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C’è dell’altra carne?

Fruga nell’ammasso di ossa sparpagliate. Pezzi di pelle, noduli di grasso, i resti dei tronchi scavati, tendini… I Distruttori sembrano aver ripulito quasi completamente la carcassa. No! Qui. Un pezzo di carne rosso sangue, rimasta nascosta. Clay la prende. Calda contro i suoi polpastrelli. La mangia.

È di nuovo potente: invia raggi sfolgoranti…

Liquefa un’altra dozzina di metri quadrati di ghiaccio prima di sentire nuovamente l’inerzia impadronirsi di lui. Riluttante si rende conto che deve abbandonare la sua impresa. Fuggi adesso, mentre i tuoi catturatori dormono. Corre, scivolando e saltando e precipitandosi e di tanto in tanto cadendo, sotto una trapunta di stelle vivissime. Da che parte è l’uscita? I Distruttori non sono più visibili. L’aurora si attenua e l’oscurità senza luna prende il sopravvento. Teme, nella sua cecità, di poter fare in qualche modo un cerchio vizioso tornando verso l’accampamento dei Distruttori. Aspettare fino al mattino? Forse sarà troppo tardi, allora. Si ritroverà di nuovo impotente in balia di quei dèmoni. Ma come può fare a trovare la strada per andarsene? Non ci sono cartelli stradali. C’è solo il ghiaccio.

Continua a camminare. Il freddo lo prende ai testicoli; sbattono uno contro l’altro, risuonando come biglie scosse in un sacchetto. Gli ultimi impulsi cinetici della carne magica si dissolvono tristemente nella sua corsa. Grazie a brevi lampi aurorali riesce a procedere, in maniera insicura, pieno di paura, desiderando di potersi fermare da qualche parte per riposare e scaldarsi. Una boccata di sigaretta. Una tazza di caffè. Il suo palato ricorda un toast cotto al punto giusto, facendolo impazzire. È estate, adesso, a Clayton, Missouri. Le piante e i prati sono ricchi di verde. I tramonti imporporano delicatamente il cielo, le trote saltellano nei fiumi. Quando è sera si torna in città: una bistecca e bourbon nella Quinta Strada, un po’ di jazz, poi il posto proprio vicino a Lindell, dove sorridono ragazze diafane nei night, coi seni ballonzolanti, diafane sottovesti rosa, sì, luci soffuse, diafane, ragazze con il corpo diafano, e si cerca l’uscita e ci si ritrova.

Nel fango.

Fanghiglia primordiale? Questo è il posto, in cui, da lontano, aveva sciolto il ghiaccio. L’acqua ha raggiunto la terra sottostante. Tutto è umidiccio. Nuota nella melma. La pellicola tiepida e gelatinosa di suolo fradicio scivola sulla sua pelle. Si spinge avanti. Non è sgradevole. Il contatto serico e tiepido gli sgela i genitali. Le oscure carezze lubriche gli rilassano le cosce dolcemente. Avanza. Striscia. Qui la melma è profonda poco più di un metro, in certi punti è quasi liquida, in altri punti più fangosa, e il suo contatto è delizioso e voluttuoso. Si sta lasciando dietro il ghiaccio; sta eludendo i terribili Distruttori. Il fango gli copre la pancia, il petto, il volto; lo avvolge interamente, e per un momento teme di scivolare sotto la superficie ed essere perso, ma trova sotto di sé un fondale solido e si spinge avanti. Quando l’avanzata lo stanca troppo, rimane immobile, ridando delicatamente energia alle sue cosce perché possano uscire dal doloroso indolenzimento e riprendere la faticosa avanzata. Poi si ributta in avanti. Non devo vergognarmi di essere tornato nel fango, si ripete tra sé. So chi sono, so che cosa sono. Perché sforzarmi di salvare le apparenze? Solo chi è recentemente emerso dal fango si sentirà a disagio nel tornarci per qualche breve momento. Io sono sicuro nella consapevolezza della mia umanità. Se lo scelgo sono libero di amare il fango.

