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— A modo loro, sì.

— Mi spaventano.

Serifice ride. — Tu, che ti sei imbattuto nei Mangiatori, hai paura di questi?

— Un Mangiatore non è nient’altro che denti e mascelle e forza bruta — dice Clay. — Questi…

Sente il familiare singhiozzo attraverso la nebbia.

— Sì — dice Serifice. — Sono servitori di Errore.

Soffia un vento impetuoso. Lui rabbrividisce, coprendosi il volto e i fianchi. La nebbia lo avvolge ancora più strettamente. Errore piange. La luce solare, scivolando sul terreno ghiacciato, penetra sotto la fitta foschia e lo inzuppa di blu, di verde vetroso, di un nero vellutato; sente un lampo di fuoco dorato, e poi la luce è scomparsa. — Serifice? — chiama. La cerca affannosamente. Le mie labbra devono star diventando blu. Le mie orecchie. Le mie dita. Immagina che potrebbe spezzare e staccare il pene congelato con un sol colpo… E i suoi testicoli cristallini. Sbatte i piedi; il ghiaccio è uno specchio sotto di lui, un freddo vetro scivoloso. — Hanmer? Bril? — Dissolvenza, adesso. Scomparire, balzare nello spazio, slanciarsi tra le stelle… ovunque, ovunque, solo non qui. Qual è l’estensione del Ghiaccio? Questo ammasso di morte… Questa vergogna congelata. Il singhiozzo diventa più forte. Strazia il cuore: davvero il dio Errore può soffrire così profondamente? Per cosa? Per chi? — Ti? Dove sei? Qualcuno di voi! Ninameen? — Raggiungerli con la mente, tendere un tentacolo di suppliche su uno di loro e trarlo più vicino. È troppo vulnerabile. Questo freddo è reale. I suoi amici sono superficiali, trascurati, distratti; hanno perso lo sferoide sulla via del ritorno dalle stelle, e non ne hanno nemmeno parlato; magari non sono neanche veramente amici. Dove sono, adesso? Perché l’hanno portato in quel posto? C’è un odore di lana marcia, un odore basso, stantio, sgradevole. Ricorda valli, boschi, prati, torrenti, la fragranza di strani fiori, il gusto dolce di acque misteriose. Ricorda l’ingresso nella fessura dolce e morbida di Ninameen. Ricorda vecchie estasi e precedenti comfort. Spingendosi avanti, inciampa sul proprio piede e cade in avanti; il suo corpo è tagliuzzato dal petto alle cosce dove la pelle tocca il ghiaccio. Nelle sue orecchie risuonano i singhiozzi. Si toglie il gelo dalla pelle. Il mondo si sta oscurando. La luce si ritira, risucchiata lontano verso occidente, e porta con sé tutti i colori dai campi ghiacciati e dalle nebbie e dal cielo. E nell’oscurità giungono nuovi colori. Sgorga l’aurora; pallidi torrenti elettrici fluiscono da una fessura nel cielo, e tracciano fiumi di luce intorno a lui in una rete di oro roseo. Tremori giocosi intagliano la nuova notte. Ma nella bellezza di questa tempesta c’è del calore. Si alza, porta in avanti le mani, cerca di afferrare l’aurora e di vestirla. Strati e tessuti nella notte; grigio perlaceo, turchese, smeraldo, limone, ciliegia; martelli risuonano su milioni di incudini; voci gridano ovunque. Errore piange allegramente. Si spinge avanti. Adesso sa che gli Sfioratori l’hanno abbandonato a se stesso, e la cosa gli interessa poco. La paura non l’ha abbandonato, ma lui l’ha incapsulata e la porta come una cisti nel petto. Ama il ghiaccio. Ama il freddo. Ama la notte. Ama chi distrugge. Ama la sua paura.

Adesso un anello di Distruttori lo circonda.

Li vede chiaramente alla debole luce dell’aurora. Leggermente più alti di lui, ma più pesanti, in quanto i loro muscoli sono possenti e spessi strati di grasso sono visibili sotto la loro epidermide. La loro protezione grigia è finemente tessuta e serica. I piedi sembrano avere unghie retrattili. Sono macchine efficienti di morte, compatte e possenti: non mostri grotteschi troppo cresciuti come i Mangiatori, talmente terrificanti da diventare comici, piuttosto l’essenza dell’energia animale, potenziale, minacciosa. Adesso gli ricordano meno le lontre che le pantere. Ma la loro condizione è umana, come lo è la fredda luce di conoscenza presente nei loro occhi. Sono di fronte a lui, pazienti, immobili, con le lunghe braccia rapaci che penzolano arrivando alle ginocchia. Che cosa vogliono? Soltanto divorarlo? Sono così tipicamente carnivori… Si immagina sbattuto a terra su questa pianura primordiale di ghiaccio, con gli intestini fuoriusciti e pulsanti, il fegato e i reni spappolati, mentre i Distruttori si contendono litigando il suo pancreas, la bile, l’aorta, i polmoni. Ma gli sembra un destino troppo volgare. Li analizza con la massima attenzione, cercando di capirne la struttura, poi scatta come se volesse fuggire attraverso un’interruzione nel loro cerchio. I loro riflessi sono, come si aspetta,. superiori ai suoi: con appena un accenno di reazione si muovono per chiudere l’apertura, e rimangono immoti come prima.

