Giacquero entrambi sul pavimento, ansanti, ebbri di stanchezza. Appena percettibile, nello studio sbarrato dietro di loro, s’udì la voce impaziente d’un telefonista risuonare nel microfono abbandonato sulla scrivania. Poi nella casa echeggiò un singhiozzo di Nora, dominata dal terrore pur nel faticoso dormiveglia in cui era immersa:
«Sam!... Sam!».
Il letto gemette, mentre Sam Quain si voltava agitato, ma senza svegliarsi del tutto. Barbee, soffocando, perché il terribile fetore aveva cominciato a trapelare dalla porta, riuscì a spingere a colpi di muso e di spalla la lupa bianca, attraverso la cucina di Nora, fino in giardino e poi sul prato.
Salvi! La luce zodiacale andava già levando la sua colonna di pallido argento a oriente. Nelle fattorie oltre la città s’udivano i galli cantare. Un cane ululava chi sa dove. Il pericolo dell’alba s’avvicinava e la lupa bianca era sempre come priva di vita.
Disperato, cominciò a lambirle la candida pelliccia. Il corpo sottile della lupa cominciò a palpitare, come sotto una respirazione che riprendesse il suo ritmo regolare. Debolmente, si rialzò. Ansimava, la rossa lingua penzolante. Gli occhi erano colmi di terrore.
«Oh, Will, sarei morta in quella trappola, se tu non mi avessi portata fuori!» Le si incupirono maggiormente gli occhi. «Ciò che quella cassa contiene è ancora più letale di quanto immaginassi. Non siamo in grado di distruggerlo. Possiamo solo colpire coloro che sperano di usarlo contro di noi... e poi seppellirlo di nuovo, finché non sia di nuovo dimenticato, come sotto quei tumuli dell’Ala-shan.»
Barbee scosse la testa, riluttante:
«Colpire Sam? Nick? Rex?».
«Tu non hai più amici tra gli esseri umani, Will, perché tutti gli uomini ci ammazzerebbero, se sapessero. È nostro dovere distruggere tutti i nemici del Figlio della Notte, prima di morire. Ma Quain non è più il primo della lista, dopo la telefonata che sai. È alla vedova di Mondrick che dobbiamo pensare, prima che riesca a parlargli.»
«No, io non farò del male a quella povera donna! E tu dimentichi la sua cecità, perché è una creatura umana così reale...»
«Ma tu non lo sei, Will...» E ancora una volta il muso lungo e sottile della lupa parve tendersi in un sogghigno. «E non credo che lo sia del tutto nemmeno lei. Deve avere abbastanza del nostro sangue, per essere così pericolosa per la nostra specie. Ha imparato, poi, troppe cose dal marito e troppe altre deve averne viste in Africa. È un’avversaria temibile, ma noi dobbiamo tentare...»
«No, io non farò nulla contro Rowena!»
«Tu farai quello che devi fare, Will, perché sei quello che sei. Tu sei libero, questa notte, e tutte le tue inibizioni umane sono rimaste col tuo corpo addormentato. E stai correndo con me questa notte, come la nostra razza spenta correva un tempo, e abbiamo una preda umana da inseguire. Vieni, Will, prima che sia giorno.»
Attraversarono veloci e lievi il gran prato, con la gradevole sensazione della brina che crepitava dolcemente sotto i loro cuscinetti, vigili a ogni suono e odore della città dormiente, e perfino i graveolenti sentori di un camion che passava — quello del lattaio — parevano fragranti, ora, dopo il fetore che li aveva quasi uccisi nello studio di Quain.
A ovest dell’università, in University Avenue, si fermarono presso la vecchia casa di mattoni, dal giardino incolto. Barbee rimase indietro, nel vedere il velo di crespo nero pendere dalla porta d’ingresso, ma la lupa sottile e veloce si volse a guardarlo invitante, e il suo odore di bosco finì per dissolvere le sue ultime perplessità. Perché il suo corpo, ormai, giaceva lontano, e i suoi ceppi umani erano spezzati. La cosa che per lui contava di più era quella lupa bianca, così viva e affascinante. Lui era con il suo branco, ora, in cui tutti seguivano il Figlio della Notte. Attese con lei, presso la porta, che i pannelli si dissolvessero.
