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«Occupatissimi anche loro.» Il cipiglio dell’omone si accentuò. «Niente visi­te, oggi.»

Barbee stava ripassando mentalmente le sue strategie per la violazione di domicili particolarmente inviolabili, quando vide due uomini oziare nell’a­scensore automatico. Anche loro sembravano un po’ troppo maturi per i ma­glioni con l’emblema giallo e nero dell’università che avevano addosso, e si misero a guardarlo a loro volta un po’ troppo duramente. Il giornalista notò anche il gonfiore che avevano sotto la giacca, e ricordò che Quain aveva assunto alcune guardie per l’Istituto.

Scribacchiò allora su un biglietto di visita: «Sam, risparmierai guai a te e a me, se mi riceverai subito». Spinse il biglietto con un dollaro sul tavolo e sorrise allegramente al guardiano, che lo fissava con occhio gelido.

«Le dispiacerebbe far avere questo al dottor Quain?»

In silenzio, l’uomo respinse il dollaro e portò il biglietto da visita verso l’ascensore. Zoppicava come un poliziotto stanco, e Barbee notò l’enorme rigonfiamento della sua rivoltella sotto la giacca. Sam Quain evidentemente era deciso a proteggere la cassa.

Attese dieci infelici minuti sotto lo sguardo di pietra dell’omaccione, quan­do a un tratto Sam uscì a passo rapido dall’ascensore. Si sentì stringere il cuore all’aspetto sconvolto del giovane scienziato. Era senza giacca, con le maniche della camicia rimboccate e le sue grandi mani esalavano un odore di sostanze chimiche, come se fosse stato interrotto durante qualche esperi­mento di laboratorio. La faccia non rasata era pallida e tesa dalla stanchezza.

«Di qua, Will.»

Posò gli occhi su Barbee senza amicizia e invitò con un gesto il giornalista a seguirlo fino in fondo al corridoio in una sala, che per qualche istante lasciò Barbee perplesso. Le pareti erano ricoperte di grandi carte geografiche che riproducevano i cinque continenti e di altre che Barbee capì essere ricostru­zioni delle varie linee costiere e delle masse continentali scomparse nel pas­sato geologico. Una serie di computer occupava un’estremità della sala, da­vanti a grandi schedari d’acciaio.

Barbee si chiese fuggevolmente quali generi di dati e riferimenti Mondrick e i suoi collaboratori avessero raccolto e analizzassero in quella sala. Fiumi e montagne di quei continenti scomparsi, più antichi ancora delle leggendarie Lemuria e Atlantide, apparivano con particolareggiata evidenza: li attraver­savano linee di frontiera colorate.

Sam Quain si chiuse l’uscio alle spalle e andò a porsi accanto a un tavolo, volgendosi poi a guardare Barbee. C’erano alcune sedie, ma non ne offrì una a Barbee. Strinse un pugno, convulsamente, in un gesto inconscio di emozio­ne controllata.

«Meglio che la pianti, Will», disse con voce piena d’una contenuta veemen­za. «Nel tuo stesso interesse.»

«Dimmi perché», lo sfidò Barbee.

Uno spasimo d’angoscia contorse il volto emaciato di Quain. I suoi occhi dolenti si levarono per un attimo verso le carte geografiche di un remotissi­mo passato. Tossì, e la sua voce parve non potergli più uscire dalla gola.

«Will, ti prego di non chiedermi questo!»

Barbee sedette sull’angolo del tavolo.

«Siamo amici, Sam... o per lo meno lo eravamo un tempo. Per questo sono venuto qui. Tu puoi dirmi cose che devo sapere... per motivi straordinaria­mente urgenti.»

Il volto di Sam si chiuse.

«Io non posso dirti nulla.»

«Dammi retta, Sam!» Nella voce di Barbee vibrò una nota imperativa. «Che cosa cercava di dire il povero Mondrick quando morì? Che cosa avete trova­to nell’Ala-shan, e che cosa contiene la cassa verde?» Scrutò il viso torvo di Quain. «E chi è il Figlio della Notte?»

Tacque, in attesa, ma Quain deliberatamente non rispose.

«Potresti anche rispondermi, Sam», insistette Barbee con asprezza. «Lavoro per un giornale, ricordatelo, e so come si fa a scoprire quello che si vuol tenere nascosto. Io scoprirò quello che nascondi, con o senza il tuo aiuto!»

