Выбрать главу

Al diavolo anche Walraven.

Barbee capì che era assolutamente necessario per lui arrivare alla cono­scenza dei fatti che stavano sotto la morte di Mondrick, la follia di Rowena e l’assurda confessione di April Bell. Se poi lui non faceva altro che trarre pazzesche fantasie dal whisky e da una serie di coincidenze, tanto valeva saperlo. Diversamente... anche la pazzia, in fin dei conti, era preferibile al­l’insopportabile tran-tran d’un cronista dello Star.

Cacciò il materiale Walraven alla rinfusa in un cassetto, e tratta la sua auto dal parcheggio percorse tutta Center Street verso l’università. Non riusciva a capire perché il caso Mondrick non rientrasse nella «linea» del giornale: non c’era mai cosa, prima, che fosse abbastanza sensazionale per Preston Troy. A ogni modo, giornale o non giornale, lui doveva sapere che cosa ci fosse, in quella cassa. Fermò la macchina davanti alla villetta di Sam Quain: aveva esattamente lo stesso aspetto che aveva avuto nel sogno, c’era perfino il sec­chiello di latta arrugginito, con la paletta di Pat che aveva visto durante la notte sul mucchio di sabbia per i giochi. Picchiò, cercando di vincere il males­sere che lo dominava, e Nora venne ad aprire dalla cucina dove stava lavo­rando.

«Oh, Will... avanti!»

Una blanda sorpresa le dilatava gli occhi azzurri, un po’ sbattuti, parve al giornalista, e con le palpebre gonfie, come se non avesse dormito bene. Non poté fare a meno di fiutare l’aria, timoroso di percepire l’atroce fetore che doveva emanare dalla cassa chiusa dello studio. Ma nell’aria aleggiava sola­mente il caldo aroma dell’arrosto che Nora aveva messo nel forno.

«Sono venuto a cercare Sam per intervistarlo ancora sulla spedizione e su quello che hanno trovato nell’Ala-shan.»

La donna aggrottò la fronte.

«Meglio non pensarci più, Will», rispose a disagio. «Sam non vuole parlarne con nessuno, nemmeno con me. Io non so che cosa abbiano portato in quella misteriosa cassa e Sam non ti direbbe niente.»

«Dov’è Sam adesso?»

«È andato all’Istituto. Ha un gran da fare, là, perché, mi ha detto, stanno impiantando un nuòvo laboratorio. Ha telefonato all’Istituto, quando si è svegliato questa mattina tutto impensierito, e Nick e Rex sono venuti a pren­dere lui e la sua cassa con una giardinetta. Non ha fatto nemmeno colazio­ne.»

Nora guardò Barbee con occhi imploranti. «Mi ha detto di stare tranquilla», riprese, «ma io sto tanto in pensiero. Poco fa ha telefonato per avvertirmi che questa sera non verrà a casa. Immagino che si tratti di una grande scoperta, che li renderà tutti famosi quando sarà resa nota, ma non riesco a capire il loro modo di fare. Sembrano tutti così... spaventati!» Si scosse, e riprese in tono più allegro: «Speriamo almeno che Rex dirà...». E s’interrup­pe, come chi ha parlato troppo.

«Dirà che cosa?», insistette Barbee.

«Sam mi ha detto di non parlarne a nessuno...» Torse il grembiule con le mani arrossate dal bucato. «Mi fido di te, Will, ma davvero non avrei dovuto parlarne... Promettimi almeno che non lo pubblicherai.» Un’ombra di terrore le incupì gli occhi. «Oh, Will, sono così sconvolta... non so che cosa fare.»

Barbee le batté la mano sulla spalla grassoccia, tranquillizzante: «Non stam­però nulla di quello che mi dirai», promise.

«Sai, non è molto, a dir la verità», riprese lei in tono di gratitudine. «Sem­plicemente che Sam ha rimandato qui Rex, stamattina, a prendere la nostra macchina. Dovevo portarla al garage per farle stringere i freni. Sembra che Rex, mi ha detto Sam al telefono, debba andare con la nostra macchina a State College, stasera, a fare un discorso alla radio.»

«Su che cosa?»

