Alla fine dice, timidamente: — Hanmer? Serifice? Nina…
— …meen — finisce lei, stiracchiandosi pigramente. — Hai fatto una bella nuotata?
— Strana. Hai visto… le cose che sono successe?
— Tipo? — La voce è quella di Hammer.
— Gli spruzzi d’acqua. Il tamburo. Il sole. Le stelle.
— Ah, quello. Niente di importante.
— Che cos’era, in ogni modo?
— Effetti collaterali. — Uno sbadiglio. Si girano: schiene infangate rivolte verso il sole. Clay se ne sta lì, gelato, con le braccia che penzolano scioccamente. — Effetti collaterali? Ninameen — dice. — Ti?.
— Sei infelice? — chiede uno di loro.
— Incuriosito.
— Sì?
— Gli spruzzi d’acqua. Il tamburo. Il sole. Le stelle.
— Cose che capitano. Abbiamo completato il ciclo.
— Il ciclo?
— Il quinto rito. Il Rimodellamento del Cielo.
— L’avete fatto voi?
— Sì, e molto bene. E adesso ci riposiamo. — La voce è quella di Hammer. — Viene a sdraiarti accanto a noi. Riposati. Riposati. Riposati. Il ciclo è completo.
28
Non gli danno nessuna risposta soddisfacente. Risprofondano nel loro stato stuporoso. Si sente abbandonato, tradito. L’hanno fatto partecipare agli altri quattro riti: perché non a questo? Hanno privato la sua vita di un’esperienza. E si sono stancati di lui. Fa un passo indietro, rabbioso e vergognoso. Ha perso qualcosa di importanza fondamentale, o così crede. Forse ha perso addirittura la possibilità di afferrare la chiave che apre lo scrigno con la risposta ai suoi enigmi. E loro non se ne preoccupano. Loro non se ne preoccupano.
Irritato, risale la duna e comincia a camminare velocemente verso l’interno.
La sabbia affonda sotto i suoi piedi, rallentandogli la marcia. Nota, inoltre, piccoli sentieri sul terreno, le tracce di creature piatte e grigie arrancanti che assomigliano un po’ a scorpioni. Non gli prestano la minima attenzione, e diverse volte, attraversando il sentiero di uno di essi, corre il rischio di schiacciarlo. È preoccupato: non gli piacerebbe calpestare una di quelle creature, inferocita. Ma ben presto la sabbia lascia il posto a un arido terriccio rossastro, costellato da piante bluastre dall’aspetto carnoso, e le creature arrancanti scompaiono alla vista.
Si chiede dove può andare.
Non sa ancora decidere se ha abbandonato gli Sfioratori per una ripicca passeggera, o se non si tratti di un addio definitivo. Il suo risentimento verso di loro può anche diminuire; dopo tutto, gli hanno offerto momenti straordinari, e forse, prima di quanto creda, vorrà tornare da loro. D’altra parte non vuole costringere persone che lo trovano noioso ad accettarlo per forza. Può benissimo cercare di riaffermare la sua indipendenza. Non sembra che ci sia bisogno di cibo o di riparo, in quel mondo, e a Clay resta sempre la speranza di trovare altri compagni d’avventura, quando i vagabondaggi solitali avranno perso il loro fascino. È convinto di non avere la minima speranza di poter fare ritorno alla sua epoca.
Per la maggior parte della mattina, cammina e attraversa una regione calda e arida di vaste pianure e curiosi altipiani purpurei, e nel frattempo si trastulla con l’idea che se la caverà da solo. Più ci pensa, più attraente gli sembra. Sì, esplorerà ogni continente, cercherà città sotterranee risalenti a epoche non lontane dalla sua; cercherà manufatti e altre curiosità prodotte dai figli dell’uomo, e metterà alla prova i poteri che forse ha acquisito sotto quel sole magico. E, magari, fabbricherà una specie di carta, e scriverà un diario delle sue avventure, sia per propria illuminazione sia per informare altri della sua specie che il tempo abbia rapito al suo stesso modo. Converserà coi Respiratori, Mangiatori, Distruttori, Aspettatoli e Sfioratori, ogni volta che li incontrerà, e con gli Intercessori se gli capiterà di incontrarli, e con qualsiasi altro essere di epoche precedenti scaraventato quaggiù dai risucchi del flusso temporale: uomini-capra, sferoidi, abitatori delle gallerie, e altri ancora. Si sente in preda a qualcosa di simile all’estasi, e assapora la libertà di questa progettata nuova vita. Sì! Sì! Perché no? La gioia di una tale idea si agita come un pallone nella sua anima e, come un pallone, esplode bruscamente, mandandolo ruzzoloni sul terreno, scosso e solitario.
