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— E tu perché non impugni lo storditore?

— Io non ho ancora deciso se estrarre un'arma o meno in sua presenza.

— Qui siamo soli, Stanis — gli ricordò Cavilo, con aperto sarcasmo. — Vuoi essere così gentile da darmi una spiegazione, ora? E sarà meglio che tu ne abbia una valida.

— Ah, sì. Questo individuo — e indicò Miles, — è Lord Miles Vorkosigan, il figlio del Primo Ministro di Barrayar. Presumo che tu abbia sentito nominare l'ammiraglio Aral Vorkosigan.

Cavilo aveva estratto lo storditore, una delle due armi che portava alla cintura. Corrugò le bionde sopracciglia. — Ma allora cosa stava facendo su Pol Sei, nei panni di un trafficante d'armi betano?

— Non saprei. L'ultima volta che ho sentito parlare di lui era stato arrestato dalla Sicurezza Imperiale, anche se nessuno credeva che fosse una cosa seria, ovviamente.

— Ero agli arresti — confermò Miles.

— Lui, invece — il dito di Metzov compì un semicerchio, — è Sua Altezza Imperiale Gregor Vorbarra, Imperatore di Barrayar. Cosa stia facendo qui, io non riesco a immaginarlo.

Cavilo impiegò qualche secondo per digerire la sorpresa. — Ne sei sicuro? — Al secco assenso di Metzov, si volse a scrutare Gregor con espressione calcolatrice. — Mmh… quant'è interessante. Sì, molto interessante.

— Ma dov'è la sua scorta? Dobbiamo agire con cautela, Cavy.

— Cosa può valere per loro? O per essere più concreti, qual è la somma più alta che possiamo chiedere?

Gregor le sorrise. — Io sono un Vor, signora. Anzi, il Vor. Il rischio nello svolgimento delle sue funzioni è il prezzo che un Vor deve pagare. Non presumerei che il mio valore in marchi sia elevatissimo, se fossi in lei.

La precisazione di Gregor conteneva una certa dose di verità, pensò Miles. Ma non poteva illudersi che quei due si sarebbero limitati a considerazioni puramente monetarie.

— Un'opportunità, certo — rifletté Metzov. — Ma se ci creiamo un nemico che non possiamo manovrare…

— Se lo teniamo in ostaggio, dovremmo riuscire a manovrarli senza difficoltà — disse pensosamente Cavilo.

— Un'alternativa più onorevole — suggerì Miles, — sarebbe di aiutarci a raggiungere in salvo la nostra meta, ottenendo sia la gratitudine del nostro governo che un generoso premio in denaro. Questa è ciò che io chiamo una strategia vincente su due fronti.

— Onorevole? — Metzov inarcò un sopracciglio e cadde in un silenzio imperscrutabile. Poi borbottò: — Ma cosa stanno facendo qui? E dov'è quel serpente di Illyan? In ogni caso il mutante lo voglio per me. Dannazione! Questa partita va giocata alla grande, oppure lasciata perdere del tutto. — Fissò malignamente Miles. — I Vorkosigan… sì. E cos'è adesso per me Barrayar? Un governo che mi dà un calcio nel sedere dopo trentacinque anni di… — Si portò una mano alla fondina con truce decisione ma, notò Miles, non se la sentì di estrarre l'arma in presenza dell'Imperatore. — Sì, falli sbattere in cella, Cavy.

— Non così in fretta — disse Cavilo, ancora pensosa. — Metti pure ai ferri il piccoletto, se vuoi. Lui non vale niente, è così?

L'unico figlio del più potente uomo politico di Barrayar tenne la bocca chiusa, con uno sforzo. Eppure, se… ma preferì onorevolmente ignorare i «se».

— Niente confronto a lui — temporeggiò Metzov, preoccupato all'idea di vedersi strappare dalle mani la sua preda.

— Molto bene. — Cavilo infilò nella fondina il prezioso storditore di piccolo calibro con cui aveva giocherellato e andò ad aprire la porta. I due mercenari si fecero avanti. — Portate costui nella Cabina Nove, sul Ponte G — ordinò, indicando Gregor. — Isolate l'impianto di comunicazione, e chiudetelo dentro. Voglio un uomo sempre di guardia all'esterno. Qualunque cosa chieda per la sua comodità può essergli data, purché entro limiti ragionevoli. — Si volse a Gregor. — È l'alloggio migliore per gli ufficiali in visita che la Mano di Kurin possa offrire, Vostra… uh…

— Mi chiami Greg, prego — sospirò lui.

