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«Oh, non ha più nulla da temere, ora», la rassicurò con voce allegra l’infer­miera. «Qui non verrà nessuno a farle del male.»

«Sono venuti una volta e verranno ancora!», ribatté Rowena con voce che l’esasperazione rendeva stridula. «Vogliono impedirmi di avvertire Sam Quain, e io devo farlo a ogni costo.»

Si fermò bruscamente, afferrandosi con le tenaci dita sottili al braccio del­l’infermiera. Barbee si fermò alle loro spalle, non per soprendere le sue pa­role, ma perché il colpo di quanto aveva sentito lo aveva raggelato: Turk era infatti morto, nel suo primo sogno.

«La prego, infermiera», stava ora implorando la cieca. «Telefoni subito al dottor Sam Quain, Istituto Ricerche Antropologiche, e gli dica di venire su­bito qui da me.»

«Sono desolata, signora Mondrick, lo sa bene», disse dolce e paziente l’in­fermiera, «ma è impossibile: il dottore dice che non può vedere nessuno, finché non starà meglio. Se solo volesse rilassare un poco i nervi, riposare e aiutarci a farla guarire al più presto, il dottor Glenn le permetterà di vedere chiunque...»

«Ma non abbiamo tempo! Ho paura che ritornino questa notte per uccider­mi, e io devo parlare a Sam!» Si volse torcendosi le mani all’infermiera. «Perché non mi accompagna all’Istituto, lei stessa, ora?»

«Conosce anche lei il regolamento, signora Mondrick: non possiamo...»

«Sam la ricompenserà largamente!», ansimò disperata Rowena. «E sarà lie­to di spiegare tutto ai dottori... perché il mio avvertimento gli avrà salvato la vita, e non solo la sua vita... Presto, chiami un tassi, noleggi una macchina, rubiamone una!»

«Possiamo mandare al dottor Quain un suo biglietto, signora...»

«No!», sibilò Rowena. «Un biglietto non servirebbe a nulla!»

Barbee fece un passo innanzi e aprì la bocca per parlare. Le due infermiere gli voltavano ancora le spalle, ma Rowena s’era voltata e lui poteva ora fis­sare le lenti nere e il volto contratto della povera cieca. Pieno di compassio­ne, Barbee si sentì gli occhi colmi di lacrime.

«Ma perché, signora Mondrick?», diceva l’infermiera. «Quale pericolo può minacciare il dottor Quain?»

«Un uomo di cui si fida», singhiozzò la cieca.

Queste parole arrestarono Barbee un’altra volta. Anche se avesse voluto parlare, la gola serrata spasmodicamente glielo avrebbe impedito. Cominciò a ritirarsi in silenzio sul prato umido, ascoltando senza volere.

«Un uomo che lui crede amico», ribadì Rowena.

L’infermiera che non aveva ancora parlato guardò l’orologio e fece un cen­no alla compagna, che annuì.

«Abbiamo camminato parecchio, signora Mondrick», disse l’infermiera alta, «e ora è tempo di rientrare. Lei sarà stanca e farà bene a schiacciare un pisolino. Se ha ancora intenzione di parlare al dottor Quain, il dottor Glenn le permetterà di telefonargli, oggi nel pomeriggio.»

«No», singhiozzò la cieca. «Non servirebbe a niente.»

«Ma perché? Non ha un telefono?»

«Sì, e anche tutti i nostri nemici lo hanno. Tutti quei mostri che fingono di essere uomini. Ascoltano tutto quello che dico e intercettano le mie lettere. Turk era stato abituato a riconoscerli al fiuto, ma ora Turk è scomparso. E il mio caro marito è morto. Non è rimasto nessun altro di cui possa fidarmi, tranne Sam Quain!»

«Di noi può fidarsi, signora Mondrick», disse l’infermiera in tono affettuo­so. «Ma ora dobbiamo proprio rientrare.»

«Va bene», disse Rowena, «andiamo.»

Si volse, come rassegnata, ma bruscamente si liberò con uno strattone delle due donne, colte di sorpresa, e si mise a correre via per il prato. «Signora Mondrick, che cosa fa! Via, non deve fare così!»