Si pente di aver abbandonato gli Sfioratori.
Deve tornare da loro e chiedere se lo accetteranno ancora.
Stranamente confuso, rimane dov’è, accucciato, ginocchia e gomiti nella polvere, stravolto, gli occhi che seguono un grande serpente globulare che si svolge davanti a lui. L’inerzia lo colpisce ancora: su, guardati intorno, trova i tuoi amici. Si alza lentamente. La dolce brezza tiepida spira con una certa intensità, accarezzandogli la pelle sudata. Corre, del tutto indifferente ai serpenti presenti un po’ ovunque. Dov’è il mare? Dove sono gli Sfioratori? Segue il sole. Il terreno lascia il posto alla sabbia, i serpenti agli scorpioni. Sente le onde. Sale sulla duna. Ecco il posto: vede le sue tracce, ricorda l’amichevole gaiezza di Ninameen, la cordiale bonarietà di Hanmer, le profondità mistiche di Serifice, la bellezza di Ti, l’attenzione di Angelon, la tenerezza di Bril. Come ha potuto lasciarli? Sono i suoi amici. E più importante ancora: sono parte di lui, e lui, spera, è parte di loro. Ben avviati sulla strada del settenario… Abbiamo condiviso tante esperienze. La mia rabbia momentanea, infantile! Fratelli miei, sorelle mie: un po’ superficiali, a volte, ma del resto era prevedibile; c’è un tale abisso di tempo che ci separa. Riuscirei a comprendere, io, i sentimenti di un Cro-Magnon? Riuscirei a capire un decimo delle cose che dice? Ma non c’è motivo di separarci solo per questo. Dobbiamo amarci. Dobbiamo stare vicini.
Arriva all’ultima duna e vede la spiaggia, e trova i segni dove gli Sfioratori si sono sdraiati, ma loro non ci sono più.
— Hanmer? Serifice? Ti?
Non sono neppure nei dintorni.
Urla, agita le braccia, cerca qualche impronta. Inutile, inutile, inutile. Non hanno lasciato la minima traccia. Sono spariti, balenando attraverso la stratosfera, magari diretti su Saturno, in un balzo solo. L’hanno dimenticato. Gli sta bene. Chiama i loro nomi senza speranza. Rotola disperato nella sabbia. Si tuffa nell’acqua, sperando di trovare per lo meno la sua sirena. Nessuno. Nulla. Abbandonato. Solo.
Tutta colpa tua. Ma adesso?
Aspetterà. Gli Sfioratori l’hanno già salvato altre volte dalla solitudine; magari lo faranno ancora. Nel frattempo andrà per la sua strada, e si pentirà del suo gesto impulsivo, e spererà. E spererà. Ancora una volta si dirige verso l’entroterra, questa volta in direzione diversa rispetto al suo sentiero precedente, perché quella distesa di serpenti non gli piaceva affatto. Se mai ritroverà ancora gli Sfioratori, decide, non li lascerà mai più, non volontariamente, almeno. La terra qui è molto simile all’altro posto, anche se non è così calda; una fila di basse colline fa da scudo al vento secco e torrido. Ci sono serpenti anche qui, ma di tipo diverso, verdi e con scaglie cremisi. Lasciano tracce luccicanti e nette sul terreno spoglio. Più di una volta, incidentalmente, Clay ne calpesta qualcuno, i serpenti scricchiolano ed emettono un sibilo, sinistro, che lo lascia desolato e pieno di vergogna. Studia i suoi passi, posando ogni volta i piedi con la massima attenzione, e il pensiero di evitare i serpenti lo ossessiona a tal punto che non nota nemmeno le alterazioni nell’aspetto dell’ambiente circostante. Sono comparsi alcuni alberi: conici dalla punta aguzza, corti, tali da sembrare incroci tra palme da dattero e funghi velenosi. Ci sono alcuni piccoli ruscelli, e, come presto scopre, si sta avvicinando alla casa di qualcuno.