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Quando l’americano fu scomparso alla vista, Burton interruppe il lavoro. Era stato troppo precipitoso nel volersi risolvere a tagliare le strisce di pelle, e in più aveva l’intenzione di sventrare il cadavere per estrarne le budella. Senonché, per il momento, non poteva fare nulla per conservare pelle e intestini. Era possibile che la corteccia di quegli alberi simili a querce contenesse tannino, che poteva essere usato insieme ad altre sostanze per trasformare la pelle umana in cuoio. Però quegli organi sarebbero marciti prima che l’operazione fosse compiuta. Tuttavia Burton non aveva sprecato del tutto il suo tempo. Aveva constatato in pratica l’efficienza dei coltelli di selce, e rinfrescato le proprie conoscenze di anatomia umana, alquanto impallidite. Da giovani, a Pisa, Richard Burton e suo fratello Edward avevano frequentato gli studenti di medicina. Entrambi i Burton avevano imparato molto dagli studenti, e nessuno dei due aveva perso l’interesse all’anatomia. Edward era diventato chirurgo, e Richard aveva assistito, a Londra, a molte conferenze e ad autopsie pubbliche e private. Ma poi aveva dimenticato buona parte delle nozioni apprese.

Di botto il sole oltrepassò la cresta delle montagne. Una tenue ombra scese su Burton, e di lì a pochi minuti la valle intera fu sommersa nell’oscurità. Ma il cielo rimase a lungo di un blu acceso. La brezza continuava a soffiare con la stessa intensità. L’aria, impregnata di umidità, divenne un po’ più fresca. Burton e Kazz lasciarono il cadavere e si avviarono in direzione della voce degli altri. Questi erano accanto alla pietra-fungo di cui aveva parlato Brontich. Burton si chiese se vicino alla base della montagna ce ne fossero delle altre, collocate in fila a un intervallo di circa un chilometro. Quella lì, comunque, non aveva il graal al centro. Forse ciò significava che non era pronta per entrare in funzione. Ma Burton non pensava così. Si poteva presumere che Chi aveva creato le pietre-fungo avesse collocato un cilindro nelle cavità di quelle che si trovavano in riva al fiume perché i risorti avrebbero usato prima le più vicine. Quando avessero scoperto quelle nell’entroterra sarebbero già stati capaci di usarle.

I graal erano collocati nelle cavità del cerchio esterno. I proprietari erano lì accanto, in piedi o seduti: stavano parlando, ma i loro pensieri erano rivolti ai graal. Tutti si stavano chiedendo quando (o forse se) sarebbero apparse di nuovo le fiamme azzurre. Le conversazioni vertevano in gran parte sull’intensità della loro fame. Il resto era costituito soprattutto da congetture sul modo in cui erano giunti lì, su Chi li aveva messi lì, sul luogo in cui Egli poteva trovarsi, e su quello che era in serbo per loro. Alcuni parlavano della loro vita sulla Terra.

Burton si sedette sotto i lunghi rami, ricchi di foglie, dell’«albero del ferro», dal tronco nero e nodoso. Si sentiva stanco, come lo sembravano tutti gli altri eccetto Kazz. Il ventre vuoto e i nervi tesi gli impedivano di appisolarsi, benché il mormorio di voci e lo stormir delle foglie inducessero al sonno. La valletta in cui il gruppo si era messo in attesa consisteva in una zona piana alla confluenza di quattro colline, ed era circondata da alberi. Benché lì fosse più buio che in cima alle colline, sembrava che fosse anche un po’ più caldo. Dopo qualche momento, dato che l’oscurità e il buio erano aumentati, Burton organizzò una squadra di raccolta di legna per un fuoco. Usando i coltelli e le teste d’ascia abbatterono molte piante adulte di bambù e raccolsero mucchi d’erba. Col filo dell’accendino, caldo al calor bianco, Burton appiccò il fuoco alle foglie e all’erba. Poiché queste erano verdi, il falò rimase fumoso e insoddisfacente finché vi furono posti sopra i bambù.

Di botto un’esplosione fece balzare tutti quanti. Alcune donne strillarono. Nessuno si era più ricordato di tener d’occhio la pietra-fungo. Burton si voltò e fece in tempo a vedere le fiamme azzurre innalzarsi a sei metri circa. Perfino Brontich, che distava un sei metri dalla roccia, poté avvertire il calore prodotto dalla scarica.

