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— La perdita è dietro la parete numero 6M — riferì. Poi gli mostrò il bordo del pezzo che aveva staccato. — Questi pannelli hanno lo strato insonorizzante interno di fibrocompresso infiammabile, invece che in spugna-silicone, e si spaccano solo a guardarli. Se questa installazione militare è prevista per resistere al fuoco nemico, il progetto delle infrastrutture è opera di un incompetente. E se non è così, allora qualcuno ha voluto intascare una percentuale da qualche fornitore disonesto.

Il supervisore imprecò. A denti stretti afferrò il bordo di uno dei pannelli a cui dovevano essere fissati i montanti della porta più vicina, e lo girò con forza all'infuori. Una striscia lunga oltre un metro se ne staccò con uno schianto.

— Figli di puttana. Quanta di questa roba è già stata montata?

— Un bel po' — rispose Miles con un sorrisetto. Raccolse la scatola degli attrezzi e lasciò il supervisore a borbottare fra sé su quel materiale, prima che gli venisse in mente di dargli qualcos'altro da fare. Sudato e ancora nervoso tornò indietro fino al bacino di carenaggio, prese per un altro corridoio, e non rallentò finché non ebbe svoltato un paio di angoli.

Oltrepassò un paio di uomini armati in uniforme grigia e bianca. Uno si voltò a scrutarlo. Miles fece finta di niente, tenne lo sguardo fisso in avanti e continuò a camminare.

Dendarii — o Oserani che fossero — lì su quella stazione! Quanti potevano essercene? Quei due erano i primi che vedeva. Non avrebbero dovuto trovarsi nello spazio, di pattuglia da qualche parte? Desiderò poter rientrare in quell'intercapedine e muoversi nelle fessure fra le pareti come un topo.

Ma se la maggior parte dei mercenari rappresentavano un pericolo per lui, almeno in quella situazione, ce n'era uno — uno dei vecchi Dendarii, non un Oserano — che poteva essergli d'aiuto. Se fosse riuscito a contattarlo. E c'era Elena… sì, forse doveva cercare Elena. La sua immaginazione stava già lavorando.

Quattro anni prima Miles aveva lasciato Elena con suo marito, Baz Jesek, e con Tung, affidandola alla protezione del primo e all'addestramento militare del secondo. Non aveva potuto far altro per lei, a quell'epoca. Tuttavia non gli erano arrivate lettere da Baz o da lei dopo la ristrutturazione dei mercenari… che Oser le avesse intercettate? E ora, con Baz relegato in secondo piano e Tung evidentemente in disgrazia, qual era la posizione di Elena nella flotta?

Quale posizione occupava nel suo cuore? Più ci pensava, meno riusciva a capirlo. Un tempo l'aveva amata appassionatamente. Un tempo lei lo aveva conosciuto meglio di qualunque altro essere umano. Però, con la vita intensa dell'Accademia, la presa di Elena sui suoi pensieri quotidiani era pian piano svanita, come il lutto per la morte del padre di lei, il sergente Bothari. Salvo qualche occasionale ritorno, come un vecchio dolore nelle ossa. Voleva e non voleva rivederla. Gli sarebbe piaciuto parlarle, starle vicino…

Restando sul pratico, comunque, c'era il fatto che Elena avrebbe riconosciuto Gregor anche travestito e da lontano; erano stati compagni di giochi fin da bambini. Una seconda linea difensiva per l'Imperatore? Riallacciare i contatti con Elena avrebbe potuto essere emotivamente imbarazzante… e va bene, emotivamente doloroso. Ma era sempre meglio che quell'inconcludente e pericoloso vagabondare. Ora che aveva dato un'occhiata all'ambiente doveva in un modo o nell'altro sfruttare le sue risorse personali. Quanto credito, come essere umano, aveva ancora l'ammiraglio Naismith? Domanda interessante.

Quello che gli serviva era un posto da cui guardare senza essere guardato. C'erano molti espedienti per rendersi invisibile anche in piena vista, come la sua tuta azzurrastra gli aveva già dimostrato. Ma la sua statura insolita — be', insolitamente bassa — non lo incoraggiava ad affidarsi unicamente ai vestiti.

