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— Non un capro espiatorio, ma la punta di lancia delle forze difensive.

— La sua «punta di lancia» non avrebbe dietro di sé nessuna lancia. Niente da fare.

— È la sua ultima parola, signore? — chiese Miles, con voce sottile.

— Sì. — Oser accese il comunicatore da polso per chiamare gli uomini all'esterno. — Caporale, queste tre persone vanno scortate al reparto detenzione. Chiami il capoguardia per notificarlo.

Il mercenario al di là del vetro salutò militarmente. Oser spense il comunicatore.

— Ma signore… — Elena si avvicinò, alzando una mano in un gesto supplichevole. Con velocità serpentina tolse l'altra da dietro la schiena, premette sul collo di Oser la canna dell'ipospray e gli sparò il contenuto del serbatoio attraverso la pelle. L'uomo sbarrò gli occhi, fece un passo di lato e il suo volto si contrasse per la rabbia. Sollevò il braccio destro per sferrarle un pugno. Il colpo si fermò a mezz'aria.

Le guardie all'esterno del cubicolo avevano voltato la testa di scatto, allarmate dall'improvviso movimento di Oser. Elena afferrò la mano dell'ammiraglio e gliela baciò, con un sorriso di commossa gratitudine. I due mercenari si rilassarono; uno di loro diede di gomito all'altro e si scambiarono qualche parola, con aria fra divertita e disgustata. Miles era troppo teso per cercare di leggere sulle loro labbra se erano davvero convinti che l'ammiraglio si fosse lasciato impietosire.

Oser vacillò ed emise alcuni grugniti, lottando contro l'effetto della droga. Senza lasciargli la mano Elena lo fece girare, in modo che voltasse la schiena verso la porta; poi gli incastrò una spalla sotto l'ascella, passandogli un braccio intorno alla cintura. Il tipico sorrisetto idiota del penta-rapido aleggiò sulle labbra di Oser, si dissolse un paio di volte ma infine riapparve e si fissò stabilmente.

— Ha agito come se io fossi disarmata. — Elena scosse il capo, con rabbia, e si ficcò l'ipospray in una tasca della blusa.

— E ora? — sussurrò freneticamente Miles, mentre il caporale batteva la combinazione sulla serratura della porta.

— Finiremo tutti in cella, credo. A far compagnia a Tung — disse Elena.

— Ah. Be'… — Male che vada, non può andare peggio di così. Doveva provarci. Miles sorrise cordialmente all'ingresso dei due mercenari e li aiutò a slegare Metzov, tenendosi fra loro e Oser nel tentativo di nascondere l'espressione insolitamente giuliva che avrebbero potuto vedere sulla faccia dell'ammiraglio. Approfittando di un attimo in cui i due non guardavano diede una spallata a Metzov, facendolo barcollare.

— Ehi, meglio che lo sosteniate per le braccia. Sembra che l'uomo non si regga in piedi — disse. Neanche lui era troppo sicuro sulle gambe, ma si fece premura di tenere aperta la porta intanto che i mercenari uscivano, tenendo Metzov fra loro. Li seguì subito, tallonato a sua volta da Elena che si stringeva al fianco di Oser come una gatta in calore. — Sì, tesoro. Come vuoi tu. Tutto quello che vuoi — la sentì dire, con voce appassionatamente calcolata per gli orecchi di chi doveva sentire e dedurre.

Quella breve passeggiata fu una delle più lunghe che Miles avesse mai fatto. A un certo punto restò indietro e sussurrò a Elena: — Non possiamo scendere con Oser nel reparto detenzione. Hai qualche idea?

Lei si morse le labbra. — Quello che vorrei avere non è un'idea, ma una pistola.

— Temevo che avresti detto questo. Allora volta a destra. — Senza cambiare il passo girarono l'angolo del corridoio.

Uno dei mercenari si voltò a guardare. — Signore?

— Voi proseguite, ragazzi — esclamò Miles. — Quando l'uomo sarà in cella, datecene conferma nell'alloggio dell'ammiraglio.

— Va bene, signore.

— Continua a camminare — ansimò Miles in un orecchio di Oser. — Continua a sorridere. Ti piacerebbe uccidermi? — L'ammiraglio annuì con entusiasmo.