«Non lo so... Sam mi ha solo detto che l’Istituto si è accordato con la radio per una trasmissione speciale, stasera. Mi ha pregato anzi di stare in ascolto al nostro apparecchio. Ma di non parlarne a nessuno. Io spero proprio che questa sera spiegheranno un poco tutti questi misteri. Tu non ne parlerai, vero, Will?»

«Stai tranquilla. Oh, buongiorno, Pat, come stai?»

La piccola Patricia uscì lentamente dalla nursery e s’attaccò alla mano della madre. I suoi occhi azzurri erano più arrossati di quelli di Nora e il suo visetto s’era composto come in una ferma espressione di non voler piangere più.

«Sto bene, signor Will, grazie.» La sua vocina rivelò lo sforzo di non spez­zarsi. «Lo sa? Il mio povero Grillo, lo hanno ammazzato questa notte.»

Barbee sentì un gelido vento soffiare dalle tenebre della sua mente. Tossì per nascondere un sussulto di terrore.

«Oh, ma è terribile!», disse. «E com’è stato?»

Gli azzurri occhioni umidi tremarono.

«Sono venuti due grossi cani, questa notte, uno bianco e uno grigio, per portare via la cassa del papà nello studio. Il povero Grillo è uscito per fer­marli e allora il grande cane grigio lo ha ucciso.»

Muto e sconvolto, Barbee si volse a gardare interrogativamente Nora.

«Questo è quanto va ripetendo la bambina», rispose, con voce stanca. «Cer­to, il suo cagnolino è morto. Lo abbiamo trovato sul mucchio di sabbia que­sta mattina, proprio dove Pat mi aveva detto di guardare, quando si è sveglia­ta piangendo.»

La spalla della donna si alzò in un gesto d’impotenza davanti all’inesplicabi­le.

«Io, a ogni modo», insistette risolutamente, «sono convinta che la povera bestiola sia stata travolta da un’automobile. Ci sono di quegli studenti che la notte guidano la macchina come forsennati. Probabilmente, Grillo si è tra­scinato fin sul mucchio di sabbia e Pat deve averlo udito gemere.»

«No, mammina, no!», protestò la piccola. «È stato quel grande cane grigio, che è venuto con un bel cane bianco, quando li ho sognati. Anche papà ha detto che era vero.»

Nora accarezzò il volto della figlia, e rivolgendosi a Barbee:

«Il fatto è che Sam è diventato pallido come un cencio, quando la bambina ha raccontato il suo sogno, ed è corso subito nello studio a vedere la cassa». Lo guardò preoccupata: «Sei pallido, Will... non ti senti bene?».

«Ho fatto anch’io un sogno piuttosto buffo», disse Barbee cercando di sorri­dere. «Dev’essere stato qualcosa che m’è rimasto sullo stomaco. Be’, ora farò un salto all’Istituto e cercherò di vedere Sam.» Pose una mano sulla schiena rotonda della piccola. «Mi dispiace proprio tanto per il povero Grillo, sai, cara?»

La bimba si ritrasse di scatto di sotto alla sua mano e andò a nascondere il visetto rattristato dietro la gonna della madre.

«Non credo che Sam sarà disposto a dirti qualcosa», stava dicendo Nora. «Ma se ti dicesse qualche cosa, Will... me lo farai sapere?» Lo accompagnò fin sulla soglia e, abbassando la voce per non farsi sentire dalla bimba: «Ti prego, Will, ho tanta paura, sapessi, e non so che cosa fare!».

10.

Un basso, inconsueto silenzio, quasi di cattivo augurio, dominava i corridoi semideserti dell’Istituto fondato da Mondrick. Invece della ragazza che si aspettava di vedere al banco delle informazioni, Barbee trovò un uomo mol­to robusto e un po’ troppo maturo per il maglione da studente che portava.

«Spiacente, signore», disse facendo il cipiglio al giornalista, «biblioteca e museo sono chiusi oggi.»

«D’accordo», rispose cortesemente Barbee, «ma io vorrei solo parlare al dottor Quain.»

«Il dottor Quain è occupatissimo.»

«Allora il dottor Spivak o il dottor Chittum.»