— Sapete parlare? — chiede. — Mi comprendete? Sapete che cosa sono?

Sottili labbra nere si arricciano in un inconfondibile sorriso.

— Un uomo — dice lui. — Specie ancestrale; forma primordiale. Mi ha portato qui il flusso del tempo. Gli Sfioratori mi hanno scortato. Sono un disadattato, non specializzato, e posso disporre esclusivamente di un cervello, ma non serve molto quando si è nudi su un campo di ghiaccio. Mi capite? Sapete parlare?

I Distruttori non dicono nulla.

Si spinge avanti, senza esitare, adesso, cercando semplicemente di passare accanto a loro e correre; forse riuscirà ancora a trovare Hanmer, probabilmente riuscirà ad allontanarsi da quel posto. Per un momento sembra che lo lasceranno passare, ma quando raggiunge il confine del gruppo uno di loro improvvisamente lo prende per un braccio e lo ributta in mezzo. Se lo passano dall’uno all’altro, lungo tutto il cerchio. È abbracciato da uno, un altro, un altro… Una stretta veloce, nulla di particolarmente affettuoso, più un gesto di derisione che di amore. Adesso è realmente consapevole del loro potere fisico: è come una bambola di pezza nelle loro mani. Il loro odore gli infiamma il cranio. Si irrigidisce, poi perde ogni controllo. Cade. Non nota neanche più il freddo. Gli sembra abbastanza naturale rimanere sdraiato nudo sul ghiaccio. L’aurora scema, e la notte trionfa. I Distruttori ridono, fanno una goffa danza, ululano alla luna assente. La mattina potrebbe non arrivare mai.

18

Al mattino hanno raggiunto il confine opposto del Ghiaccio. Marciando con i Distruttori intorno a lui, Clay si è riparato dal freddo grazie alla spessa parete di pelliccia di quegli esseri. I suoi passi hanno acquistato nuova energia, e ora si tiene baldanzosamente eretto. Le deboli luci dell’aurora sono venute e scomparse continuamente, per tutta la notte. Lui si trova nella condizione rilassata che segue all’esaurimento più assoluto. Hanno incontrato molti altri Distruttori, che si spostano disinvoltamente in gruppi compatti nella loro traversata del biancore. Legati ai loro sentieri erranti, vincolati dai loro inespressi doveri, questi Distruttori si muovono con uno sguardo deciso che non ha mai visto nelle altre creature di questo mondo. I membri di un gruppo salutano quelli di un altro con grugniti ferini che tuttavia non sono ostili nell’intenzione. A parte ciò, non viene scambiato nulla che possa ricordare anche lontanamente una parola. Né è possibile entrare nella mente di questi strani esseri, anche se Clay è sicuro che i loro intelletti sono forti e freddi. Lo trattano con una specie di interesse divertito e ironico: chiaramente sono attratti da lui, ma è proprio il piacere della sua compagnia quello che desiderano, oppure, in ultima analisi, il gusto della sua carne? Sa che devono provare disprezzo per lui: pallida bestia implume, di forma quasi-umana, così debole, così semplice… Lo portano a lungo con loro, invitandolo con piccole spinte a non indugiare e stuzzicandolo quando si ferma. Finché arriva il giorno.

Alle prime luci scopre il grande compito dei Distruttori. Molti di loro sono all’opera lungo il confine tra il Ghiaccio e il distretto confinante. Alcuni stanno diligentemente tagliando alberi e sradicando piante; eseguono questo compito con le braccia, le spalle e il petto, e i loro corpi sembrano duramente provati da questa fatica. Altri raccolgono i detriti lasciati dalla prima squadra e li ammassano in pile ordinate. Altri ancora inceneriscono periodicamente i rifiuti, apparentemente per mezzo di intense fiammate provocate dalla concentrazione. Una squadra diversa, che si sposta e agisce un po’ dappertutto, spezza le piantine con le nude zanne, strappando il viluppo di radici e fusti e fili d’erba e fiori secchi che intessono il suolo rendendolo compatto e resistente. Infine arriva un quartetto di Distruttori, con le braccia levate, gli occhi chiusi, che lentamente esce dal Ghiaccio. Si muovono con grandissimi sforzi, come se stessero spingendo una sbarra metallica che all’altezza del petto ostacolasse la loro avanzata: ma a ogni passo che riescono a guadagnare, l’area del Ghiaccio subisce una piccola espansione. Una linea di gelo si diffonde sulla zona confinante, tra i campi ghiacciati e il terreno appena smosso. Il ghiaccio, sulle prime, è solo una pellicola bianca e luminosa sulla superficie della terra; ma rapidamente assume concretezza, ispessendosi e conquistando nuove porzioni di suolo. I quattro Distruttori, spingendosi faticosamente avanti nei terreni fertili, allargano il bordo dei ghiacci. Ormai, il ghiaccio è spesso quindici centimetri all’estremità interna del punto da cui hanno cominciato la loro faticosa avanzata, e si assottiglia fino alla linea di demarcazione che si trova immediatamente sotto i loro tacchi.