Poi il rumore svanì, e gli astanti fissarono i graal. Ancora una volta Burton fu il primo a balzare sulla roccia: la maggior parte degli altri non si azzardava a salirvi finché non fosse passato un certo tempo dalla scomparsa delle fiamme. Burton sollevò il coperchio del proprio graal, guardò all’interno, e si mise a urlare di gioia. Gli altri si arrampicarono anch’essi e aprirono i propri graal. Neanche un attimo dopo erano seduti accanto al fuoco, mangiando a quattro palmenti, emettendo esclamazioni estatiche, mostrandosi scambievolmente quello che avevano trovato, ridendo, scherzando. Dopotutto le cose non andavano così male. Chi aveva provveduto a farli risorgere si stava ora prendendo cura di loro.

Il cibo era sovrabbondante, pur tenendo conto del fatto che avevano digiunato per tutto il giorno, o, come disse Frigate, «probabilmente per una mezza eternità». Dicendo questo intendeva, spiegò a Monat, che non si poteva stabilire quanto tempo fosse trascorso dal 2008. Quel mondo non era stato creato in un giorno, e preparare l’intera umanità per la resurrezione aveva senz’altro richiesto più di sette giorni. Sempre che la cosa fosse stata ottenuta con mezzi scientifici e non sovrannaturali.

Il graal di Burton aveva fruttato una bella bistecca di dieci centimetri, una pagnottella di pane scuro, burro, patate col sugo, e lattuga con un condimento sconosciuto ma dal sapore delizioso. In più c’era un bicchiere da liquore contenente dell’ottimo bourbon, e una piccola coppa con quattro cubetti di ghiaccio.

E c’era dell’altro, ancor più gradito in quanto inaspettato. Una piccola pipa di radica. Un sacchetto di tabacco da pipa. Tre sigari grandi come grissini. Un involucro di plastica contenente dieci sigarette.

— Senza filtro! — esclamò Frigate.

C’era anche una piccola sigaretta color marrone che Burton e Frigate annusarono dicendo all’unisono: — Marijuana!

Alice, soppesando una forbicina di metallo e un pettine nero, osservò: — Evidentemente riavremo i nostri capelli, altrimenti non ci sarebbe alcun bisogno di questi. Sono così felice! Ma… Loro si aspettano che io usi davvero questo?

Mostrò un bastoncino di rossetto d’un color porpora acceso.

— O che lo usi io? — replicò Frigate, guardando un identico bastoncino.

— Sono esseri eminentemente pratici — disse Monat, esaminando quello che senza dubbio era un rotolo di carta igienica. Poi tirò fuori una saponetta verde.

La bistecca di Burton era tenera, per quanto egli l’avrebbe preferita poco cotta. In compenso Frigate si lamentava perché la sua non era cotta abbastanza.

— È evidente che i graal non contengono dei menu preparati su misura secondo il gusto dei rispettivi proprietari — disse. — Questo può essere il motivo per cui noi uomini abbiamo ricevuto rossetti e le donne pipe. È una produzione di massa.

— Due miracoli in un sol giorno — osservò Burton. — Cioè, sempre che miracoli siano. Io preferisco una spiegazione razionale, e intendo trovarla. Penso che nessuno di quelli del mio tempo potrebbe spiegarmi in che modo siamo risorti. Ma forse voi del ventesimo secolo avete una teoria razionale riguardante la comparsa, apparentemente magica, di questi generi in un contenitore che prima era vuoto.

— Se lei confronta — disse Monat — l’interno e l’esterno del graal, potrà notare una differenza di profondità di circa cinque centimetri. Il doppio fondo deve nascondere un circuito integrato in grado di effettuare la conversione dell’energia in materia. L’energia, ovviamente, è prodotta durante la scarica che avviene nella roccia. Oltre al convertitore E-M, il graal deve contenere gli schemi molecolari… o matrici?… che consentono di foggiare la materia in svariate combinazioni di elementi e composti. Sono sicuro della fondatezza di queste supposizioni perché sul mio pianeta natio avevamo un convertitore simile. Ma non certo così miniaturizzato, ve lo posso assicurare.