente che lo circonda, e ci vuole un po’ prima che si accorga della sgradevolezza e disarmonia presenti nella regione che stanno attraversando. È scesa la notte; i particolari della situazione gli sono nascosti dall’oscurità. Ma un lieve e deprimente bagliore purpureo sorge dal terreno, mostrandogli quanto basta. Si trova in una zona arida, piatta e secca, dove la crosta asciutta del terreno scricchiola sotto i piedi, e piccoli e aguzzi sassolini gli pungono la carne. Grandi picchi pietrosi corrosi dal sole si stagliano all’orizzonte. Non si vede nemmeno l’ombra di una pianta, nemmeno le fluorescenze tipiche del deserto. Uno sgradevole ronzio, simile al lamento di mosche intrappolate contro una finestra chiusa, si innalza da strane fessure che si partono nel terreno sotto i suoi piedi; inginocchiandosi accanto a una di esse per un ascolto più attento, sente il sinistro ronzio ritorcersi ed echeggiare negli abissi sotterranei. Un senso di intollerabile secchezza prevale sull’ambiente. Il cielo notturno è velato da una specie di sottile foschia, che maschera le stelle. Clay si chiede se si tratta di un altro degli inferni in Terra di cui una volta gli ha parlato Ninameen, un parente prossimo della regione della Vecchiaia. È questo il posto chiamato Vuoto? O forse Lento? È Pesante? È Scuro? Si apre con cura la strada sulla pungente pianura di granito purpureo, timoroso di inciampare. Non è certo il posto ideale perché un uomo nudo ci cammini di notte.

— Come si chiama questo posto? — chiede allo sferoide, dopo un po’. Ma lo sferoide è più estraneo di lui a quello spazio-tempo, e non risponde.

La gola di Clay si inaridisce. La sua pelle è martoriata dalla sottile polvere di roccia. Ogni volta che ammicca sente le palpebre graffiare le pupille. È arso e secco, e immagina mostri d’incubo dietro ogni ombra. Che suono è quello? Il sibilo delle tenaglie di uno scorpione? L’avanzata di una coda acuminata e velenosa attraverso la pianura desertica? Le pietre smosse dal serpeggiare di un rettile? Ma qui non c’è nulla, tranne notte e silenzio. Lo sferoide, ruotando allegramente in avanti, lo ha ormai sopravvanzato di molto. Clay si costringe a raddoppiare la velocità della sua andatura, con il rischio di tagliarsi sulle rocce che si trovano sul suo cammino. — Aspetta! — urla, rauco, quasi senza voce. — Io non mi muovo su ruote! Non posso andare così velocemente! — Ma la padronanza linguistica dello sferoide sembra terminata; non fa neppure caso alle sue parole, e in breve si perde nell’orizzonte fumoso.

Fermandosi, Clay trova un pezzetto di terreno libero da pietre taglienti e detriti. Il bagliore purpureo (radioattività residua, forse?) è troppo esile per guidarlo, e decide di non muoversi fino al mattino. Il rischio di scivolare e tagliarsi anche seriamente non lo attira affatto. Una frattura della gamba creerebbe qui gli stessi problemi che si verificherebbero nel bel mezzo della vecchia Arizona? Non lo sa. Magari il bianco osso fratturato si salderebbe diligentemente da solo, dopo un certo periodo, e i tessuti epidermici e muscolari si riassesterebbero in maniera dolce e quasi onirica. Ma non vuole fare la prova. Un brutto sogno può finire, ma non tutto è sogno, perfino qui, e lui non ci tiene affatto a trovarsi con una ferita genuina in un ambiente così irreale. Aspetterà di poterci vedere chiaramente.

Nella notte insonne intorno a lui danzano fantasmi. Cose fluttuano tintinnando su sottili fili metallici. Sente lamenti e occasionali sospiri, molto in lontananza, e qualcosa che ricorda un coro di grossi scarafaggi neri. Il vento è freddo e polveroso. Dita trasparenti stuzzicano i canali della sua mente, cercando di entrare. Lente spirali di pura paura si congelano e contorcono intorno a lui. La foschia che vela il cielo scompare, probabilmente divorata da qualche entità che attraversa metodicamente il cielo, e le stelle poco familiari tornano nitide. Nessun conforto giunge da esse: la nostra luce è partita per la Terra, insistono, nel periodo delle automobili e delle bombe atomiche, ed è stata in cammino per tutto questo tempo, stuzzicata dalle molecole che danzano tra le galassie, e adesso è qui, e adesso tu sei qui. Povero folle nudo. Quando arriverà la mattina? Quella è una fila d’insetti che marciano verso i miei piedi? Perché l’oscurità mi è così vicina?

Le prime striature della luce del giorno, adesso. Barre bianco-rosse che scivolano nel cielo. Un vento torrido che giunge dall’ovest. Una traccia di rosso all’orizzonte, che risucchia in essa tutto il putridume del mondo. Secco. Secco. Secco. Brutti rumori striscianti. Luce. Il cielo si fonde, tutto rame e ottone e zinco, con strisce vaganti di antimonio, molibdeno, manganese, magnesio e piombo. Macchie di tungsteno che si stagliano contro le rocce. L’alba ha una luminosità accecante. Distoglie lo sguardo, annaspando e portando le braccia alla fronte e incrociandole come un crostaceo rosso e infelice buttato vivo nell’acqua bollente. L’aria è un mare di rifrazioni, nel quale la struttura atomica fondamentale della materia si trova rivelata come una serie di cerchi intersecantisi di verde e giallo e marrone, che girano su se stessi per creare stupefacenti schemi di anelli frammisti di interferenza. Il mondo ruota su questa traccia. Cinque colori primari che non ha mai visto prima bombardano i suoi nervi ottici. Può dare loro un nome? Come chiamerà questa tonalità fredda e profonda dalle sfumature vellutate? E questo rigido tono rettilineo, così disciplinato, e proibito? Questo è gentile e tentatore; quello, aspro e brutale; quest’altro, silenzioso e complesso. I colori si fondono e si mescolano e di tanto in tanto si contrastano. Spunta la lama accecante del mattino.