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25

Si verifica una sorta di catastrofe geologica, e il Caos si sguinzaglia un po’ ovunque nel mondo. Uno degli uccelli di Hanmer porta la notizia; gli Sfioratori lo vedono subito, contemporaneamente. — Vieni — dicono. — Potrebbe essere molto bello, chi lo sa?

Non perdono tempo a camminare. La distanza è troppo grande. Invece si dissolvono e si trasferiscono, portando Clay con loro. Sotto forma di lampi guizzanti di energia grigio-verde volano attraverso il cielo a un’altezza di parecchie miglia, gettando ombre elettromagnetiche invertite che scintillano e ronzano nell’atmosfera. Guardando in basso, Clay immagina di vedere la strada dei suoi recenti vagabondaggi, ma non ne è sicuro. Da questa altezza tutte le cose sembrano mescolate insieme, e anche dopo che Ninameen gli ha insegnato come regolare la sua visione, Clay continua ad avere dei dubbi. Pensa che quell’estensione di grigio laggiù potrebbe essere Vuoto, ma Angelon gli rivela che è una vallata morta, paludosa e desertica. Vede un settore completamente nero e chiede se è Scuro, e apprende che sta semplicemente volando sul Pozzo delle Prime Cose. — Che cos’è? — lui chiede, e Hanmer ride, spiegando: — È il fratello di quello che vedremo oggi.

Attraversano un oceano. — Vedo i Fluttuatoli! — grida Bril, e Hanmer decide di lasciar dare un’occhiata a Clay. Così scendono in un attimo di qualche migliaio di metri. Appena sotto la superficie dell’acqua si muovono una dozzina di bestie immense e maestose, verdi e striate d’oro: ognuna è lunga almeno un miglio, e ha un singolo occhio placido, enorme, in cima al cranio piatto, più un paio di tentacoli squamosi a forma di baffi dall’altra parte. Clay riesce a entrare in contatto con le loro menti. È come vagare attraverso i banchi corallini di un mare tropicale: enormi, ma complessi. I pensieri dei Fluttuatori sono lenti e contorti, e si sviluppano in figure barocche sugli immensi tenitori dell’anima, ricoperti da una ricca crosta multicolore d’immagini di anemoni e altri parassiti: spugne, aragoste, granchi, crostacei in genere. Negli interstizi di queste strutture nuotano i granchi dello spirito, dai grandi occhi e dalle molte tenaglie, pesci istrice con lunghe spine acuminate, tranquilli paguri e ippocampi, pesci palla, pesci luna, lucci. Un letto scintillante di pura sabbia bianca si estende sotto di loro. E mentre si spinge cautamente attraverso la flora sommersa delle menti dei Fluttuatori, Clay si rende conto che tutto questo gli è estremamente alieno: non riesce a comprendere nulla di quanto tocca.

— Anche loro sono umani? — chiede.

— No — dice Hanmer. — Sono solo animali.

— Come fanno a sostenere corpi di dimensioni tanto colossali? Come fanno a trovare abbastanza cibo? Come fanno a evitare di essere distrutti dal loro stesso peso?

— Oh, spesso ne vengono dilaniati — risponde Hanmer. — Ma la cosa per loro non è importante. Dopo si riassembrano. — Scendono ancora più in basso, fino a quando finiscono quasi a portata di mano di quelle enormi isole fluttuanti di carne. Parecchi Fluttuatori voltano l’enorme e pigro occhio dorato verso di lui. — Non atterrare su uno di loro — lo avverte Hanmer. — Ci affonderesti dentro. — Clay esplora la mente contorta di un Fluttuatore a distanza ravvicinata, seguendo sentieri che si aggrovigliano e avvinghiano, fino a quando si perde in una foresta di alghe che ondeggiano lievemente. Ci sono squali? Ci sono barracuda? Da quel lento moto pigro proviene un singolo pensiero coerente, possente, intenso: la visione di un Fluttuatore che giace morto su una spiaggia, in decomposizione, annerito, e che ricopre vasti settori della costa, attraendo sciacalli dai diversi continenti. L’immagine si attenua e Clay è di nuovo fuori dal suo elemento, intrappolato negli incomprensibili corridoi del giardino di corallo. — Dobbiamo andare — mormora Hanmer. — Non sono strani? Non sono belli? Li veniamo spesso a visitare. Li troviamo rilassanti e originali.

