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Burton, prima di seppellire il cadavere, gli estrasse i denti. I denti avevano un valore commerciale, perché potevano essere infilati su budella di pesce o su tendini formando collane assai richieste. Lo scalpo fece la stessa fine. I Sumeri avevano copiato dai loro nemici, gli Shawnee del diciassettesimo secolo che stavano dall’altra parte del Fiume, l’abitudine di togliere lo scalpo ai morti. Poi avevano aggiunto la trovata «civile» di cucirne insieme un certo numero ricavandone mantelli, gonne, e perfino tende. Alla borsa-merci uno scalpo non valeva quanto un dente, però aveva sempre una buona quotazione.

Mentre scavava una fossa accanto a un grosso macigno, alla base delle montagne, Burton ebbe un lampo di memoria che lo illuminò. Aveva interrotto un attimo il lavoro per bere un sorso d’acqua, quando gli capitò di dare un’occhiata a Goering. I lineamenti distesi come quelli di un dormiente e la testa completamente nuda fecero scattare una molla nella sua mente.

Quando si era svegliato in quello sterminato locale, trovandosi a fluttuare in una fila di corpi, aveva visto quel volto. Apparteneva a un corpo della fila accanto alla sua. Goering, come tutti gli altri dormienti, aveva la testa glabra. Burton l’aveva notato solo di sfuggita nel breve tempo trascorso prima che i Guardiani lo scoprissero sveglio. Più tardi, dopo la Resurrezione generale, quando aveva incontrato Goering non si era accorto della somiglianza tra lui e l’altro, in quanto il tedesco aveva una folta capigliatura biondastra.

Ma ora seppe che quell’uomo si era trovato accanto a lui nella camera di preresurrezione.

Era possibile che i loro resurrettori, così vicini l’uno all’altro materialmente, fossero anche entrati in risonanza? Se era così, ogniqualvolta la morte sua e di Goering fosse avvenuta all’incirca nello stesso istante, entrambi sarebbero risorti accanto alla medesima pietra-fungo. La battuta di Georing, cioè che essi erano anime gemelle, poteva essere non troppo lontana dal vero.

Burton riprese a scavare, imprecando al tempo stesso perché aveva tante domande e così poche risposte. Se avesse avuto un’altra possibilità di mettere le mani su un Etico gli avrebbe strappato fuori le risposte, in un modo o nell’altro.

Nei tre mesi che seguirono, Burton fu impegnato nell’adattarsi alla strana società di quella regione. Si trovò affascinato dalla nuova lingua che si era formata dalla fusione del sumero col samoano. Poiché i sumeri erano in maggior numero, la loro lingua aveva avuto il sopravvento sulle altre. Ma, come in ogni altro luogo, la lingua dominante aveva riportato una vittoria di Pirro. Il risultato della fusione era un dialetto ibrido con flessione assai ridotta e sintassi semplificata. Il genere grammaticale era stato eliminato, le parole troncate, tempi e modi del verbo ridotti al solo presente, che era usato anche per il futuro, mentre avverbi di tempo indicavano il passato. Le frasi idiomatiche erano state sostituite da espressioni che potessero essere comprese tanto dai sumeri quanto dai samoani, anche se le prime volte sembravano goffe e banali. E molte parole samoane, con qualche modifica alla pronuncia, avevano preso il posto delle corrispondenti sumere.

Una simile nascita di nuovi dialetti si stava verificando lungo tutta la valle del Fiume. Burton pensò che gli Etici dovevano affrettarsi se avevano intenzione di registrare tutte le lingue dell’umanità: quelle originali stavano scomparendo, o meglio si trasformavano. Ma, per quello che ne sapeva, Essi potevano aver già provveduto a tale compito. Forse i loro registratori, così necessari ai fini della Resurrezione, erano in grado di ricevere ogni lingua.

Nel frattempo Burton, di sera, quando aveva la possibilità di rimanere da solo, fumava i sigari così generosamente offerti dai graal e cercava di analizzare la situazione. A chi doveva credere? Agli Etici o al Traditore, lo Straniero Misterioso? O sia l’uno che gli altri mentivano?

Perché lo Straniero Misterioso aveva bisogno di lui per bloccare la macchina cosmica degli Etici? Com’era possibile che Burton, semplice essere umano intrappolato in quella valle e così limitato dalla sua ignoranza, fosse utile al Giuda?

