— Che diavolo… — Sì, stavamo recitando veramente bene. La guardia costrinse Gregor ad alzarsi, anche lui con le mani immobilizzate dietro la schiena. — Mi stia a sentire… — I due rnercenari in attesa all'esterno entrarono, li trascinarono alla porta e li misero in marcia nel corridoio. — Lei sta facendo un grosso errore… — La porta della sala riunioni si chiuse con un tonfo secco.
— La cosa si mette male, Miles — disse Gregor, in un difficile tentativo di autocontrollo. Era pallido. — Altre idee brillanti? Guarda però che siano migliori dell'ultima.
— L'uccello che ha voluto gettarsi fuori dal nido per volare con le sue ali sei tu. Se cercavi delle esperienze, stai per imparare che spesso è molto meglio farne a meno.
— So camminare da solo — ringhiò Gregor, divincolandosi, mentre li facevano voltare a destra. In fondo al corridoio era già in vista il primo portello di poppa. — Non ho bisogno di essere trascinato da una torma di… — Ci volevano tutte e tre le guardie per tenerlo fermo, adesso — maledetti plebei!
Miles non riusciva a pensare a niente. Con voce acuta tentò un bluff infantile: — Voi non sapete che occasione state perdendo, ragazzi! — esclamò. — Voi non immaginate che state per buttare fuori da quel portello la più grossa fortuna della vostra vita!
Due guardie continuarono a lottare con Gregor; la terza si voltò a guardare lui. — Grossa quanto?
— Casse di denaro, ecco cosa c'è in ballo — promise Miles. — Tanto da comprare due flotte come la vostra!
Il tenente biondo girò intorno agli altri e lo afferrò per una spalla, estraendo un coltello a vibrolama. Intendeva interpretare gli ordini di Oser orribilmente alla lettera, comprese Miles quando una mano cercò di fargli aprire la bocca. Per poco l'uomo non riuscì davvero ad afferrargli la lingua, agitando il coltello così vicino ai suoi occhi da farli lacrimare con le vibrazioni della lama. Ringhiando ferocemente Miles gli morse un dito, e uno spintone lo mandò a sbattere di traverso contro la parete. Il campo energetico che gli imprigionava le braccia ammortizzò il colpo e lo fece rimbalzare addosso agli uomini dietro di lui, uno dei quali cercò di bloccarlo infilando le mani nella rete d'energia e subito le ritrasse con un grido di dolore. Il mercenario lo respinse e Miles cadde, rotolando di peso contro le ginocchia del tenente. Non era esattamente una mossa di judo, ma l'uomo ne fu colto sbilanciato e si abbatté sopra di lui.
I due avversari di Gregor furono distratti sia dalle disperate contorsioni di Miles che dalla sanguinosa promessa della vibrolama che l'altro agitava nel tentativo di colpirlo. Non videro l'uomo di pelle olivastra che sbucò dall'incrocio del corridoio alle loro spalle, con lo storditore puntato. S'inarcarono convulsamente quando le scariche elettrostatiche li colpirono alla schiena mandando in corto circuito il loro midollo spinale, e caddero sul ponte. Il mercenario che s'era lasciato sfuggire Miles, e che stava cercando di bloccarlo contro la parete con un piede, si volse appena in tempo per essere investito da un'altra scarica in piena faccia.
Miles riuscì a gettarsi di spalla sul tenente biondo e lo bloccò — ahimè per pochi brevi istanti — col suo peso. Si girò, schiacciando il campo-rete d'energia sul volto dell'uomo; poi fu gettato da parte con una selvaggia imprecazione. La vibrolama gli sfiorò un orecchio. Il tenente s'era già alzato in ginocchio, torcendosi di lato in cerca del bersaglio, allorché Gregor lo centrò con un calcio sotto la mandibola. Un colpo di storditore che gli arrivò alla nuca lo scagliò al suolo esanime.
— Imboscata tecnicamente perfetta — ansimò Miles al sergente Chodak, nel silenzio che seguì. — Non credo che abbiano potuto vedere chi li ha colpiti. — Così avevo visto giusto in lui. Non ho perso il mio tocco, dopotutto. Che Dio ti benedica, sergente.
— Neppure voi ve la siete cavata male, per due uomini con le mani legate dietro la schiena. — Chodak scosse il capo con un sorrisetto teso, e corse subito avanti per liberarli dal campo-rete.
— Siamo una buona squadra — disse Miles.
CAPITOLO UNDICESIMO
Un rapido scalpiccio in fondo al corridoio attrasse l'attenzione di Miles. Un sospiro di sollievo, a lungo trattenuto, gli sfuggì di bocca, e si alzò in piedi. Elena.
