I pensieri del Mangiatore fluiscono come iceberg su un mare grigio. Clay è sconvolto da quel contatto. Si tira indietro, appiattendosi contro il muro più lontano; il Mangiatore è troppo grande per entrare in questa stanza, ripete tra sé. Ma la porta si spalanca. La testa feroce si spinge all’interno, anche se il resto del corpo mostruoso rimane nel corridoio. Clay vede la propria immagine riflessa, distorta, in quegli occhi luccicanti.
Sei uomo? chiede il Mangiatore. Hai una forma antica…
Esatto. Il flusso del tempo.…
Sì. Brusca interruzione. Soffice cosa carnosa. Inutile.
Clay risponde: Gli umani sono stati creati deboli in modo da sviluppare il loro ingegno e i riflessi. Se avessimo avuto le tue mascelle e i denti fin dall’inizio, avremmo mai inventato i coltelli, i martelli, i ceselli e le asce?
Il Mangiatore sbuffa. Spinge la faccia un po’ più avanti nella stanza. Clay contempla a disagio il modo in cui la parete levigata di plastica intorno all’uscio sta cominciando a scricchiolare. Se lo mangerebbe in tre bocconi, quell’orrore.
Anch’io sono umano proclama il Mangiatore. Hai assunto una forma animale? Ho assunto una forma di potenza.
La potenza risiede nella possibilità di trascendere la debolezza fisica per mezzo dell’intelligenza dice Clay. Non in una forza puramente bestiale.
Sfiderò la tua intelligenza con i miei denti, si offre il Mangiatore. Spinge con più forza contro la porta; ovviamente è insaziabile, e alla ricerca di qualsiasi tipo di carne.
Clay dice: Gli umani di quest’epoca sembrano capaci di cavarsela senza bisogno di uccidere. Non hanno bisogno di cibo. Perché tu devi mangiare?
Per libera scelta.
Scelta di tornare alla primitività?
Devo per forza essere come gli altri?
Gli altri sono più liberi di te insiste Clay. Tu sei legato alle necessità della tua carne. Non sei un passo avanti sulla scala dell’evoluzione, sei un anacronismo, un atavismo. L’uscio comincia a spezzarsi. Che fine possono avere avuto gli uomini nell’evolversi da forme mostruose, se poi dovevano finire con il ritornare a forme mostruose?
Poderosa pressione contro la parete. Scricchiolii nelle strutture portanti.
Il Mangiatore dice: Non c’è finalità. Non esiste uno schema. Luccichio di denti. Infila un braccio nella stanza. Abbiamo scelto questa forma in un periodo in cui ci andava di sceglierla. Dovremmo sederci e metterci a cantare? Dovremmo giocare con i fiori? Dovremmo fare i Cinque Riti? Abbiamo i nostri sistemi. Siamo parte della struttura delle cose. E colpi attraverso la porta, che distruggono mezzo muro.
L’enorme bocca si spalanca. I denti feroci brillano minacciosi. Clay, che ha scorto un piccolo tombino nella parte opposta della stanza durante il suo colloquio con il mostro, si precipita per raggiungerlo, riesce ad aprirlo; e, con grande sollievo, si affretta a entrarvi, fuggendo. I ruggiti del Mangiatore risuonano mentre Clay si allontana. Adesso si trova in una specie di galleria di servizio, scura, polverosa, in cui una serie di passaggi a spirale creano un inquietante labirinto. I suoi occhi cominciano ad abituarsi dopo qualche momento al nuovo ambiente che lo circonda. Animali di un centinaio di tipi vivono in queste gallerie. Non riesce a comprenderne l’ecologia: di cosa si nutrono gli erbivori? Inutile cercare qui una forma logica. E attraverso i corridoi si spostano i Mangiatori, ne vede almeno una dozzina, che riempiono i passaggi. Ognuno ha un territorio proprio. Non ci sono sconfinamenti. Cacciano continuamente, e non trovano mai abbastanza carne. Clay impara a intuirne la presenza, feroce e goffa, molto tempo prima di avvicinarglisi troppo, e così evita ogni pericolo. Riuscirà a trovare nuovamente il percorso per tornare alla porta che è rimasta aperta per lui? Potrà tornare al sicuro a quella parte del mondo-galleria difeso dai robot?
