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«Presto, Will», lo spronò April, premendo le ginocchia contro i suoi fianchi possenti. «Dobbiamo raggiungerli sul Sardis Hill.»

Accelerò il passo, godendo del suo immenso potere, esultando del limpido gelo dell’aria, dei buoni odori di terra e di vita che gli sfioravano le nari, della calda levità della donna sul suo corpo. Ora sì che la sua vita era piena! April Bell lo aveva ridestato, lo aveva salvato da una morte squallida e lenta, ogni giorno più vera.

«Più presto!», ansimò April.

La buia pianura e i piedi delle colline fuggivano ai loro lati come una nube volante. Ma quando la strada cominciò a snodarsi sui fianchi dei colli più elevati, tra nere chiazze boscose, anche il suo cuore possente cominciò a palpitargli dolorosamente. Riconosceva i luoghi. Il padre di Sam Quain ave­va un piccolo ranch da quelle parti, che poi era stato venduto dopo la sua morte. E Barbee e Sam andavano a caccia per quei boschi.

I suoi fianchi pulsavano con forza, all’unisono col suo fiato anelante.

«Mancheranno ancora una trentina di chilometri a Sardis Hill», protestò. «E la salita è ripida.»

«Lo è ancora di più per la macchina del tuo amico... E poi c’è un motivo perché lo si debba raggiungere sul Sardis Hill.»

«Quale?»

«Noi non siamo mai così forti come ci sembra, in questo stato di libertà fisica. Perché i nostri veri corpi sono stati abbandonati solo in parte e il no­stro complesso mentale può attingere solo alle energie causali che può strap­pare agli atomi dell’aria, o di altre sostanze, mediante il circuito delle proba­bilità. Tutto il nostro potere sta nel controllo delle probabilità e noi dobbia­mo colpire là dove quel controllo si rivela opportuno.»

Scosse l’immensa testa felina, intollerante di quelle complicazioni teoriche. I paradossi della fisica matematica lo avevano sempre sbalordito, e ora gli bastava la consapevolezza della sua attuale potenza vitale, senza aver la cu­riosità di conoscerne la causa atomica.

«Quali probabilità?», volle sapere.

«Rex Chittum è al sicuro da noi, finché guida l’automobile con prudenza su un rettifilo pianeggiante... Quain deve averlo istruito e messo in guardia, e la probabilità che noi gli si possa fare del male è troppo esigua perché si possa afferrarla. Ma se corri», e le mani della donna si afferrarono alla sua fulva pelliccia, «in modo da raggiungerlo sul Sardis Hill, le probabilità ch’egli muoia si accresceranno enormemente quando si avvierà giù per quella doppia curva... Sento queste cose, e lo so: Rex Chittum ha paura. Accelererà troppo, malgrado gli avvertimenti di Quain.»

April si distese sulla sua lunga groppa tigrata.

«Più presto!», urlò nel vento della corsa che le fischiava alle orecchie. «Più presto, e uccideremo Rex Chittum sul Sardis Hill!»

Rabbrividì sotto di lei, mentre si tendeva in uno sforzo gigantesco per rag­giungere il massimo della velocità. Ora si vedevano i primi pini, e Barbee ne aspirò la pura fragranza, mentre i suoi occhi potevano distinguere ogni ago, ogni frutto, nitidamente, nella fievole luce degli astri.

Infine, al di là della pineta, le rosse luci posteriori d’una macchina ammic­carono un paio di volte prima di scomparire.

«Laggiù!», esclamò la ragazza. «Raggiungiamolo, Will!»

Ancora uno sforzo, che tese i suoi lunghi muscoli fino a procuragli un dolo­re atroce e trasformò i suoi polmoni in due mantici lancinanti, e la strana coppia fu a pochi metri dai fanali rossi. L’auto arrancava lenta sul tratto più duro della salita che portava su, al passo di Sardis Hill. Era la piccola mac­china convertibile, vide, che Nora aveva comperato durante l’assenza di Sam. La cappotta era aperta, malgrado il freddo della notte: Barbee ricordava, infatti, che non funzionava bene. Chino sul volante, rinfagottato in un gran cappotto nero, Rex Chittum aveva palesemente freddo e paura.

«Bravo, Will», lodò April. «Ora seguiamolo così, da vicino, fino alla curva.»

