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Non può continuare a lottare.

Ha superato ogni prova; è sopravvissuto a ogni rischio. Ma non ha ottenuto nulla e ha perso moltissimo. Adesso si arrende. Non si misurerà contro lo Scuro.

Si siede. Incrocia le braccia intorno alle ginocchia. Fissa nel vuoto senza dire nulla.

Perché mi hai abbandonato?

Se potesse avere anche solo un segno, continuerebbe a procedere: una sola goccia di pioggia, il suono di un sospiro lontano, il passaggio nelle vicinanze di un uccello, uno sfavillìo di luci, un momento di luce stellare. Ma la nerezza è completa. Ne è schiacciato. Si sdraia piatto, braccia allargate, il volto verso il cielo assente, gli occhi aperti che però non vedono nulla. Non farà più nulla. Aspetterà.

Ricorda un mondo di forme, di contenuti e di colori. Le costellazioni luminose; i rami grigi e contorti degli alberi; l’occhio dorato di una rana; lo sferzare insistente di una furiosa tempesta di neve; una ricca e rossa sabbia desertica all’alba; il rosa profondo di un capezzolo sullo sfondo roseo di un seno; lo sfavillìo guizzante e veloce di un pesce argenteo in un laghetto verde; centrali per l’alta tensione contro un cielo estivo; un’iguana pronta a lanciarsi fulminea sulla sua preda; i colori stupefacenti dell’aurora; le acute scintille di un arco voltaico; la luce solare rossa e morente del New Jersey che si infrange sulle torri di Manhattan; schiuma bianca su un mare azzurro; i monaci sorridenti dei conventi zen; l’oceano; le montagne; le praterie; le paludi. Non rivedere mai più nessuna di tutte queste cose. Fissare con occhi assenti un mondo diventato cieco. Dove sono gli alberi? Dove sono le rane? Dove sono le stelle? Dov’è la luce?

Un milione di anni di vuota nerezza si srotolano su di lui.

— Basta! — mormora. — Basta!

E la luce invade il cielo. Ed Errore singhiozza. E un uccello passa vicino al suo naso in uno sbatter d’ali. E la pioggia gli rinfresca la pancia. E le stelle spuntano nella notte. E tutt’intorno a lui spuntano gli oggetti della natura, alberi e cespugli e piante da fiore, rocce e macigni, insetti chiacchierini, veli di rugiada, lucertole gialle, licheni azzurri, erba verde. Nella parte bassa del cielo una lama di luce compare e si allarga, diventando un ventaglio d’argento, un occhio fiero, un sole radioso. Cori celesti cantano. Il cielo blu, maculato di nubi, lo rischiara. Colori spuntano da tutte le parti. — Sono Hanmer — dice una voce gentile. — Sono amore. — Clay si siede. Gli Sfioratori sono intorno a lui. Hanno tutti forma femminile. Ninameen gli stringe un braccio, dicendo: — Io sono amore, sono Ninameen. — Ti gioca con i suoi piedi, Bril con i suoi capelli, Angelon unisce le sue dita a quelle di Clay, Serifice gli preme le labbra su una guancia. — Io sono amore — sussurra Serifice. — Io sono Angelon — dice Angelon. Lo fanno alzare in piedi. Ammicca. Adesso la luce è troppo forte per lui. — Dove sono stato? — chiede loro. — Nel Fuoco — dice Bril. — Nel mondo Pesante — dice Hanmer. — A Lento — mormora Ninameen. — Nel Vuoto — sussurra Angelon. — E nel regno Scuro — conclude Ti. — Ora sei con noi — lo confortano. — Dove siete stati? — chiede Clay. E loro: — Abbiamo nuotato nel Pozzo delle prime Cose. Abbiamo discusso della morte con gli Intercessori. Abbiamo visitato Marte e Nettuno. Abbiamo riso dell’Errore. Abbiamo insegnato la bellezza agli uomini-capra. Abbiamo amato i Distruttori e cantato per i Mangiatori.