La giovane donna indossava una divisa da ufficiale dei mercenari, blusa bianca e grigia piena di tasche, pantaloni aderenti, e stivali al ginocchio che rendevano ancora più eleganti i passi delle sue lunghe gambe. Era ancora snella e flessuosa come un tempo, alta, di pelle candida, con occhi scuri e un che di aristocratico nella delicatezza dei lineamenti. Si è tagliata i capelli, pensò Miles, dispiaciuto. La cascata dei suoi capelli nerissimi, lunghi fino ai fianchi, era scomparsa. Ora li portava alla paggio, con due riccioli che le sottolineavano gli zigomi e altri due sul collo, dietro gli orecchi. Severa, pratica, molto efficiente. Militaresca.
Venne avanti a passi lunghi, prendendo visione di Miles, di Gregor e dei quattro Oserani stesi sul ponte. — Ottimo lavoro, Chodak. — Si chinò accanto a uno dei mercenari e gli tastò un polso. — Sono morti?
— No, soltanto storditi — la informò Miles.
Lei gettò uno sguardo rammaricato al portello interno, aperto, del compartimento stagno. — Suppongo che non sia il caso di liberarcene affidandoli allo spazio.
— Stavano per buttar fuori noi, ma… no, penso che basti toglierli dalla circolazione finché non avremo levato il disturbo — disse Miles.
— Giusto. — Elena si alzò e fece un cenno a Chodak, che cominciò a trascinare i quattro nel compartimento stagno con l'aiuto di Gregor. Mentre il corpo inerte del tenente biondo le passava davanti ebbe una smorfia. — Certi individui non hanno una faccia onesta né quando dormono né dopo morti, del resto.
— Puoi farci uscire da qui?
— È per questo che siamo venuti. — Elena si volse ai tre mercenari che l'avevano seguita con più cautela. Un quarto era rimasto di guardia all'incrocio. — Sembra che finora ci sia andata bene — disse loro. — Andate avanti e controllate il percorso, possibilmente senza farvi notare. Poi sparite. Non siete mai stati in questa sezione della nave e non avete visto niente.
I mercenari annuirono e si allontanarono. Miles udì uno di loro che diceva: — Quello era lui? — E un altro: — Proprio così…
Miles, Gregor ed Elena si strinsero nel compartimento stagno con i quattro corpi privi di sensi e chiusero il portello, mentre Chodak restava di guardia all'esterno. Elena aiutò Gregor a togliere gli stivali a un Oserano che li aveva all'incirca della sua misura, intanto che Miles si toglieva la tuta grigio azzurra mettendo allo scoperto gli spiegazzati indumenti di Rotha, non più tanto eleganti dopo quattro giorni in cui ci aveva dormito e sudato dentro. Gli sarebbe piaciuto liberarsi di quei sandali betani, ma non c'erano stivali che andassero bene a lui.
Gregor ed Elena si slavano studiando, lei con un sopracciglio inarcato, l'imperatore con una certa sorpresa per l'aspetto della giovane donna, mentre si infilava in fretta l'uniforme bianca e grigia del mercenario.
— Così sei veramente qui. — Elena scosse il capo. — Non riesco a immaginare cosa tu sia venuto a fare.
— Sono qui per errore — disse Gregor.
— Non raccontarmi balle. Un errore di chi?
— Mio, temo — rispose Miles. E si accorse, irritato, che invece di giustificarlo sportivamente Gregor annuiva.
Un sorriso un po' misterioso, il primo, incurvò le labbra di Elena. Miles decise di non chiederle cosa significasse. Quell'affrettato scambio di osservazioni pratiche non somigliava affatto alle molte varianti delia conversazione che aveva immaginato di avere con lei, durante la scena pregnante e significativa del loro incontro.
— Fra qualche minuto, quando Oser non vedrà tornare nessuno a fargli rapporto, qui comincerà a far caldo — li incitò Miles. Raccolse due storditori, il proiettore del campo-raggio trattore, il coltello a vibrolama, e se li infilò nella cintura. Dopo un attimo di riflessione prelevò ai quattro Oserani anche le carte di credito, le chiavi-tessera, i documenti di identità, il denaro contante e divise il tutto fra sé e Gregor, accertandosi che lui si liberasse del tesserino da lavoratore a contratto, che era rintracciabile elettronicamente. Ebbe la soddisfazione di trovare anche una stecca di cioccolata, e cominciò a staccarne qualche morso mentre Elena li precedeva fuori dal compartimento. Ne offrì un pezzo a Gregor, che però scosse il capo; probabilmente aveva già cenato, in quel bar-ristorante.