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Cedendo a un impulso improvviso, telefonò ad April al Trojan Arms. Non intendeva parlarle del sogno, ma solo udire la sua voce e sapere dove si trovava. Si sarebbe scusato di non essere più andato a trovarla, il giorno prima, e le avrebbe chiesto un altro appuntamento. Fu con voce tremante, che chiese della signorina Bell.

«Mi dispiace», disse l’uomo al banco, «ma non possiamo disturbare la si­gnorina.»

«Sono un amico», insistette Barbee, «vedrete che non si seccherà.»

Ma l’uomo fu irremovibile e allora Barbee chiese del direttore. La pubblici­tà conta parecchio per un direttore d’albergo, e Gilkins infatti ci teneva, di regola, ad accontentare i giornalisti. Ma il caso di April Bell rappresentava, a quanto parve, l’eccezione a quella regola.

«Spiacente, signor Barbee», mormorò con mortificata correttezza, «ma dav­vero non possiamo disturbare la signorina. Abbia pazienza, vecchio mio, la signorina, vede, dorme sempre fino a mezzogiorno e ha dato ordini precisi di non essere svegliata per nessunissimo motivo, a meno che non si tratti di un incendio o di un assassinio.»

Barbee cercò di non rabbrividire alle ultime parole. La ragazza dai capelli di fiamma se la prendeva piuttosto comoda per essere una semplice pratican­te in un giornale della sera, quel genere di giornali che vogliono tutti presenti fin dall’alba. Pregò che l’avvertissero che lui aveva telefonato, e s’impose di non pensare più all’incubo della notte.

Si vestì in fretta e furia, si fermò a bere un caffè al bar dell’angolo e infine pilotò la sua vecchia baracca verso il centro. Aveva bisogno di sentirsi gente intorno. Esseri umani. Aveva nostalgia di voci familiari, di udire il ticchettìo delle macchine da scrivere e delle telescriventi, il fruscio martellante delle linotypes e il fracasso rombante delle rotative. Si fermò all’edicola di Ben Chittum davanti allo Star e chiese notizie di Rex.

«È sconvolto», disse il vecchio, che sembrava anche lui piuttosto depresso. «La morte di Mondrick deve averlo colpito terribilmente. Si è fermato ieri un momento a salutarmi, dopo il funerale, ma non sembrava che avesse mol­ta voglia di parlare. E poi doveva tornare subito all’Istituto.»

Fece una pausa per accomodare meglio un pacco di giornali e poi scrutò attentamente Barbee: «Ma perché i giornali non ne parlano più?», domandò. «C’eri tu, all’aeroporto, e quella ragazza del Call. Mi parrebbe importante, quando un uomo come Mondrick muore in quel modo, se fossi io il capocronista. E invece i giornali quasi non ne dicono niente.»

«Possibile?», rispose Barbee stupito. «Ero convinto che ne avrebbero fatto un servizio da prima pagina, con titolo enorme, che ho buttato giù un pezzo di almeno seicento parole. E poi ero abbastanza sconvolto anch’io e non mi sono curato di vedere che cosa possono aver tolto.»

«Guarda», disse il vecchietto. E gli mostrò una copia dello Star della vigilia. Non una sola parola del suo articolo era stata stampata. Su una delle pagine interne, c’era soltanto l’annuncio del funerale di Mondrick alle due del po­meriggio.

«Strano», disse, e con un’alzata di spalle si scrollò di dosso il piccolo enig­ma. Aveva ben altri misteri da risolvere, quando ne avesse avuto voglia. E attraversò la strada, lieto di ritrovarsi nell’ordinata confusione della sala cro­nisti.

Sul suo tavolo trovò un familiare foglietto blu da memorandum, che gli co­municava di presentarsi da Preston Troy. Lo Star non era la più importante delle imprese industriali di Troy, che comprendevano stabilimenti, mulini, il Trojan Trust, la stazione radio e il circolo di baseball. Ma il giornale era il suo giocattolo favorito, tanto che sbrigava quasi tutti i suoi affari nello spazioso studio d’angolo che si era riservato sopra la sala cronisti.

Barbee trovò l’editore che dettava una lettera a una sottile segretaria dai capelli d’un biondo tiziano (Troy era famoso per la raffinata bellezza delle sue segretarie). Era un uomo robusto e tarchiato, con un cerchio sottile di capelli rossicci attorno alla cupola rosea della testa. Fissò Barbee con due scaltri occhi azzurri e fece ruotare il grosso sigaro da un angolo all’altro della bocca larga e sensuale.