I passi dei due che portavano via Metzov si allontanarono. — Dove andiamo, adesso? — chiese Elena. Oser inciampò. — Si sta indebolendo sempre più. È una situazione insostenibile.

— C'è un solo posto: la cabina dell'ammiraglio — decise Miles. Il sorriso che gli deformava la faccia era una smorfia dolorosa, ma la sfacciata audacia con cui Elena s'era ammutinata gli aveva dato una carica d'energia nervosa. Quello era il loro momento, se lo sentiva stampato in ogni cellula del corpo, e sarebbe andato avanti finché non lo avessero fermato a colpi di fucile. La sua mente s'era sgonfiata dell'insopportabile circolo chiuso dei forse-può darsi-se/forse-può darsi-se inchiodati dall'incertezza. Il momento è ora. La parola è: avanti.

Se. Forse.

Oltrepassarono alcuni tecnici e mercenari, uomini e donne. Oser stava continuando ad annuire la sua risposta all'ultima domanda. Miles si augurò che passasse per una risposta informale ai loro saluti. Nessuno si voltò a gridare «Ehi voi!», comunque. Due piani più in alto, un'ultima svolta li portò nel mai dimenticato corridoio degli alloggi-ufficiali. Oltrepassarono la cabina del comandante della Triumph (Dio, avrebbe dovuto trattare con Auson, fin troppo presto) e poi il palmo della mano di Oser, premuto sulla piastra della serratura, diede loro ingresso nei locali che l'ammiraglio aveva trasformato nel suo ufficio e alloggio. Quando la porta si chiuse alle sue spalle Miles si rese conto che nell'ultima parte del percorso aveva trattenuto il respiro.

— Ora ci siamo fino al collo — disse Elena, appoggiandosi sfinita al primo mobile che si trovò davanti. — Pensi di lasciarci a bollire nel nostro brodo, come prima?

— Non stavolta — la rassicurò lui, trucemente. — Forse hai notato un particolare di cui ho evitato di parlare, giù in infermeria.

— Gregor.

— Proprio così. In questo momento Cavilo lo tiene in ostaggio a bordo della sua nave ammiraglia.

Elena ebbe un moto di sconforto. — Ha intenzione di venderlo ai cetagandani per una grossa cifra, immagino. È così?

— No. Il suo piano è molto più allucinante e spaventoso, credimi. Vuole sposarlo.

Elena spalancò gli occhi, sbalordita. — Cosa? Miles, non è possibile che una follia così inverosimile le sia passata per la testa. A meno che… a meno che…

— A meno che Gregor non abbia piantato il seme di quest'idea in lei. Cosa che credo abbia fatto. Fertilizzandolo e annaffiandolo, anche. Quello che non so è se facesse sul serio oppure solo per sfizio. Lei ci ha tenuti accuratamente separati. Tu conosci Gregor forse meglio di me, sotto certi aspetti. Che ne pensi?

— Mi è difficile immaginare Gregor infatuato d'amore fino all'idiozia. È sempre stato… uh, piuttosto moderato. Quasi privo di… be', forti impulsi sessuali. A paragone, che so, di un tipo come Ivan.

— Non sono certo che Ivan sia un paragone valido.

— No, hai ragione. Diciamo che Gregor non è molto diverso da te, per intenderci.

Miles si chiese come interpretare quella diagnosi. — Gregor non ha mai avuto molte opportunità, quando eravamo più giovani. Voglio dire, nessuna intimità. La Sicurezza sempre incollata alla schiena. Questo può… inibire un uomo, a meno che non sia un tantino esibizionista.

Lo sguardo di lei parve riconsiderare eventi passati. — Gregor non ha mai avuto questa tendenza.

— Senza dubbio Cavilo sta mettendo ogni impegno nel presentargli il suo lato più attraente.

Elena si mordicchiò pensosamente un labbro. — Ed è attraente?

— Sì. Se a qualcuno piacesse una bionda con l'hobby dell'intrigo e le attitudini sentimentali di un maniaco omicida, suppongo che impazzirebbe per lei. — La sua mano destra si contrasse, come se la carezza con cui aveva sfiorato i capelli di Cavilo gli fremesse ancora nella carne.