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Che diavolo stanno organizzando, qui? si chiese Miles. Non sapeva molto di Vervain, ma era certo che neppure sotto la legge marziale un governo poteva spingersi al punto di tenere in ostaggio degli innocenti per garantirsi i servizi di un traditore.

Quando il capitano fu scomparso, Cavilo accese di nuovo il comunicatore. — Mano di Kurin? Passami il capo della sicurezza. Ah, qui Cavilo. Ti sto mandando il mio recalcitrante doppiogiochista. Mandagli su un monitor la registrazione fatta la settimana scorsa nella Cella Sei. Non fargli capire che non è in diretta, d'accordo? Chiudo.

Allora i familiari dell'uomo erano liberi? Li avevano portati altrove? Erano già stati uccisi? Miles si chiese in che situazione fosse andato a cacciarsi.

Altri stivali percossero la pavimentazione del corridoio, pesanti e militareschi. Cavilo stava sorridendo aspramente, ma la sua espressione si raddolcì quando si volse a salutare il massiccio individuo appena apparso.

— Stanis, caro. Guarda chi è rimasto nella nostra rete, stavolta. È quel piccolo rinnegato betano che smerciava armi di contrabbando su Pol Sei. Sembra che non lavori soltanto per sé, dopotutto.

L'uniforme nera e ocra dei Rangers faceva un bell'effetto anche addosso al generale Metzov, dovette riconoscere Miles. Ora sarebbe stato il momento di roteare gli occhi e cadere svenuto, se non fosse già stato immunizzato contro le sorprese di Stazione Vervain.

Il generale Metzov non era rimasto meno sbalordito, ma quella che si accese nei suoi occhi grigio-acciaio fu una scintilla di gioia satanica. — Questo signore non è un betano, Cavy.

CAPITOLO DODICESIMO

— È un barrayarano. E non un barrayarano qualsiasi. Dobbiamo portarlo al sicuro, senza che nessuno lo veda, e subito — continuò Metzov.

— Chi può averlo mandato, allora? — Cavilo si volse a esaminare Miles con una smorfia perplessa.

— Dio! — affermò fervidamente Metzov. — È stato Dio a metterlo nelle mie mani. — La voce allegra di Metzov aveva una nota stridula, preoccupante. Perfino Cavilo inarcò un sopracciglio.

Metzov si accorse della presenza di Gregor e gli gettò un'occhiata. — Ora prenderemo il nostro piccolo amico e questo… la sua guardia del corpo, suppongo… — S'interruppe, incerto.

Le fotografie di Gregor appese negli uffici risalivano al tempo della sua incoronazione e gli somigliavano poco, ma non passava settimana senza che l'Imperatore apparisse in qualche notiziario. Non così malmesso e spettinato, ovviamente… Miles poté quasi leggere nella mente di Metzov: «Questa faccia non mi è nuova. Ora mi sfugge il nome, però…» Ma forse non avrebbe riconosciuto Gregor. Forse non ci avrebbe creduto.

Irrigidito in un atteggiamento dignitoso per celare il suo sconcerto, Gregor domandò: — Questa persona è un altro dei tuoi vecchi amici, Miles?

Fu il tono colto, misurato, di quelle parole a far scattare il contatto. Metzov ebbe un fremito e impallidì per l'improvvisa eccitazione. Il suo sguardo saettò lungo il molo… in cerca di Illyan, suppose Miles.

— Uh… questo è il generale Stanis Metzov — gli spiegò.

— Il Metzov dell'isola Kyril?

— Già.

— Oh. — Gregor mantenne un'espressione contegnosa, quasi disinteressata.

— Dov'è la sua scorta, signore? — chiese Metzov con voce rauca, più spaventato di quel che gli piacesse mostrare.

Ce l'hai davanti, si dolse Miles.

— Non molto lontano, immagino — mentì freddamente Gregor. — Eviti di disturbare la Nostra persona, e si risparmierà delle noie.

Cavilo agitò una mano con impazienza. — Chi è questo individuo?

Prima che Metzov potesse rispondere, Miles gli chiese: — Lei cosa sta facendo qui?

Lui ebbe una smorfia cupa. — Come crede che possa vivere un uomo della mia età, criminosamente privato della pensione e derubato dei suoi risparmi? S'illudeva che mi sarei ritirato a morire di fame in una baracca? No, ragazzo. Non Stanis Metzov!