— Greg. Che nome simpatico. La Cabina Nove è giusto accanto alla mia, sa, Greg? Mi auguro che possiamo proseguire questa interessante conversazione fra poco, dopo che lei si sarà… rinfrescato. Magari dopo cena, no? Provvedi tu che arrivi là senza altri ritardi, Stanis. — Mostrò imparzialmente ad entrambi la candida chiostra dei suoi denti, e con passo flessuoso veleggiò oltre la porta. In corridoio si volse a mezzo e indicò Miles. — Costui portatelo in cella, invece.

Al gesto secco di un mercenario, Miles s'affrettò ad alzarsi, e con un colpetto di sfollagente-storditore, fortunatamente spento, fu messo in marcia dietro di lei.

La Mano di Kurin, a giudicare da quel poco che vide di passaggio, era una nave da battaglia di stazza superiore a quella della Triumph, capace di trasportare forze da sbarco più numerose ma sicuramente più lenta e goffa nella manovra. Anche il suo reparto di detenzione era più grande, e con maggiori accorgimenti di sicurezza. C'era un solo ingresso, da cui si passava in una stanza di controllo piena di monitor, e più avanti due corridoi a fondo cieco con le celle disposte su entrambi i lati.

Nel momento in cui arrivarono, il capitano del mercantile stava uscendo dalla stanza di controllo, sotto l'occhio vigile del mercenario che lo scortava. Cavilo scambiò con lui uno sguardo ostile.

— Come ha potuto vedere, i suoi familiari sono in perfetta salute — gli disse. — Ho tenuto fede alla mia parte del patto, capitano. Ora tocca a lei mantenere la sua.

Vediamo come la prendono, questa… - Ciò che lei ha visto è solo una registrazione, capitano — disse Miles. — Domandi ai suoi amici un'immagine più attuale.

La bella bocca di Cavilo si strinse rigidamente, ma la sua rabbia si mutò subito in un sorriso volpino mentre il capitano si voltava di scatto. — Cosa? Lei ha… — Le si piantò davanti a gambe larghe. — E va bene. Chi di voi due sta mentendo?

— Capitano, questa è l'unica garanzia che lei può avere — disse Cavilo, accennando verso i monitor. — Ha scelto lei il gioco che sta giocando. Io mi limito a imporre le mie regole. Ma al suo passeggero — e gli indicò Miles, — lei ha giocato uno scherzetto sporco. Decida lei chi sta dicendo la verità.

L'uomo strinse le palpebre. Cavilo mosse appena una mano, e le sue guardie estrassero immediatamente gli storditori. — Portatelo fuori dalla mia nave — ordinò.

— No! Voglio vedere mia moglie e mio figlio.

— D'accordo. — Lei ebbe una smorfia esasperata. — Allora portatelo nella Cella Sei, così si unirà a loro.

Mentre l'altro si voltava, a metà fra la rabbia, l'incertezza e l'impazienza di vedere i suoi familiari, Cavilo accennò alle guardie di tenersi a distanza da lui. Con un grugnito l'uomo si avviò in uno dei due corridoi. La bionda guardò Miles e gli rivolse un sorriso aspro, come a dire: «E va bene, furbone. Guarda cosa succede, adesso.» Con un gesto rapido slacciò l'altra fondina e ne tolse un piccolo distruttore neuronico, quindi prese freddamente di mira la nuca dell'uomo e sparò. Il capitano fu scosso da una convulsione e sbandò contro una parete, già morto prima che il suo corpo si afflosciasse sul ponte.

Cavilo s'incamminò pigramente verso il cadavere e lo toccò con la punta di uno stivaletto. Poi girò la testa con mossa vezzosa a guardare Miles, che era rimasto come pietrificato. — La prossima volta terrai chiusa la tua stupida bocca, forse, non è così?

Lui s'accorse di averla aperta. Deglutì un groppo di saliva. Hai voluto fare un esperimento, ed ecco cosa… Be', almeno ora sapeva com'era morto Liga. In lui balenò vivida l'immagine del polano dalla faccia di coniglio mentre cadeva al suolo nello stesso modo, forse colpito dalla stessa arma. Il lampo di esaltazione che aveva visto negli occhi di Cavilo intanto che premeva il grilletto era stato orribilmente rivelatore. Chi vedeva in realtà la tua mente quando hai preso la mira, piccola cagna? - Sì, signora, certo — mormorò, cercando di nascondere il tremito della reazione nervosa a quel bestiale omicidio. Certo. Maledetta la mia lingua…