Quando arrivano le prime luci grigie del mattino, si libera dalla fanghiglia. Thuck! esplode il fango mentre ne esce quasi risucchiato. Uno strato di melma lo ricopre. Non più nudo. Dov’è l’uscita? Più avanti, vede confusamente, c’è una specie di strada fiancheggiata da due file di alberi alti e ordinati. L’alba gli riscalda la schiena mentre si incammina sulla strada. Cammina con un’andatura rilassata e agevole. Il fango si asciuga e lui se ne spazzola via la maggior parte, lasciando solo i residui polverosi. C’è un improvviso lampo di luce mentre il giorno lo raggiunge. Qui fa caldo. È tornato nel mondo-giardino. Spera di trovare adesso un ruscello fresco e limpido in cui potersi lavare a fondo. E poi cercherà gli Sfioratori; non si preoccupa di vagare senza guida.

— Non sei senza guida — dichiara una voce gorgogliante.

Scopre che lo accompagnano due Distruttori, e gli battono delicatamente una mano sulla spalla, uno alla sua sinistra e uno alla sua destra. Sono estremamente attenti, minacciosi, intensamente aggressivi come sempre: il lauto pasto li ha ristorati e sono riusciti facilmente a raggiungerlo. Lo puniranno per aver sciolto il loro ghiaccio? Cammina un po’ più velocemente, anche se sa che è perfettamente inutile. La strada continua, perfettamente dritta, una freccia puntata verso l’orizzonte; la fila costeggiatrice di alberi forma pareti continue. La giornata è mite. Il cielo è privo di nuvole. I Distruttori sono silenziosi.

Sente il peso del loro terribile orgoglio.

Sente i ritmati singhiozzi di Errore.

Sente un odore rosso di fronte a lui, come se l’alba stesse perversamente rispuntando anche da ovest.

Poco dopo arriva l’odore di cenere e il gusto del calore. Pezzi di cenere fluttuano nell’aria. Onde di distorsione modificano la linearità della strada. Gli alberi, che sono sempre stati uniformemente dritti e alti, diventano adesso cose confuse e contorte, con rami secchi e scheletrici privi di foglie. — Dove ci troviamo? — chiede a uno dei Distruttori, e il terribile uomo-bestia forse risponde o forse no, ma Clay comprende comunque di aver raggiunto il luogo che è conosciuto come Fuoco.

19

È un’altra di quelle regioni disperate. Una volta, forse, era una foresta, con alberi bellissimi collegati da una struttura strettamente serrata di viticci verdi e luminosi. Ma c’è stata una devastazione, non solo una volta, ma continua. Il terreno è un folto tappeto di cenere. Sente i detriti più freddi sul fondo e lo strato più caldo alla superficie dello strato di cenere. L’aria è perfettamente secca. Spirali di fumo blu untuoso salgono da minuscoli crateri conici di cenere a intervalli regolari. I tronchi degli alberi sono anneriti, resi vetrosi dagli effetti della combustione. I viticci pendono con inclinazioni irregolari e diverse, semidistrutti ove le fiamme li hanno lambiti.

Il calore non è più intenso; qualsiasi conflagrazione abbia bruciato tutto qui si è quasi esaurita, stabilizzandosi in un tepore più gradevole. Niente è troppo caldo da toccare, anche se il calore è un po’ ovunque. Ma il luogo dà l’impressione di aver attraversato incendi ripetuti. È un posto completamente ossidato; è completamente consumato. Un bagliore rossastro e violento si intravede in qualche punto sotto le ceneri, e gli dice che ha torto: se brucia ancora, è ancora attivo. Un po’. Eppure non ci deve essere troppa strada da fare. Aspettiamo la fine, ragazzi; non deve essere troppo lontana.

Avanza in mezzo alla cenere. Nuvole di detriti si sollevano a ogni suo passo. Una foschia vela leggermente il sole. Un gusto acre di carbonizzazione invade le sue narici.

— Cos’è successo, qui? — chiede.

I Distruttori ridono. — Questo posto è Fuoco — gli dice probabilmente uno di loro. — È assurdo cercare di distinguere l’evento dal risultato. Non è stato un incidente particolare. È una caratteristica del luogo.

— Brucia tutto, in continuazione?

— Noi incoraggiamo la cosa.