Le due ragazze si misero a inseguirla, ma la poveretta correva con un’agilità incredibile. Per qualche istante parve guadagnare terreno e Barbee pensò che potesse raggiungere il gruppo d’alberi presso il fiume. Aveva quasi di­menticato che Rowena era cieca, ma a un tratto la povera donna inciampò nel sostegno di un innaffiatoio automatico e cadde bocconi sul prato.

Le due infermiere accorsero e l’aiutarono a rialzarsi, e tenendola per le braccia con dolce fermezza si avviarono verso l’edificio centrale. Barbee fu preso da un desiderio imperioso di fuggir via, quando vide le tre donne veni­re verso di lui, perché la follia di Rowena risolveva anche troppo l’enigma dei suoi sogni; ed era stato colto dal terrore che gli ispirava la frenetica luci­dità intravista sotto l’apparente pazzia della cieca.

«Buongiorno, signore», gli disse l’infermiera alta, squadrandolo incuriosita e tenendo Rowena più saldamente che mai. «Desidera qualche cosa?»

«Ho lasciato ora la mia macchina nel parcheggio della clinica», disse Barbee indicando col mento lo spiazzo dietro l’edificio. «E vorrei vedere il dottor Glenn.»

«È al di là della siepe che dovete andare», sorrise l’infermiera al suo errore evidente, «dove c’è il viale che gira intorno alla palazzina. E dia il suo nome alla signorina alla porta.»

Barbee non la udì nemmeno, intento a osservare Rowena, che si era irrigi­dita al suono della sua voce e ora se ne stava muta e immobile fra le due infermiere, come gelata dal terrore.

Gli occhiali neri erano caduti, o si erano spezzati, quando aveva inciampa­to, e ora le sue occhiaie spente e straziate aggiungevano una nota di orrore alla sua pallida faccia terrificata.

«Sono Will Barbee.» Non voleva più parlarle, ora; aveva sentito anche trop­po per la sua curiosità, ma non poté fare a meno di chiederle con la sua voce strozzata: «Dimmi, Rowena, che cosa devi dire a Sam Quain?».

Ritta davanti a lui, gli spenti occhi colmi di un orrore immobile, la cieca fu scossa da un tale brivido, che le due infermiere credettero che volesse fuggi­re nuovamente, e le strinsero le braccia con maggior forza. La sua bocca livida si aprì come per un urlo, ma non ne uscì suono alcuno.

«Dimmi, Rowena, perché quel leopardo nero ti aggredì in Nigeria?» Questa domanda gli era uscita dalla bocca nel modo più inatteso, senza che se ne rendesse conto. «E che specie di leopardo era?»

La cieca strinse fermamente le labbra.

«Che cosa cercava realmente Mondrick nell’Ala-shan?» Barbee sapeva che lei non intendeva rispondere, ma continuò, come spinto da una forza sovru­mana: «Che cosa hanno riportato lui e Sam in quella cassa verde? Chi può aver voluto la loro morte?».

Lei si ritrasse di scatto, scuotendo la testa.

«Basta, signore», intervenne severamente l’infermiera, «non spaventi la si­gnora! Se vuole veramente parlare al dottor Glenn, l’ingresso è laggiù.»

Le due infermiere si avviarono, sostenendo la povera cieca.

«Ma chi sono questi nemici segreti?», insistette Barbee seguendole di qual­che passo. «Questi assassini nell’ombra? Chi vuole uccidere Sam?»

Lei si divincolò tra le forti braccia che la tenevano, voltandosi verso di lui.

«Non lo sai proprio, Will Barbee?» E la sua voce lacerata gli parve orrenda come la sua faccia. «Possibile che proprio tu non lo sappia?»

Poi con dolce violenza le due infermiere la portarono via per il prato.

Barbee, sconvolto e disperato, tornò verso l’apertura della siepe, cercando di non pensare alle parole di Rowena, sperando contro se stesso che Glenn potesse aiutarlo.

Nel tempio freudiano, la sacerdotessa sottile ed esotica lo accolse col suo sorriso fascinoso. Ma alla notizia che Barbee voleva vedere Glenn senza ap­puntamento, si mostrò contrariata e disse che il professore era anche questa volta terribilmente occupato.

Barbee scosse il capo e cercò di parlare con la voce più normale possibile.

«Senta», disse, «è urgente che io veda il dottor Glenn per una visita perso­nale. È una cosa... personale.»

Il sorriso della sacerdotessa era una carezza venuta dal lontano oriente.