Dal dispetto rabbioso che sentivo in quel momento per la sventatezza mia di tanti anni, argomentavo però facilmente che la mia sciagura non poteva ispirare a nessuno, non che compatimento, ma neppur considerazione. Me l’ero ben meritata. Uno solo avrebbe potuto averne pietà: colui che aveva fatto man bassa d’ogni nostro avere; ma figurarsi se Malagna poteva più sentir l’obbligo di venirmi in soccorso dopo quanto era avvenuto tra me e lui.
Il soccorso, invece, mi venne da chi meno avrei potuto aspettarmelo.
Rimasto tutto quel giorno fuori di casa, verso sera, m’imbattei per combinazione in Pomino, che, fingendo di non accorgersi di me, voleva tirar via di lungo.
– Pomino!
Si volse, torbido in faccia, e si fermò con gli occhi bassi:
– Che vuoi?
– Pomino! – ripetei io più forte, scotendolo per una spalla e ridendo di quella sua mutria. – Dici sul serio?
Oh, ingratitudine umana! Me ne voleva, per giunta, me ne voleva, Pomino, del tradimento che, a suo credere, gli avevo fatto. Né mi riuscì di convincerlo che il tradimento invece lo aveva fatto lui a me, e che avrebbe dovuto non solo ringraziarmi, ma buttarsi anche a faccia per terra, a baciare dove io ponevo i piedi.
Ero ancora com’ebbro di quella gajezza mala che si era impadronita di me da quando m’ero guardato allo specchio.
– Vedi questi sgraffii? – gli dissi, a un certo punto. – Lei me li ha fatti!
– Ro… cioè, tua moglie?
– Sua madre!
E gli narrai come e perché. Sorrise, ma parcamente. Forse pensò che a lui non li avrebbe fatti, quegli sgraffii, la vedova Pescatore: era in ben altra condizione dalla mia, e aveva altra indole e altro cuore, lui.
Mi venne allora la tentazione di domandargli perché dunque, se veramente n’era così addogliato, non l’aveva sposata lui, Romilda, a tempo, magari prendendo il volo con lei, com’io gli avevo consigliato, prima che, per la sua ridicola timidezza o per la sua indecisione, fosse capitata a me la disgrazia d’innamorarmene; e altro, ben altro avrei voluto dirgli, nell’orgasmo in cui mi trovavo; ma mi trattenni. Gli domandai, invece, porgendogli la mano, con chi se la facesse, di quei giorni.
– Con nessuno! – sospirò egli allora. – Con nessuno! Mi annojo, mi annojo mortalmente!
Dall’esasperazione con cui proferì queste parole mi parve d’intendere a un tratto la vera ragione per cui Pomino era così addogliato. Ecco qua: non tanto Romilda egli forse rimpiangeva, quanto la compagnia che gli era venuta a mancare; Berto non c’era più; con me non poteva più praticare, perché c’era Romilda di mezzo, e che restava più dunque da fare al povero Pomino?
– Ammógliati, caro! – gli dissi. – Vedrai come si sta allegri! Ma egli scosse il capo, seriamente, con gli occhi chiusi; alzò una mano:
– Mai! mai più!
– Bravo, Pomino: persèvera! Se desideri compagnia, sono a tua disposizione, anche per tutta la notte, se vuoi.
E gli manifestai il proponimento che avevo fatto, uscendo di casa, e gli esposi anche le disperate condizioni in cui mi trovavo. Pomino si commosse, da vero amico, e mi profferse quel po’ di denaro che aveva con sé. Lo ringraziai di cuore, e gli dissi che quell’aiuto non m’avrebbe giovato a nulla: il giorno appresso sarei stato da capo. Un collocamento fisso m’abbisognava.
– Aspetta! – esclamò allora Pomino. – Sai che mio padre è ora al Municipio?
– No. Ma me l’immagino.
– Assessore comunale per la pubblica istruzione.
– Questo non me lo sarei immaginato.
– Jersera, a cena… Aspetta! Conosci Romitelli?
– No.
– Come no! Quello che sta laggiù, alla biblioteca Boccamazza. È sordo, quasi cieco, rimbecillito, e non si regge più sulle gambe. Jersera, a cena, mio padre mi diceva che la biblioteca è ridotta in uno stato miserevole e che bisogna provvedere con la massima sollecitudine. Ecco il posto per te!
– Bibliotecario? – esclamai. – Ma io…
– Perché no? – disse Pomino. – Se l’ha fatto Romitelli…
Questa ragione mi convinse.
Pomino mi consigliò di farne parlare a suo padre da zia Scolastica. Sarebbe stato meglio.