Sam Quain socchiuse gli occhi e il pomo d’Adamo gli salì e scese come a fatica sulla gola.

«Non sai in che pasticcio vuoi andare a cacciarti», disse a un tratto con voce bassa e dolente. «Possibile che tu non possa lasciarci tranquilli in questa fac­cenda... finché resta ancora un po’ della nostra amicizia? Cerca, per una vol­ta tanto, di scordarti il mestiere che fai!»

«Ma io non sono qui per lo Star»,spiegò Barbee. «Il giornale non s’interes­sa alla cosa. Ma accadono fatti che io non riesco a capire. Debbo risolvere alcuni enigmi, Sam, che rischiano di farmi perdere la ragione!»

Per un istante la voce gli venne a mancare.

«So che tu e gli altri avete paura di qualche cosa, Sam. Se no, non avreste preso tutte quelle precauzioni per proteggere Mondrick all’aeroporto. E non avresti trasformato questo edificio in una fortezza... Qual è il pericolo, Sam?»

Cocciuto, Quain scosse il capo.

«È meglio che non ci pensi più, Will. La risposta non ti farebbe più felice...»

Barbee si alzò tremando dal tavolo.

«Qualcosa la so già», disse roco. «Abbastanza per farmi diventare pazzo. Sento che stai scatenando una guerra terribile contro... qualcosa, e che ci sono dentro anch’io, Dio sa come. Ma io voglio stare dalla tua parte, Sam.»

Sam sedette pesantemente nella poltrona dietro il tavolo, e si mise a giocherellare distratto con un fermacarte: la piccola lampada romana di Mon­drick, vide Barbee, con i due gemelli figli di Marte e di una vergine protesi verso le mammelle di una lupa.

«Qualunque cosa tu sappia può essere fonte di sciagura... per entrambi, Will.» Respinse bruscamente la lampada di terracotta lontano, e rimase per un lungo tratto in silenzio, guardando Barbee con occhi tormentati. «Temo che tu soffra di allucinazioni», riprese poi, con dolcezza. «Nora mi ha detto che in questi ultimi mesi hai lavorato molto e bevuto troppo, Will, e credo che abbia ragione. Hai bisogno d’un periodo di riposo. Perché non te ne vai da Clarendon per qualche giorno, prima che ti colga un esaurimento nervoso di prima grandezza? Posso aiutarti in modo che tu non abbia da spendere un soldo... se mi prometti di prendere oggi nel pomeriggio l’aereo per Albuquerque.»

Barbee lo fissava muto e accigliato.

«Vedi», riprese Quain, «l’Istituto in questi giorni ha una piccola spedizione nel Nuovo Messico, dove si fanno scavi in antiche caverne d’abitazione alla ricerca di resti che possano illuminarci sul perché l’homo sapiens era già estinto nell’emisfero occidentale quando vi giunsero gli amerindi. Ma tu non avrai bisogno d’annoiarti coi loro lavori.» Sorrise, incoraggiante. «Perché non ti prendi una settimana? Telefono io a Troy, per il permesso. Potresti anzi tirar fuori qualche corrispondenza per il giornale da questa gita nel Nuovo Messico. Ti prendi del bel sole, aria buona, fai del moto e ti dimenti­chi di Mondrick e tutto il resto. Eh?»

E allungò il braccio verso l’apparecchio telefonico che si trovava sul tavolo. Ma Barbee scosse il capo.

«Non mi lascio comperare, Sam.» Vide il rossore di rabbia di Quain. «Non so quello che vuoi nascondere, ma non mi farai tagliar la corda così facilmen­te. No, intendo restare e vedere come si mettono le cose.»

Quain si alzò, rigido e freddo.

«Mondrick non si fidava di te, Will... già molto tempo fa. Non ha mai voluto dirci perché. Può darsi che sbagliasse e può darsi che avesse ragione. Ma noi non possiamo correre rischi.» La sua faccia ora rivelava una decisa ostilità. «Mi dispiace che tu abbia deciso di essere irragionevole. Io non tentavo di corromperti, ma ora debbo veramente metterti sull’avviso: piantala, Will. Se non la smetti con le tue indagini in faccende che non ti riguardano... saremo costretti a fartele smettere noi. Abbi pazienza, Will, ma le cose stanno così, e la colpa non è mia.» Scosse la testa ossuta e abbronzata con sincero ramma­rico. «Pensaci, Will. Ora devo andare.»