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— Amico dell’uomo — sottolinea Clay, con scherno.

— Sì. Miracolo dell’ingegneria moderna.

— Forse che gli amici dell’uomo distruggono gli uomini?

— Chiarire prego.

Clay indica il capro sbudellato. — Questo è un uomo. Chi l’ha conciato così?

— Quello non corrisponde ai parametri umani.

— Guarda più da vicino. Conta i cromosomi. Analizza i geni. È un uomo, indipendentemente da quello che puoi pensarne tu. Geneticamente adattato, Dio sa perché, a questa forma ributtante. Chi l’ha ucciso?

— Siamo programmati per rimuovere tutti gli organismi potenzialmente ostili di ordine inferiore.

— Chi l’ha ucciso?

— I servitori — ammette umilmente il robot.

— Distruggere un uomo… Non era un granché, forse, ma era umano. Cosa fareste se uno Sfioratore venisse qui? Un Respiratore? Un Aspettatore?

— Interrogativo.

Clay comincia a spazientirsi. — Ascolta — dice — il mondo è pieno di esseri umani che non corrispondono all’immagine di "umanità" corrente all’epoca in cui questo posto è stato costruito. Può capitare che alcuni di loro finiscano qui. Non voglio che tu li uccida.

— Un cambiamento di programma?

— Un’espansione. Una ridefinizione di uomo. Come posso imprimervi l’ordine?

— Lo trasmetterò alla centrale — promette il robot.

— Tutto a posto, allora: l’uomo viene da questo momento ridefinito come qualsiasi organismo che appartenga in qualche modo alla vera linea genetica che discende dall’Homo Sapiens, che è definito a sua volta come la specie che ha costruito queste gallerie. Si intende che i servitori del mondo-galleria non faranno alcun tentativo di molestare tali esseri se essi penetreranno in questa giurisdizione.

— Conflitto. Conflitto. Conflitto.

Luci rosse lampeggiano sulla superficie del robot.

— E allora? — chiede Clay.

— Abbiamo l’incarico di proteggere gli uomini. Ma abbiamo anche l’incarico di proteggere la città. Se arrivano organismi umani ostili. Istruzioni? Definizioni?

Clay considera il problema. — Preverrete, in qualsiasi modo possibile, il danneggiamento del mondo-galleria da parte di intrusi. Ma avrete la cura di isolare e rigettare gli intrusi senza provocare loro danni fisici permanenti.

— Trasmesso. Accettato.

— Io sono Clay. Sono umano. Mi servirete.

— Il nostro antico compito — dice il robot.

Clay studia la creatura, affascinato dalla sua capacità di comunicare con lui. — Ti rendi conto — dice dopo un momento — che potresti essere il più vecchio manufatto esistente prodotto dall’umanità? Voglio dire, praticamente sei un mio contemporaneo. E tutto il resto di quei tempi remoti è scomparso. Quando è stata costruita questa città?

— Nel diciottesimo secolo.

— Non nel mio diciottesimo secolo, suppongo. Il diciottesimo secolo dopo cosa?

— Il diciottesimo secolo — ripete compiacente il robot. — Vuoi avere accesso alle Informazioni?

— Vuoi dire, una macchina per le risposte?

— Corretto.

— Potrebbe aiutarmi — dice Clay, provando per la prima volta una punta di autentica, selvaggia speranza. — Qualcosa che mi completi la storia. Che mi aiuti a ricostruire. Dov’è? Come faccio a fare le domande?

— Se vuoi seguirmi…

Il robot si volta e scende lungo un corridoio dalle pareti argentee. Clay gli trotterella dietro, vedendo mentre corre scorci tentatori di strani strumenti attraverso finestre nelle pareti. Il robot fa una pausa di fronte a una macchina grigia che sorge come una coppa da un pilastro. — Accedi pure alle Informazioni — dice, invitando Clay ad avvicinarsi con dolci luci lampeggianti. — Salve — saluta Clay. — Ascolta, sono stato catturato dal flusso del tempo, e voglio alcune informazioni. Sullo sviluppo della civiltà, sul corso della storia. Provengo dal ventesimo secolo dopo Cristo, ma non sono riuscito a ricollegare questa data con qualsiasi altra epoca, nemmeno quella in cui è stato costruito il mondo-galleria, e forse potrai aiutarmi a ricavare un quadro organico della situazione. Anche se non sai nulla degli eventi successivi alla civiltà del mondo-galleria, potrai se non altro dirmi cosa è successo tra il mio periodo e il tuo. Sì? Mi senti? Sto aspettando. — Silenzio. — Forza, allora. Aspetto di sentirti.