Un paio di livelli più in basso sbucò in un atrio dove c'era un bar-ristorante per il personale. Mmh, tutti dovevano mangiare; di conseguenza tutti dovevano passare da lì, prima o poi. L'odore del cibo eccitò il suo stomaco, che per tre giorni aveva protestato invano dopo ognuna delle mezze razioni e tuttavia sarebbe stato felice di subire lo stesso magro trattamento. Miles non poteva accontentarlo. Andò ad aprire il primo pannello che vide alla parete di fronte, tolse dalla cassetta un paio di occhiali protettivi da usare come maschera, si accovacciò per mimetizzare anche la sua statura e cominciò a fingere di lavorare su una scatola di contatti e alcuni tubi, con uno scanner a ultrasuoni decorativamente stretto fra le dita. Da lì aveva un'ottima visuale dei due rami del corridoio che sfociava nell'atrio.

Dagli odori stabilì che il ristorante serviva prevalentemente carne proteica cresciuta in vasca, e che l'altro principale crimine contro il palato veniva commesso a base di verdure bollite. Irritato dalla salivazione che il pensiero del cavolo disidratato gli stimolava, tirò fuori il piccolo saldatore a laser e finse di controllare le batterie, continuando a scrutare i passanti. Pochi indossavano abiti civili. Quelli di Rotha avrebbero attratto lo sguardo assai più della tuta da lavoro. La maggior parte di quelle che vedeva erano verdi, e abbondavano anche quelle azzurro pallido dei militari di Aslund, pochi dei quali avevano un grado superiore a quello di sergente. Le altre erano grigie, o bianche, o azzurro-sporco come la sua. Che i Dendarii — gli Oserani, insomma — andassero a mangiare in una diversa zona della stazione? Stava considerando l'idea di cambiare posto — aveva già smontato e rimontato tre volte tutto quello che si poteva smontare — quando vide arrivare due figure in divisa grigia e bianca. Non erano facce che conoscesse, e li lasciò passare senza chiamarli.

Fu costretto ad ammettere la realtà di un fatto: dei tremila o forse più mercenari che potevano trovarsi nei dintorni della stazione di balzo aslundiana, lui ne conosceva sì e no trecento di vista e assai meno di nome. Era probabile che alla stazione militare non fosse attraccata più di una delle loro navi. E di questa frazione di una frazione, quante erano le persone di cui avrebbe potuto fidarsi? Cinque? Lasciò passare un altro quartetto di mercenari, anche se gli era parso che la bionda più anziana fosse un ingegnere della Triumph un tempo fedele a Tung. Un tempo. Il suo pessimismo era già piombato al livello della paranoia.

Ma la faccia olivastra accoppiata all'uniforme bianca e grigia che apparve dieci minuti dopo fece dimenticare a Miles i suoi languori di stomaco. Era il sergente Chodak, in compagnia di un altro. La sua fortuna aveva un ritorno di fiamma. Forse. Se fosse stato solo avrebbe corso subito il rischio, ma mettere in pericolo Gregor…? Be', troppo tardi per i ripensamenti: anche Chodak ormai l'aveva visto. Gli occhi dell'uomo si dilatarono per lo stupore, prima che la sua espressione si pietrificasse.

— Oh, giusto lei, sergente — disse Miles, battendo un dito sulla scatola dei contatti. — Le dispiacerebbe dare un'occhiata a questo interruttore, lei che se ne intende?

— Uh, certo. — Chodak fece un gesto al suo compagno, un graduato con l'uniforme degli aslundiani. — Scusami. Ti raggiungo fra un minuto.

Quando le loro teste furono vicine e le loro spalle rivolte al corridoio, Chodak sibilò: — Ma è impazzito? Cosa sta facendo qui? — Che avesse omesso l'abituale signore era un chiaro sintomo della sua agitazione.

— È una lunga storia. Ora, però, ho bisogno del tuo aiuto.

— Ma com'è arrivato qui? L'ammiraglio Oser la sta facendo cercare, e ha distaccato uomini su tutte le stazioni di transito. Neanche una pulce riuscirebbe a passare inosservata.

Miles sogghignò astutamente. — Ho i miei sistemi. — E si augurò che anche Chodak avesse i suoi, perché i limiti della provvidenza divina potevano essere pericolosamente esigui. — In questo momento ho bisogno di mettermi in contatto con la comandante Elena Bothari-Jesek. Con una certa urgenza. Oppure con il commodoro ingegnere Jesek. Si trova qui?