Una cosa era certa: se lo Straniero non avesse avuto bisogno di lui non sarebbe andato a cercarlo. Invece voleva che egli raggiungesse quella Torre situata al Polo Nord.

Perché?

A Burton occorsero due settimane per trovare l’unica risposta ragionevole.

Lo Straniero aveva detto che né lui né gli altri Etici potevano togliere direttamente la vita a qualcuno. Però non aveva alcuno scrupolo a compiere tale azione per interposta persona, come dimostrava il fatto che aveva dato il veleno a Burton. Perciò, se voleva che Burton entrasse nella Torre, ciò significava che egli aveva bisogno di Burton come sicario. Egli avrebbe aperto la finestra all’assassino prezzolato, facendo entrare in mezzo alla propria gente una tigre in libertà.

Un assassino esige il compenso. Che compenso offriva lo Straniero?

Burton aspirò il fumo del sigaro sino in fondo ai polmoni, poi lo espirò di nuovo e buttò giù un sorso di bourbon. Lo Straniero avrebbe cercato di sfruttarlo? Benissimo! Ma che stesse in guardia: anche Burton avrebbe sfruttato lo Straniero.

Alla fine del terzo mese Burton decise di aver riflettuto abbastanza. Era tempo di andarsene.

In quel momento stava nuotando nel Fiume, e seguendo l’impulso si diresse al centro di esso. Si immerse e scese alla maggior profondità che poté, prima che l’insopprimibile istinto di sopravvivenza del suo corpo lo costringesse a salire con furiose bracciate per respirare l’amata aria. Ma non salì. I pesci necrofagi avrebbero divorato il suo corpo, e le sue ossa sarebbero cadute sul fondo del Fiume, in mezzo al fango, a trecento metri dalla superficie. Tanto meglio. Burton non voleva che il suo corpo finisse nelle mani degli Etici. Se era vero quanto aveva detto lo Straniero Misterioso, Essi erano in grado di estrarre dalla sua mente tutto ciò che aveva visto e udito, sempre che l’avessero trovato prima che le cellule cerebrali fossero danneggiate.

Burton ritenne che non ci fossero riusciti. Durante i successivi sette anni, a quel che gli risultò, non fu mai localizzato dagli Etici. Se il Traditore sapeva dove egli era, non lo volle spiegare a Burton. Questi dubitava che qualcuno lo sapesse: egli stesso non era in grado di stabilire in quale parte del pianeta si trovasse, e quanto lontano o vicino fosse al quartier generale della Torre. Ma andava sempre avanti, avanti, senza fermarsi mai. E un giorno rifletté che doveva aver battuto un singolarissimo record. La morte era divenuta per lui una seconda natura.

Se il suo conto era esatto, aveva compiuto 777 viaggi sul Direttissimo del Suicidio.

CAPITOLO VENTOTTESIMO

Talvolta Burton si paragonava a una cavalletta: migrava per il pianeta spiccando un salto nel buio della morte, atterrando, rosicchiando un po’ d’erba con un occhio teso a cogliere l’ombra che avrebbe annunciato l’attacco dell’uccello nemico, ossia di un Etico. In quel vasto prato di umanità aveva fatto un breve assaggio di numerose erbe, spiccando subito un nuovo salto.

Altre volte si paragonava ad una rete che raccogliesse qua e là dei campioni nell’immenso mare dell’umanità. Aveva preso pochi pesci grossi e molte sardine, ma dai pesci piccoli imparava tanto quanto da quelli più grandi, se non di più.

Però l’immagine della rete non gli piaceva molto, perché gli ricordava l’altra rete ben più ampia tesa per acchiappare lui.

Metafore a parte, non poteva negare di essere divenuto un vero giramondo. Spesso s’imbatte nella leggenda di Burton lo Zingaro, oppure, in una regione dove predominava la lingua inglese, di Richard lo Scout, oppure ancora, in un’altra, di Lazzaro Saltatore. Questo lo preoccupava un poco, perché gli Etici avrebbero potuto ricavarne un indizio del suo sistema di fuga e prendere delle misure atte a farlo cadere in trappola. O addirittura intuire la sua meta finale e sistemare delle guardie vicino alle sorgenti del Fiume: