Nel momento in cui smette di parlare, sente uno stridìo acuto, un gorgoglìo, un ribollire, uno sbatacchiare, e poi da un punto all’interno dello specchio gli torna la sua stessa voce, riarrangiata e riprodotta e scambiata per formare una sinfonia urlante, cacofonica: — OTTIME ALLUCINAZIONI cose etichette avere estraneo ad ad ad ad ad ad ad non possono aspettarsi SCHIACCIATE QUESTO PULSANTE o, o, o, dovrebbero avere BEVETE cose delicate qualche danneggiare danneggiare danneggiare indovinare potrebbe indovinare indovinare indovinare farsi male mi per qui non possono loro loro loro loro loro loro loro farsi male o SCHIACCIATE SCHIACCIATE SCHIACCIATE come estraneo il qui su loro su loro per qualcosa a cose queste qualcosa etichette PULSANTE dann la ex quale età inch cate ic ess ll’or ose uci orse delicate per cose ulsante raneo ale se SCHIACCIATE QUESTO PULSANTE un un un anno ALLUCINAZIONI rabbie OTTIMO.
Segue il silenzio.
Segue una ripetizione, invertita. Una fuga tripla. Una modulazione in tonalità minore. Uno spiccato. Inquietanti settime dominanti. Una cosetta, prima dell’ingresso della terza voce. Trasposizione del soggetto nella tonica. Allegro non giocoso. Andante ma non troppo. Largo. Vivace. Solfeggio. La stanza riecheggia della musica delle sue parole. SCHIACCIATE! "more!" "Lucina!" "Evete!". Variazioni ad libitum. "Oo oo oo oo oo oo oo oo". Quasi una fantasia. Portamento. Sforzando. Sfogato. Fortissimo. Vola. La musica lo segue nel corridoio. Legato! Doloroso! Dal segno! Agitato! "Danneggiare! Danneggiare! Danneggiare!". Corre, inciampa, si rialza, corre ancora. La macchina registratrice gli lancia dietro piani solidi di suono che suddividono l’aria in livelli, come un bar di lusso. Gira velocissimo un angolo, e un secondo, e un terzo; continuando a correre anche quando i suoni sono scomparsi. Poi si ferma bruscamente. Una grossa bestia blocca il corridoio. Ha la forma di una tenda, con strati grassi di pelle verde simile a cuoio, ed è circa due volte la massa di Clay. Si sostiene su piccoli piedi gialli palmati da papero. Assurde piccole braccia spuntano dal suo petto; su di esse c’è la fessura di una bocca e due grossi occhi acquosi. Gli occhi fissano Clay: ammiccano con buonumore clownesco e con indiscutibile intelligenza, ma c’è anche una fredda malevolenza nel loro lento movimento ammiccante. La bestia e Clay si affrontano in silenzio, una di fronte all’altro. Infine Clay si decide a dirlo: — Se sei una forma umana, dichiaro fratellanza. Sono una tua variante ancestrale. Trasportato dal flusso del tempo. — Gli occhi diventano ancora più attenti e scrutatori, ancora più divertiti, ma non ci sono altre risposte. La creatura continua lentamente ad avvicinarsi. È grossa, ma sembra innocua; Clay, ciò nonostante, nudo e disarmato, è estremamente attento, e indietreggia con la massima cautela. Senza voltare la testa, cerca con la coda dell’occhio una porta, la trova, la apre, entra, la sbatte dietro di sé, e ci si appoggia contro per tenerla ben chiusa, mentre segue i movimenti della creatura nel corridoio attraverso una larga finestra. La grossa bestia non fa alcun tentativo di forzare la porta. Evidentemente ha altre prede in mente, infatti adesso, nota Clay, sta rivolgendo la sua attenzione a un nido inserito in una colonna dalla parte opposta del corridoio. La fessura-bocca si è aperta, e da essa si è svolta una lingua nera e cilindrica, lunga parecchi metri, con tre punte simili a dita. Con queste ultime la bestia sonda il nido, che è fatto di strati luccicanti di plastica. Mentre le dita stanno esaminando con attenzione il nido, spunta una testa: il cucciolo, sembra di una delle creature oblunghe. Sei arti neri si agitano nella prevedibile furia. Afferrano la lingua triforcuta; uno di loro le si avvicina coraggiosamente e ci affonda le sue minuscole zanne gialle, poi balza indietro, e la creatura a forma di tenda, colpita, ritira velocemente la lingua quasi completamente, sferzando poi l’aria, con essa, per rinfrescarla. Poi la lingua riprende ad avanzare e ricomincia la sua esplorazione del nido. Le giovani bestiole tornano in vista e le girano intorno, ma questa volta la lingua colpisce velocemente, prendendone uno per la pancia e ritirandolo rapidamente verso la bocca in attesa. Piccole mascelle crudeli si aprono per inghiottirlo senza speranza. E affonda in quella bocca; e nello stesso momento la bestia-madre, di ritorno da una scorribanda di caccia, raggiunge la scena e si lancia contro il vorace predatore. Clay sente rumore di mascelle attraverso la porta, ma non riesce a stabilire a chi appartengano. La madre oltraggiata morde e mastica e lacera. La lingua, che guizza come un serpente irritato, si alza e ridiscende, le dita cercano di colpire, per allontanarlo dall’attacco. Ma il piccolo animale infuriato è troppo veloce. Spostandosi rapidamente, elude i movimenti incontrollati delle dita, e le morde ogni volta che gli si avvicinano troppo. La bestiola si accorge che è abbastanza facile raggiungere il corpo dell’avversario, e lo morde in diversi punti, e infine riesce ad aprire una grossa ferita sotto uno degli arti più grossi, ferendolo seriamente. Riesce così a raggiungere la carne viva della bestia-tenda, squarciandola come se volesse aprirsi un passaggio fino allo stomaco per liberare il piccolo inghiottito. Adesso la battaglia ha cambiato tono. Mascelle, spalle, buona parte della bestiola penetra nell’apertura del corpo dell’avversario. Gli occhi della bestia-tenda hanno perso la luce ironica; lampeggiano in agonia. La lingua, che si svolge per tutta la sua enorme lunghezza, spazza convulsamente le pareti. La bestia ondeggia e saltella sulle gambe da papera; cerca inutilmente di raggiungere il nemico mortale con le inutili piccole mani. Si strofina contro una colonna, emette pietosi lamenti di dolore, salta da una parte all’altra, nella crisi mortale. La sua sorte è segnata.
Ma la fine, quando viene, arriva da una fonte diversa. Improvvisamente nel corridoio compare una terza creatura, rettiliforme, quasi un dinosauro. Avanza su gambe colossali che ricordano quelle di un elefante, le cosce simili a tronchi d’albero. Una coda carnosa la sostiene posteriormente. Gli avambracci sono corti, ma possenti, il volto si allunga in un muso massiccio; i denti sono in realtà zanne così terribili e numerose che più di ogni altra cosa preannunciano la pericolosità agghiacciante del nuovo venuto, ed esagerano quasi grottescamente la brutalità della sua natura. Su questo ammasso sinistro di zanne splendono due occhi grandi e luminosi, che lampeggiano gelidamente. Di dove viene questo minaccioso tirannosauro? Quale scherzo dell’evoluzione, ripiegata su se stessa, ha fatto sì che questo enorme sauro si perdesse nei corridoi? Il mostro indietreggia, la testa raggiunge il soffitto del mondo-galleria, poi scruta la bestia-tenda e la sposta con una zampata, come fosse completamente priva di peso. Due colpi arroganti di mascella, e la creatura più sfortunata crolla, massacrata. L’altra bestiola fugge libera, inzuppata di sangue nerastro e appiccicoso, allontanandosi rapidamente. Il sauriano, soddisfatto, si pasce di enormi bocconi di carne, golosamente tratti nella bocca terribile. Lacera e strappa; grugnisce di soddisfazione. Clay, al sicuro dietro la porta, assiste alla scena, attonito non tanto per la brutale uccisione, ma per i messaggi che gli giungono dalla mente del mostro. Non si tratta di un rettile. E un altro dei figli dell’uomo. Sei un Mangiatore? chiede Clay e l’incubo risponde, senza interrompere il festino: Così siamo conosciuti.