Vaga per un’eternità nei corridoi che si intersecano. I peli crescono nuovamente sul suo corpo. Per la prima volta da quando ha trasferito la sua fame a Hanmer sente un bisogno debole, ma definito di cibo. Lo preoccupa il fatto di essere nudo. Solleva troppa polvere. Cercando di evitare i Mangiatori, non nota nemmeno piccoli carnivori, e parecchie volte viene morso alle caviglie e ai polpacci. Ogni passaggio porta in un altro, ma non si avvicina mai a una zona familiare. La disperazione lo avvolge. Vagherà per sempre in quel mondo sotterraneo. Oppure, se riuscirà a guadagnare la superficie, si ritroverà semplicemente nel deserto di allucinazioni in cui l’ha abbandonato la sua guida-sferoide. L’incontro con il Mangiatore gli ha incupito l’umore. È oppresso dal fatto di sapere che una bestia del genere è un suo discendente.
Come forma di azione tenta di convincere se stesso di aver frainteso i Mangiatori. Inventa una cultura anche per loro. Si crea una visione di Mangiatori in preghiera, infiammati di zelo e tenerezza spirituale. Inventa una poesia dei Mangiatori. Cerca di figurarsi un gruppo di Mangiatori raccolti accanto a una parete da cui pendono quadri, e ascolta le loro idee sull’estetica. Visualizza matematici Mangiatori, che tracciano simboli nella polvere con le terribili mascelle. La sua anima è piena di compassione per loro. Voi siete umani, siete umani, siete umani, siete umani, insiste, ed è pronto ad abbracciarli fraternamente. Un sentimento di amore si impadronisce di lui. La sua coscienza penetra nel mondo dei Mangiatori, oscuro, fantastico, incerto, attraversato da passioni possenti, e, tremolando e luccicando, tremolando e aprendosi, porta il suo messaggio d’amore ai mostri, compone la sua Epistola agli Atroci, ed essi si affollano intorno a lui, ringraziandolo per il dono della grazia, facendo scricchiolare i denti paurosi in gentili armonie, benedicendolo per aver saputo riconoscere l’umanità essenziale nascosta in quella carne d’incubo. In questa condizione si muove serenamente attraverso il labirintico mondo-galleria, e alla fine vede davanti a sé luci brillanti, un sentiero che porta verso l’alto, e ode un coro celeste, e una voce gli dice: — Vieni, questa è la strada. — Sale. Cori di angeli che cantano. Passa attraverso una porta ottagonale e la dolcezza dell’aria fresca gli solletica le narici. E non si tratta di un sogno, in quanto emerge in un prato di erba tosata e dorata, e i suoi amici sono tutti lì, e Hanmer dice: — Sei arrivato in tempo per unirti a noi nella Melodia dell’Oscurità.
14
Gli Sfioratori lo circondano e gli danno un caloroso benvenuto. Tutti e sei hanno assunto forma femminile in suo onore; lo baciano e lo accarezzano e si strofinano contro di lui. Hanmer, Ti, Bril, Serifice, Angelon, Ninameen. Serifice? Serifice. Non gli lasciano la possibilità di fare domande. Ridacchiando, lo portano a un minuscolo laghetto nel mezzo del prato, e lo ripuliscono dalla polvere del mondo-galleria. Le loro mani arrivano ovunque, come quelle esperte delle ragazze di un harem. Non riesce nemmeno a vedere, tra gli spruzzi d’acqua. Serifice? Gambe gli si avvinghiano. Viene velocemente e gioiosamente sedotto, ma l’unione viene interrotta prima che riesca a raggiungere l’orgasmo. Qualcuno gli esplora l’avambraccio. Qualcun altro gli solletica le orecchie. — Basta! — dice, ma continuano per un po’. Infine si rialza, con un’imponente e sgraziata erezione, e risale sulla riva, e li trova tutti maschi e ridenti. Lo sferoide è fermo poco distante.
— Serifice? — chiede — Sei davvero Serifice?
Si avvicina alla figura magra, Serifice annuisce. C’è nuova saggezza negli occhi scarlatti. Hanmer dice: — Serifice, sì. La morte lo annoiava.