Barbee rispose con un altro balzo, che lo riportò dietro la macchina. Il mo­tore ringhiava faticosamente su per la salita ripidissima, e l’aria dietro la vettura puzzava di gomma calda e di benzina combusta. Rex Chittum si vol­tò, a guardarsi alle spalle con apprensione. La bruna testa era senza cappel­lo: Barbee poteva distinguere quasi uno per uno i suoi capelli ricci, scompo­sti dal vento. Nonostante la stanchezza che gli rendeva il viso terreo e la paura che gli dilatava pazzamente le pupille, era ancora bello, come ai tempi lontani di loro, «Quattro Mulattieri»...

Barbee brontolò sordamente:

«Non voglio fargli del male... siamo andati a scuola insieme, e mi prestava sempre il suo ultimo dollaro, quando ne aveva più bisogno di me».

«Corri, Will», mormorò April, «non farti distanziare.»

Si voltò di scatto, levando le terribili zanne simili a due candide scimitarre lampeggianti. «Pensa a quel povero vecchio di Ben Chittum», si diceva. «Rex è tutto ciò che gli è rimasto al mondo. Si era ridotto a fare qualunque lavoro, a vestire stracci per mantenere Rex agli studi, quando erano venuti a stare a Clarendon. Perché spezzargli il cuore?»

«Corri, Barbee», insisteva la voce limpida, spietata di April. «Dobbiamo fare il nostro dovere, perché siamo quello che siamo, tu e io.» Si pose ad accarezzargli la groppa. «Per salvare la nostra specie e difendere il Figlio della Notte.»

Il corpo lungo e voluttuoso della donna aderiva, disteso, al suo fulvo man­tello, e i suoi calcagni nudi premevano contro i suoi fianchi pulsanti.

«Aspetta, sempre restando dietro la macchina, fino alla curva, quando Rex comincerà ad accelerare, quando il circuito delle probabilità sarà abbastanza forte... non lo senti crescere?...»

Barbee si sentì invadere da un desiderio irresistibile di obbedire alla volon­tà di quella creatura, che era più forte della sua vita, che era la vita stessa.

«Ecco!... Ora!»

Barbee si lanciò avanti in un balzo spaventoso, ma la piccola macchina si allontanava, accelerando giù per la discesa dopo il passo. Gli artigli formida­bili delle sue zampe anteriori si strinsero sull’asfalto, mentre le esalazioni che uscivano dal tubo di scappamento minacciavano di soffocarlo.

«Attaccalo, ora!», lo spronò ancora la donna. «Ora che il circuito è forte a sufficienza!»

Ancora un balzo spaventoso, e come un enorme gatto Barbee si trovò ag­grappato alla parte posteriore della macchina, con le zampe anteriori salda­mente infisse nella cappotta e quelle posteriori posate sul paraurti e un para­fango.

«Uccidi, ora! Prima che il circuito s’interrompa!»

Rex Chittum si volse ancora, a guardarsi alle spalle con occhi incupiti dal­l’ombra del terrore, e rabbrividì, nel suo pesante cappotto, sebbene non ve­desse le terribili zanne a scimitarra incombere sul suo capo. E un lieve sorri­so gli passò sul volto devastato dalla stanchezza e dalla tensione:

«Ce l’ho fatta!», mormorò. «Sam diceva che il pericolo era...»

«Ora!», sibilò per l’ultima volta April. «Mentre i suoi occhi non guardano la strada!» E Barbee non se la sentì più sulla groppa.

Fulminee, perché il poveretto non soffrisse troppo, le lunghe zanne calaro­no lampeggiando. Rex Chittum gli era stato amico fedele e affettuoso in quel mondo morto, indistinto, del suo passato... di un passato ormai terribilmente remoto. E le zanne squarciarono con feroce determinazione la gola calda dell’uomo.

Le mani si abbandonarono inerti sul volante. La macchina aveva tenuto una velocità troppo elevata, e questo, sentì Barbee, aveva intensificato il campo delle probabilità. I pneumatici fumarono sull’asfalto, sobbalzarono sulla ghiaia ai margini della strada, mentre l’automobile, sbandando, usciva dalla curva strettissima.

Barbee si staccò dalla macchina nell’istante che questa precipitava oltre il ciglio. Rimase ansante, sulle quattro zampe, a guardare giù, nel precipizio. April gli venne accanto, e stettero entrambi a guardare, mentre lei gli si at­taccava al mantello con mani fredde.