Il giorno appresso, io mi recai a visitar la mamma e ne parlai a lei, poiché zia Scolastica, da me, non volle farsi vedere. E così, quattro giorni dopo, diventai bibliotecario. Sessanta lire al mese. Più ricco della vedova Pescatore! Potevo cantar vittoria.
Nei primi mesi fu un divertimento, con quel Romitelli, a cui non ci fu verso di fare intendere che era stato giubilato dal Comune e che per ciò non doveva più venire alla biblioteca. Ogni mattina, alla stess’ora, né un minuto prima né un minuto dopo, me lo vedevo spuntare a quattro piedi (compresi i due bastoni, uno per mano, che gli servivano meglio dei piedi). Appena arrivato, si toglieva dal taschino del panciotto un vecchio cipollone di rame, e lo appendeva a muro con tutta la formidabile catena; sedeva, coi due bastoni fra le gambe, traeva di tasca la papalina, la tabacchiera e un pezzolone a dadi rossi e neri; s’infrociava una grossa presa di tabacco, si puliva, poi apriva il cassetto del tavolino e ne traeva un libraccio che apparteneva alla biblioteca: Dizionario storico dei musicisti, artisti e amatori morti e viventi, stampato a Venezia nel 1758.
– Signor Romitelli! – gli gridavo, vedendogli fare tutte queste operazioni, tranquillissimamente, senza dare il minimo segno d’accorgersi di me.
Ma a chi dicevo? Non sentiva neanche le cannonate. Lo scotevo per un braccio, ed egli allora si voltava, strizzava gli occhi, contraeva tutta la faccia per sbirciarmi, poi mi mostrava i denti gialli, forse intendendo di sorridermi, così; quindi abbassava il capo sul libro, come se volesse farsene guanciale; ma che! leggeva a quel modo, a due centimetri di distanza, con un occhio solo; leggeva forte:
– Birnbaum, Giovanni Abramo… Birnbaum, Giovanni Abramo, fece stampare… Birnbaum, Giovanni Abramo, fece stampare a Lipsia, nel 1738… a Lipsia nel 1738… un opuscolo in-8°… in-8°: Osservazioni imparziali su un passo delicato del Musicista critico. Mitzler… Mitzler inserì… Mitzler inserì questo scritto nel primo volume della sua Biblioteca musicale. Nel 1739…
E seguitava così, ripetendo due o tre volte nomi e date, come per cacciarsele a memoria. Perché leggesse così forte, non saprei. Ripeto, non sentiva neanche le cannonate.
Io stavo a guardarlo, stupito. O che poteva importare a quell’uomo, ridotto in quello stato, a due passi ormai dalla tomba (morì difatti quattro mesi dopo la mia nomina a bibliotecario), che poteva importargli che Birnbaum Giovanni Abramo avesse fatto stampare a Lipsia nel 1738 un opuscolo in-8°? E non gli fosse almeno costata tutto quello stento la lettura! Bisognava proprio riconoscere che non potesse farne a meno di quelle date lì e di quelle notizie di musicisti (lui, così sordo!) e artisti e amatori, morti e viventi fino al 1758. O credeva forse che un bibliotecario, essendo la biblioteca fatta per leggervi, fosse obbligato a legger lui, posto che non aveva veduto mai apparirvi anima viva; e aveva preso quel libro, come avrebbe potuto prenderne un altro? Era tanto imbecillito, che anche questa supposizione è possibile, e anzi molto più probabile della prima.
Intanto, sul tavolone lì in mezzo, c’era uno strato di polvere alto per lo meno un dito; tanto che io – per riparare in certo qual modo alla nera ingratitudine de’ miei concittadini – potei tracciarvi a grosse lettere questa iscrizione:
Precipitavano poi, a quando a quando, dagli scaffali due o tre libri, seguiti da certi topi grossi quanto un coniglio.
Furono per me come la mela di Newton.
– Ho trovato! – esclamai, tutto contento. – Ecco l’occupazione per me, mentre Romitelli legge il suo Birnbaum.
E, per cominciare, scrissi una elaboratissima istanza, d’ufficio, all’esimio cavalier Gerolamo Pomino, assessore comunale per la pubblica istruzione, affinché la biblioteca Boccamazza o di Santa Maria Liberale fosse con la maggior sollecitudine provveduta di un pajo di gatti per lo meno, il cui mantenimento non avrebbe importato quasi alcuna spesa al Comune, atteso che i suddetti animali avrebbero avuto da nutrirsi in abbondanza col provento della loro caccia. Soggiungevo che non sarebbe stato male provvedere altresì la biblioteca d’una mezza dozzina di trappole e dell’esca necessaria, per non dire cacio, parola volgare, che – da subalterno – non stimai conveniente sottoporre agli occhi d’un assessore comunale per la pubblica istruzione.