— E adesso? E adesso?

— Adesso — dice Hanmer — faremo il Riempimento delle Valli.

23

Corrono insieme a lui. Lo spingono con decisione a tenere il passo, ma non ce n’è bisogno perché egli teme che lo perdano di nuovo, appena dopo averlo trovato, e quindi fa in modo di non perderli mai di vista. Dopo un po’ si fermano in una radura di alti alberi triangolari con foglie lunghe e pendenti. Il sole è alto e caldo. Si sdraiano con lui su un prato estremamente curato di erba bluastra sotto quella strana vegetazione. Clay è stato solo così a lungo che quasi non sa còme rivolgersi loro. Infine, la domanda: — Perché non siete venuti da me prima?

— Pensavamo che tu ti stessi divertendo — risponde Hanmer.

— Parli sul serio? Sì, pare di sì, Ma… — Clay scuote la testa. — Io stavo soffrendo.

— Stavi imparando. Stavi crescendo.

— Provavo dolore. Sia fisico che morale.

Hanmer stringe una coscia di Clay. Dice: — Sei sicuro che si trattasse di dolore? — e si muta in maschio. — Adesso è arrivato il momento del Riempimento delle Valli — dice.

— Uno dei Cinque Riti? — chiede Clay.

— Il quarto. Il ciclo è quasi completo. Vuoi partecipare? — Clay si stringe nelle spalle. Gli Sfioratori, i loro rituali, la loro obliquità, la loro imprevedibilità hanno cominciato a stufarlo. Sente un certo affetto per loro, eppure si chiede se non sarebbe meglio tornare nella polla del Quoi, nella riva fangosa dell’Aspettatore, perfino nel mondo-galleria, prima che qualche altra novità proposta dagli Sfioratori si riveli peggiore di quelle precedenti. Scaccia bruscamente il pensiero. Sono le sue guide e i suoi amici. Li ama. Lo amano. Annuisce. — Che cosa devo fare? — chiede.

— Sdraiati — dice Hanmer. — Chiudi gli occhi. Renditi ricettivo.

Intuisce che sta per perderli di nuovo. — Aspetta — dice, — Non andartene. Hanmer, non potremmo conoscerci meglio? Non puoi lasciarmi penetrare dietro la tua facciata superficiale? Che cosa senti in realtà? Quale pensi che sia lo scopo della vita? Perché ci troviamo in questo posto? Hai sempre paura? Sei sempre insicuro? Hanmer? — Alza gli occhi. Hanmer è evanescente, già sulla strada dell’invisibilità. Non rimane altro che il sorriso. — Hanmer? Non andartene, Hanmer. Non cominciare ancora il rito. Parlami. Se mi ami, Hanmer, parlami!

— Sdraiati — dice Hanmer. — Chiudi gli occhi. Renditi ricettivo.

È scomparso anche il sorriso. Di nuovo solo. Fa come gli è stato detto.

Dopo un attimo sente delle mani carezzargli il corpo. Morbide dita carnose tracciano sentieri di sensualità sul suo petto, nel canale tra il collo e le spalle, sulle guance, lungo i lobi delle orecchie. Il tocco tenero attraversa la sua pancia e arriva al suo pene flaccido, che rapidamente si innalza appena aumenta leggermente la stretta sull’asta inturgidita. Altre mani giocano con i suoi piedi. Un polpastrello leggero stuzzica la radice del suo scroto. La respirazione diventa affannosa per l’eccitazione. Si irrigidisce, annaspa; inarca la schiena. Come sono sensuali, quelle mani! Com’è leggero il loro tocco! Sente la deliziosa carezza sulle cosce, all’inguine, sul volto, sulle mani, sui piedi, sulle spalle, sulle braccia, sulla gola. Centinaia di mani lo stanno toccando contemporaneamente.