— Amiamo gli animali — osserva Ninameen.

Risalgono. Accelerano attraverso il mare cristallino. Poco tempo dopo compare la costa, terra bruciata costellata di alberi sgraziati e nodosi. Qui è prima mattina. Il nuovo continente ha un aspetto rozzo, terreni aridi e montagne erose; i colori che Clay vede dall’alto sono il grigio, il blu, il nero e il verde cupo. Viaggiano verso l’entroterra per un po’, e poi fanno un’improvvisa discesa in una pianura dissestata. Davanti a loro sorge una grande montagna isolata, priva di alberi e levigata. A un po’ più di metà della sua altezza, lungo il pendio orientale, si apre una tremenda ferita, un punto da cui sono scaturite tonnellate di roccia, creando un passaggio verso le parti più interne della montagna stessa. È per mezzo di questo passaggio che il Caos si è aperto la strada.

— Non capisco — dice a bassa voce Clay.

— Limitati a guardare. Limitati a guardare.

E lui guarda. Quello che sembra un fiume sta scaturendo dalla ferita sul fianco della montagna. Ma il fluido che fuoriesce è nebbioso e confuso, e porta in sé una moltitudine di forme indistinte. Il flusso oscuro è accompagnato da vapori. Strani tracciati si formano e degenerano nel suo alone bianco: Clay vede mostri, piramidi, animali dell’antichità, macchine, vegetali, cristalli, ma nulla che duri. Gli Sfioratori lo portano più vicino allo spettacolo: sospirano ed esprimono il loro piacere davanti a quella visione. Di che colore è il flusso? Sembra un blu luminoso screziato da filamenti rossi, ma mentre Clay si sta quasi convincendo di aver scoperto una netta tonalità di verde, con alcune chiazze marrone o castano si accorge di non saper affatto definire quei colori, né gli altri che appaiono subito dopo. Né riesce a identificare le forme che vede. Nulla dura: tutto è preso dal flusso. Il torrente emerge orizzontalmente, scorrendo sul fianco della montagna per coprire il crepaccio che contrassegna il punto della ferita, e dopo qualche centinaio di metri improvvisamente precipita verso il basso, scendendo veloce in una serie di sette od otto cateratte fino a raggiungere il terreno. Ai piedi della montagna si è formato un laghetto dove atterra il flusso del Caos. Fuori di quel laghetto, nota Clay, continuano a sbocciare assurde stranezze: animali che si arrampicano sulla spiaggia e corrono disperatamente via, goffi trattori e altri aggeggi, monoliti dotati di autopropulsore. Tra tutti non ci sono due soli oggetti simili. Qui la regola è un’interminabile inventiva. Vede il guscio lucente di una bestia che rotola e oscilla da un’estremità all’altra, e una spessa creatura serpentiforme, un verme dalle antenne luminose, una sbarra nera che cammina, un pesce che balla, una galleria con le gambe. Vede un trio di occhi giganteschi senza corpo. Vede due braccia verdi che si stringono l’un l’altra in una stretta disperata e omicida. Vede uno squadrone di uova rosse in marcia. Vede ruote con le mani e teste senza uomini.

Ognuno di questi miracoli attraversa veloce la pianura come se solo allontanandosi rapidamente dal luogo della sua creazione avesse una possibilità di sopravvivere. Ma tutti incontrano lo stesso destino, che striscino, marcino, rotolino, danzino, si contorcano, saltellino, sbattano, nuotino, corrano, camminino, scivolino o balzino fuori dal perverso laghetto. Ognuno di quegli orrori riesce a coprire forse un miglio; poi muore, dissolvendosi e perdendo rapidamente sostanza: dopo qualche momento è svanito. Il Caos primordiale richiama indietro le sue creature. Di tanto in tanto qualche mostruosità particolarmente dinamica cerca di sottrarsi alla sua sorte fuggendo disperatamente lungo la pianura. Inutile. Inutile. La realtà sfugge da tutti; il forte perde concretezza come il debole. Clay prova compassione di fronte a quella scena: infatti, mentre alcune delle cose generate dal Caos sono decisamente orripilanti, altre sono solo affascinanti, eleganti, aggraziate, delicate o amabili, e lui non ha fatto in tempo a cominciare ad apprezzarne la bellezza sottile che già sono scomparse.