«Prenda la cartella Walraven», ordinò alla ragazza, poi i suoi occhi gelidi si posarono di nuovo su Barbee. «Il suo direttore mi dice che lei è un uomo in gamba, Barbee. Voglio offrirle la possibilità d’un servizio importante, firma­to, per montare la candidatura del colonnello Walraven al Senato.»

«Grazie, Presidente», disse Barbee, senza molto entusiasmo per il colonnel­lo Walraven. «Ho visto che Grady non ha passato il mio pezzo sulla morte di Mondrick, ieri.»

«Gli ho detto io di non pubblicarlo.»

«Potrebbe dirmi perché?» E Barbee piantò gli occhi bellicosamente sul ro­seo volto del proprietario. «A me sembrava che fosse roba da prima pagina. Profondo interesse umano e tutto un lato misterioso, molto giallo: Mondrick, capisce, è morto mentre stava dicendo che cosa aveva portato dall’Asia in quella cassa verde... Ed è ancora valido, come servizio, Presidente.» Barbee cercò di soffocare l’irritazione che lo stava dominando. «Il verdetto del coroner è stato di morte per cause naturali, ma gli amici dello scienziato si com­portano come se non credessero una sola parola del verdetto. Stanno na­scondendo ciò che si trova nella cassa e hanno più che mai paura di parlare.» Ancora Barbee cercò di dominarsi. «Affidi a me questo lavoro, Presidente. Con un fotografo, monterò un servizio che farà di Clarendon la città più famosa del mondo. Voglio scoprire perché Mondrick è andato nell’Ala-shan, e voglio scoprire di che cosa hanno paura quegli uomini, e che cosa nascon­dono in quella cassa.»

Gli occhi con cui Troy lo fissava erano duri e inespressivi.

«Troppo sensazionale per lo Star.»La voce del Presidente s’era fatta bru­scamente dittatoriale. «Non pensiamoci più, Barbee. Si metta a lavorare sul colonnello.»

«Troppo sensazionale, Presidente? Ma se ha sempre sostenuto che la cro­naca nera dev’essere la chiave di volta dello Star...»

«Ho già fissato quella che dev’essere la linea del nostro giornale!», urlò quasi l’editore. «Non si stamperà una sola parola sul caso Mondrick. E non se ne stamperà una parola, come constaterà lei stesso, su nessun altro gior­nale importante.»

Barbee cercò di non dare troppo a vedere il suo stupore.

«Ma io non riesco a non pensarci, Presidente», protestò. «Devo assoluta­mente scoprire che cosa nasconde Sam Quain in quella cassa. Ne sono osses­sionato. Lo sogno la notte.»

«Ci si dedicherà nelle ore libere... e a suo rischio e pericolo.» La voce di Troy era fredda e recisa. «Non certo per il giornale.» Osservò il suo dipen­dente con occhi penetranti, spostando ancora il grosso sigaro da un angolo all’altro della bocca. «Ah, un’altra cosa, Barbee: si metta in testa che il suo organismo non è una distilleria clandestina: meglio piantarla di bere.»

Aprì un cassetto della scrivania e la sua dura faccia di sciolse.

«Ecco un buon sigaro, Barbee.»

La sua voce s’era fatta di nuovo calda e cordiale. «Qui c’è tutta la pratica Walraven. Voglio una serie di articoli biografici. La giovinezza di duri stenti, laboriosa, l’eroismo degli anni di guerra, le opere di beneficenza segreta, la felice vita domestica, le sue prestazioni ispirate al più alto senso patriottico durante la sua attività a Washington. E tralasci tutto quanto possa dispiacere agli elettori.»

Che è parecchio, pensò Barbee. E ad alta voce:

«Benissimo, Presidente».

Ritornò al suo tavolo nella sala cronaca del giornale e cominciò a esamina­re i ritagli che gli aveva dato il Presidente. Ma sapeva troppe cose di quelle che i ritagli tacevano, delle obbligazioni emesse per l’impianto di fognature cittadine e dello scandalo dell’autostrada, e perché la sua prima moglie lo aveva lasciato. Era difficile concentrarsi sull’insipido compito di riverniciare a nuovo un uomo simile per il Senato, e si accorse di fissare al di sopra della macchina per scrivere l’immagine sottile di un lupo che, su un calendario, ululava alla luna, e di pensare con nostalgia alla meravigliosa libertà, al pote­re straordinario che aveva goduto in sogno.