Era stato poco opportuno ricordargli i suoi motivi di rancore, si disse Miles. — Be', sembra che per lei questo sia un miglioramento rispetto all'isola Kyril. Climatico, se non altro. Ha un colorito più sano — disse, sperando di placarlo. La sua mente girava a vuoto. Metzov che lavorava agli ordini di una donna? La dinamica dei loro rapporti aveva degli aspetti interessanti. Stanis caro?

Metzov non fu divertito dalle sue osservazioni.

— Chi è costui? — domandò ancora Cavilo.

— Potere. Denaro. E la leva per ottenere tutto questo. Più di quanto tu possa immaginare — rispose Metzov.

— E guai — puntualizzò Miles. — Anche questi più di quel che possiate immaginare.

— Lei è una faccenda che riguarda me, storpio mutante — ringhiò l'uomo.

— La prego di accantonare le questioni personali, generale — disse Gregor nel suo miglior tono di Palazzo. Le formalità prive di vera sostanza erano un automatismo che gli consentiva di mimetizzare la confusione.

— Dobbiamo portarli immediatamente sulla Mano di Kurin - ripeté Metzov. — Lontano dagli orecchi e dagli occhi altrui. Continueremo la nostra conversazione in privato.

Furono messi in marcia al centro della squadra di armati. Miles si sentiva lo sguardo di Metzov nella schiena come un pugnale, che si affondava e si torceva. Oltrepassarono alcuni moli, anch'essi deserti, finché sbucarono in uno più vasto dove c'era una certa attività di uomini e macchinari per il carico. La nave ammiraglia, a giudicare dalle numerose sentinelle agli sbocchi di quattro ampi tubolari.

— Porta questi due in infermeria per l'interrogatorio — ordinò Cavilo all'ufficiale di guardia, che era scattato sull'attenti seguendola poi attraverso il compartimento stagno.

— Un momento — li fermò Metzov. Si volse a guardare il lungo corridoio interno, a destra e a sinistra. — Quelli della tua sicurezza sono forse sordi e muti?

— Non direi! — esclamò Cavilo, indignata per tutti i misteri che il suo nervoso subordinato stava facendo. — Nella stiva, allora.

— No — si oppose ancora Metzov. Esitante, suppose Miles, all'idea di far rinchiudere l'Imperatore in una cella. L'uomo infatti si rivolse a Gregor e gli chiese, con assoluta serietà: — Ho la sua parola d'onore che non tenterà nulla, sire… signore?

— Cosa? — gridò Cavilo. — Hai stappato qualche bottiglia di troppo, Stanis?

— La parola d'onore — rispose gravemente Gregor, — è un impegno che si può prendere anche con un nemico, purché degno. Sul suo onore io non discuto, generale. Ma lei si sta dichiarando nostro nemico?

Eccellente modo d'impostare la situazione, approvò Miles.

Metzov lasciò cadere lo sguardo su di lui. Strinse le labbra. — Forse non suo. Ma lei non ha la mano felice nella scelta degli amici. Tantomeno in quella dei consiglieri.

L'espressione di Gregor era illeggibile. — Alcune persone mi vengono imposte. Anche alcuni consiglieri.

— Nella mia cabina. — Metzov alzò una mano a prevenire l'obiezione di Cavilo, che aveva già aperto la bocca. — Per ora. Per la nostra conversazione preliminare. Senza testimoni né registrazioni per la sicurezza. Poi prenderemo una decisione, Cavy.

Cavilo, gli occhi socchiusi, annuì appena. — D'accordo, Stanis. Facci strada. Prego, voi due. — E allargando ironicamente un braccio accennò loro di precederla.

Metzov piazzò due mercenari di guardia fuori dalla sua cabina e mandò via gli altri. Quando la porta fu chiusa, tirò fuori un cordone, legò i polsi di Miles dietro la schiena e lo obbligò a sedere sul pavimento. Poi, con assurda deferenza, invitò Gregor a prendere posto sulla poltroncina imbottita davanti alla consolle di comunicazione, la più comoda di quell'alloggio spartano.

Cavilo, che era andata a sedersi sul letto a gambe incrociate, notò l'incongruenza della sua logica. — Perché leghi il piccolo e lasci libero di muoversi quello più grosso?

— Tieni lo storditore in pugno, se questo ti preoccupa — la consigliò Metzov. Respirando fra i denti si mise le mani sui fianchi e studiò Gregor. Scosse la testa, come se ancora non potesse credere ai suoi occhi.