Entra.
Qui l’aria è fresca e dolce, e in lui nasce lentamente il pensiero di essere entrato in una vera caverna, di essere infine riuscito a superare il deserto di allucinazioni. Eppure lunghe dita di irrealtà lo stuzzicano anche qui, solleticando dispettosamente la sua mente appena è entrato, e lui non riesce a distinguere la realtà dal falso con un minimo grado di certezza neanche qui. Una porta si chiude dietro di lui. Si trova sotto un soffitto a volta, pareti verticali, un fondale di avorio perfettamente nero. Sedie disposte ad arco bloccano l’ingresso. I pesanti drappeggi alle pareti sono adorni di grotteschi arabeschi di uccelli, bestie e mostri di quest’epoca futura, che sono in continuo movimento tremolante, e cambiano continuamente forma come oggetti visti in un caleidoscopio. Adesso le pareti sbattono i denti; adesso uccelli annuiscono allegramente dai loro rami con becchi di diamante e svolazzano in cieli smeraldini; adesso Respiratori e Aspettatoli troneggiano pazienti sulla scena. Tutto fluisce. Tutto muta. Tutto emerge. Si apre a stento la strada in mezzo a corde dorate e procede impavido. Si arrampica sulle tende. Dietro c’è una galleria nera. Dal centro di quest’ultima soffia una brezza serena che proviene da qualche stanza vicina. Risale cautamente l’ultima parte della tenda ed entra nella galleria.
Cammina per quasi un’ora, secondo i suoi calcoli, prima che l’oscurità si interrompa in qualche punto. Finalmente compare una debole luce purpurea. L’aria diventa più luminosa ogni poche centinaia di metri. Si sente febbrile; gli gira la testa. Forse qualche sfera fluttuante di allucinazione l’ha seguito fin quaggiù sotto l’epidermide del pianeta? La struttura del pavimento cambia bruscamente: è stata levigata, come marmo o roccia, e adesso ha la brusca piattezza del granito. Nel momento in cui tocca questo nuovo pavimento le luci risplendono abbaglianti, e lui si ritrova nel vestibolo di un’enorme sala gotica le cui volte e arcate svettano via via verso l’alto fino a perdersi nell’oscurità. Sul pavimento di questa stanza maestosa giacciono stridenti anacronismi: ogni tipo di macchina e strumento, per la maggior parte dipinti di un verde luminoso, che danno al luogo l’aspetto di un immenso laboratorio del ventesimo secolo, tranne per il fatto che le ruote, le gabbie, le pulegge, le leve, le turbine, i pistoni, i bollitori, i compressori non appartengono a nessuna struttura coerente che Clay riesca a estrarre dalle sue conoscenze del mondo del passato. Il macchinario sembra in funzione, però. Rombi, stridii, ronzii e mormoni provengono dalla struttura di base, e parecchie gabbie si spostano e flettono come se fossero possedute dall’energia che fluisce in esse.
Alla sinistra di Clay c’è una scala che sale contro la parete della stanza. La sale pensieroso, osservando i suoi passi sugli stretti scalini. Quando si trova a circa trenta metri sopra il livello delle macchine scopre che la scala termina improvvisamente; se facesse ancora un solo passo si schianterebbe sul pavimento lontano. Guardando verso l’alto, vede una seconda rampa di scale ancora più in alto sul muro. Ed eccolo, intento a salire, un uomo nudo che si muove lentamente, con il fiatone. Clay si irrigidisce. Istantaneamente si sente trasportato su quella seconda rampa, ed è lui l’uomo nudo che arranca verso l’alto. Ancora una volta la scala si ferma sull’orlo di un abisso; ancora una volta solleva lo sguardo; ancora una volta scopre una rampa di scale più in alto ancora, e lui che la sta risalendo; ancora una volta si raccoglie e sale la terza scala. Continua a salire in questo modo, una duplicazione dopo l’altra, fino a quando, dopo un’infinità di scale, giunge alla parte superiore dell’enorme sala.
Si inginocchia su una larga piattaforma di marmo rosa.
Si deterge rivoli di sudore caldo. Ansima. Tossisce. Affanna.
Scruta oltre il bordo e si meraviglia di fronte allo spettacolo grandioso delle macchine in funzione molto più in basso.
Vede numerose rampe di scale e numerosi Clay che le risalgono. Agita una mano e urla frasi d’incoraggiamento. Un impeto di nuova energia lo pervade; si alza, percorre uno stretto passaggio nel punto più alto di quella stanza enorme, e giunge sotto una botola che sembra implorare di essere sollevata. La solleva. Oltre la botola c’è una foschia verde, con una leggera sfumatura ambrata, opaca. Fa scivolare per prova una mano nella foschia, perfettamente preparato a sentirsi la carne divorata fino all’osso; ma no, sente solo un calore appiccicoso. Arrampicati, lo invita la botola. Sono fatta per te, fatta per te! Deciditi a entrare! Un dolce viaggio fluttuante. Entra. La foschia si richiude rapidamente intorno a lui come un pugno stretto. Vapori alla menta glaciale nei suoi occhi. Folate di viscido verde si avvolgono lascive intorno ai suoi genitali. Fluttua. Fluttua verso il basso, sempre più in giù, discendendo come minimo la stessa distanza che aveva precedentemente salito, e ancora più giù, in una galleria che si allunga sotto la sala delle macchine. La gravità è completamente annullata; mentre cade gira su se stesso e nuota, mette i piedi sopra la testa, si guarda i genitali assumere qualsiasi angolazione, e alla fine la sua discesa è terminata, Clay atterra facilmente a testa in su. Esce dalla foschia, che si allontana da lui con un risucchio umido e sonoro. Ci sono luci luminose, qui. Una città sotterranea, una strada accanto all’altra, tutto luminoso, tutto fragrante. Fiamme bianco-lattee bruciano nell’aria, fredde, deliziose. Gallerie si allungano verso l’esterno nella distanza polverosa. È già stato qui, prima. Questo è il mondo di gallerie eletto a residenza dell’umanità in un periodo in cui la superficie del mondo non era adatta alla vita. Durante il rito dell’Apertura della Terra, ricorda, è passato attraverso questo livello, rimanendoci solo per pochi istanti per poi scendere più in basso. Adesso potrà ispezionarlo più a fondo. Continua ad avanzare.
Di colpo si sente riportato alla realtà. Girando a una curva della galleria, scopre il corpo di un uomo-capra sul pavimento, con la pancia rivolta verso il cielo. La creatura è stata ferita a morte, e la pelle del busto strappata per rivelare la parte interna della cavità addominale. Gli organi sono stati asportati. Non c’è traccia di sangue: potrebbe essere addirittura un modellino meccanico dell’originale. Ma la puzza di capra aleggia intorno a lui, quell’odore inconfondibile di decomposizione. La morte è recente.
La parete splendente si apre e ne fuoriesce un uomo di metallo. È più corto e più largo di Clay: il suo corpo è un semplice cono di acciaio blu tornito, circondato presso la sommità da una fila di sensori… occhi, auricolari, rilevatori di temperatura e altri ancora, che lo circondano completamente. Arti di vario tipo spuntano da un anello al livello del petto. Non ci sono gambe; si muove su ruote nascoste. Clay ha già visto robot di questo tipo in precedenza: sono i servitori del passato, abbandonati e dimenticati, che rimangono eternamente in attesa. — Sono amico dell’uomo — dichiara il robot con una voce gracchiante, che fuoriesce da un piccolo altoparlante a griglia. — Rispetto l’antico patto: io servo. Io eseguo gli ordini. — Clay non riconosce la lingua, ma comprende lo stesso le parole.