La lupa bianca sussultò accanto a lui, e le nari di Barbee percepirono l’odore acuto e disgustoso di cane. A entrambi il pelo si rizzò ispido sul collo e la lupa bianca emise un ringhio sommesso e prolungato.
A poco a poco, Barbee vide la parte inferiore della porta sfumare nell’irrealtà e poi, oltre la minuscola anticamera, la stanza così familiare, con la nera caverna del caminetto e la massa scura del gran piano a coda di Rowena. S’udirono anche dei passi frettolosi e si scorsero vaghe ombre muoversi nella casa buia. La serratura scattò e la porta fu spalancata di colpo.
La lupa si ritrasse con un balzo dietro il suo compagno, digrignando silenziosamente i denti. Un’ondata di odori li sommerse, irrompendo dalla porta spalancata: quello della stufetta a gas che ardeva nel camino, e la densa dolcezza delle rose sul pianoforte; c’era anche il profumo di lavanda e di naftalina delle vesti di Rowena Mondrick e l’acre e caldo odore spaurito del suo corpo. Ma su ogni altro sentore dominava quello di cane.
Quel lezzo lo colmò di un terrore più antico ancora del genere umano, destando in lui un odio di razza implacabile. Col pelo irto, le zanne a nudo, s’acquattò per affrontare un nemico da epoche immemorabili.
Rowena Mondrick comparve sulla soglia, con al fianco, al guinzaglio, l’enorme cane che ringhiava sordamente. Avvolta in una vestaglia di seta nera, si fermò sulla soglia, alta e severamente eretta. La luce lontana di un lampione trasse riflessi pallidi dalla collana d’argento che aveva sul seno e dai bracciali e anelli d’argento massiccio. Rifulse gelida sulla punta di uno stiletto argenteo che la donna impugnava.
«Aiutami», Barbee sentì che la lupa gli diceva, «aiutami ad abbatterla!»
Quella cieca alta e sottile, che stringeva un pugnale acuminato e aveva accanto a sé una belva minacciosa, era stata un tempo sua amica. Ma ora Barbee sentì di odiarla, di detestare l’essere umano che era. Strisciando sul ventre, i due lupi mossero verso la preda.
«Cercherò di afferrarla al braccio, mentre tu devi saltarle alla gola prima che possa servirsi di quella lama d’argento», fu l’ordine di April.
La faccia bianca e sottile di Rowena era stanca, oscurata da una tristezza senza nome. La cieca piegò il capo da una parte e Barbee rabbrividì per la sconcertante impressione che le buie lenti nere potessero vederlo.
«Will Barbee.» Ella pronunciò il nome a bassa voce, dolcemente, chinando il viso verso di lui, come se lo vedesse. E in quella voce il tono era solo di lieve rimprovero. «Sapevo il pericolo che correvi, e ti ho avvertito di guardarti da quella piccola strega perversa, ma non avrei mai creduto che tu rinnegassi la tua umanità così presto.»
Barbee si volse a guardare la lupa bianca, già disposto a desistere, ma il feroce scherno delle sue zanne scoperte lo fermò.
«È un grande dolore per me, Will», riprese la cieca, «che sia tu, ma ora so che hai ceduto al sangue nero che scorre nelle tue vene... avevo sempre sperato che tu potessi dominarlo: non tutti coloro che hanno sangue nero appartengono alla razza delle streghe, Will, lo so molto bene. Ma con te mi sono sbagliata.» Fece una pausa, più rigida che mai nella sua severa vestaglia di lutto. «So che sei qui, Will Barbee.» Gli parve di vederla rabbrividire, mentre stringeva con mano più ferma lo stiletto di puro argento. «E so quello che vuoi.» Il cane fissava gli occhi gialli sulla lupa bianca, seguendone ogni movimento e ringhiando con segreta ferocia. «Lo so, ma non sarà facile uccidermi.»
La lupa, sempre strisciando, volse il capo a guardare il suo compagno: «Tienti pronto», lo avvertì. «Quando le sarò sotto il gomito!»
Il lupo grigio raccolse le forze e misurò la distanza che lo divideva dalla gola della cieca, pronto a balzare. Sapeva di dover obbedire, la sua umanità perduta non era più che un vago sogno, e la sola realtà per lui era il presente, ormai.