Suoni metallici e cupi lamenti provengono dalla coppa grigia. Stridii e sibili. Alcune parole abbozzate, ben articolate, ma incomprensibili. Sforzi di tentare una comunicazione. Poi: — Verso la fine della prima era postindustriale un grande cataclisma sociale portò alla demolizione completa di tutte le ipotesi e i postulati su cui si erano fondate le vecchie società urbane. Seguì un’epoca di ristrutturazione conosciuta come "caos conseguente al collasso ambientale". Sorsero nuovi concetti architettonici. Il nostro sistema attuale parte da questo punto. Tuttavia un sistema parallelo si manifestò dando vita a un’oscillazione fondamentale delle cronologie. Si può computare l’instabilità nella nuova struttura sociale nell’ordine di otto o dieci secoli, durante i quali qualsiasi precedente attitudine sociale o costume fu dimenticato e scomparve. Dopo che la crisi ebbe superato il più severo livello, il mondo sembrò di nuovo desiderabile. Fortunatamente, l’ingegno e la tecnica resero possibile l’edificazione del nuovo sistema urbano in mèzzo a una distruzione di gran lunga più terribile d’ogni precedente apocalisse. L’abbandono della superficie, l’accumulazione di strumenti meccanici, sempre più perfetti, la rapida ed efficace moltiplicazione delle città sotterranee caratterizzarono questa rinascita; alla fine del diciottesimo secolo dell’era attuale cominciò il trasferimento della popolazione, con la sua bastarda eredità genetica, le differenze sociali, gli sforzi tesi a eliminare le malattie, e tutte le altre cause di sofferenza. Abbiamo potenziato l’infrastruttura umana. Noi, i superstiti della specie, e tutte le catastrofi che ci hanno temprato in quello che fu il Periodo del Pianto, dal quale è sorta una nuova razza. Possiamo essere orgogliosi. I nuovi uomini hanno creato un mondo, il che dimostra: dateci speranza e affronteremo tutto quello che ci attende nelle epoche future. Dopo una breve pausa Clay dice tristemente: — Grazie — e si allontana rapidamente. Il robot gli è accanto. — Inutile — mormora Clay. — Non mi è di nessuna fottuta utilità. Meglio così.

— Vestire gli ignudi — dice il robot. — Un altro dovere assoluto. Vuoi vestirti?

— Sono tanto brutto, così?

— Gli umani si coprono il corpo, nella strada. Per coloro che non lo fanno, ci pensiamo noi.

Clay non risponde, e il robot considera il suo silenzio un consenso. Una sezione della parete alle spalle di Clay si spalanca e compare un secondo robot. Porta uno strano contenitore e spruzza Clay con una strana mistura colorata di tessuto e pigmenti. Quando si riprende dalla sorpresa Clay si accorge di indossare adesso una leggera tunica dorata, scarpe che sembrano buste trasparenti, e un cappello floscio. È rimasto nudo talmente a lungo che i vestiti lo fanno sentire impacciato e gli danno fastidio. Non volendo offendere nessuno, tuttavia continua a portarli. Cammina lungo i corridoi. Il primo robot lo segue, dicendo: — Vuoi cibo? Riparo? Vuoi lavarti? Divertirti?

— No.

— Nessun desiderio di alcun tipo?

— Uno — dice Clay. — Intimità. Vai via. Quando avrò bisogno di te, ti faccio un fischio.

— Interrogativo.

— Ti chiamerò. Urlerò forte con le mie corde vocali. Meglio? Adesso va, per favore. Te lo chiedo gentilmente. Non andare lontano, ma rimani fuori dalla mia vista fino a quando ti chiamerò.