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— Non adesso! — ringhiò Tung. Ma cominciò a organizzare una manovra per coprire il ristretto volume di spazio alle loro spalle, in modo che le astronavi nemiche fornite di lance a esplosione fossero indotte o costrette ad attaccare lungo percorsi più esterni. Quelle cetagandane che Miles vedeva nelle vicinanze parvero quasi esitare, rizzare gli orecchi e guardarsi attorno mentre Squalo Tre continuava a trasmettere: «Sgombrate l'uscita!» I Dendarii dovevano essere alle strette, sul punto di ritirarsi balzando nel corridoio di transito… un'insperata opportunità di sfondare il loro fronte difensivo e penetrare…

— Che diavolo è quello? — ansimò Tung, quando una massa molto voluminosa e per il momento non identificabile apparve allo sbocco del vortice e accelerò all'istante. Guardò il display del teleradar e sbatté le palpebre. — È troppo grossa per essere così veloce. È troppo veloce per essere così grossa.

Miles riconobbe il suo profilo energetico appena il simulatore tattico ne costruì un'immagine grafica. Dio mio, che bestia. Non si può negare che abbiano fatto una nave da battaglia! - È il Principe Serg. I rinforzi dell'Impero di Barrayar sono arrivati. — Gli sfuggì un fischio fra i denti. — Non ti avevo forse promesso che…

Con lo sguardo inchiodato allo schermo tattico Tung imprecò, stupefatto. Altre navi, appartenenti alle Forze Spaziali di Pol e alla Marina di Aslund, uscirono dal vortice a brevi intervalli e si allinearono rapidamente in formazione. Una formazione d'attacco, non difensiva.

Il varco che si aprì nello schieramento cetagandano fu come un gemito di stupore. Una delle loro navi più grosse deviò contro il Principe Serg sparando furiosamente gragnuole di missili e raggi al plasma, e fu spaccato in due tronconi quando dall'incrociatore da battaglia scaturì una lancia gravitazionale di portata tripla di quelle cetagandane. Quello fu il primo colpo mortale.

Il secondo arrivò via radio su tutte le frequenze: l'intimazione agli aggressori cetagandani di arrendersi o di essere distrutti dalle navi dall'Alleanza del Mozzo Hegen, nel nome di sua Altezza Imperiale Gregor Vorbarra e del Conte Aral Vorkosigan, comandanti della flotta unita.

Per un momento Miles pensò che Tung fosse sul punto di cadere dalla poltroncina. Poi l'eurasiatico indicò lo schermo e gridò, deliziato: — Aral Vorkosigan… lui qui? Morte e maledizione! — Poi abbassò la voce, quasi parlando fra sé: — Come saranno riusciti a farlo tornare in azione? Diavolo, magari potrò conoscerlo di persona!

Tung, ricordò Miles, era un esperto di storia militare ed uno dei più entusiasti ammiratori di suo padre. Anche se teneva per sé il suo hobby, avrebbe potuto recitare a memoria ogni particolare delle campagne belliche dell'ammiraglio barrayarano. — Vedrò se posso organizzarti un incontro — gli promise.

— Ragazzo, se tu riuscissi davvero a farlo… — Tung scosse il capo e lasciò da parte le considerazioni legate alla storia militare per l'altra sua passione, senz'altro più immediata e urgente: quella di essere fra coloro che ne scrivevano, sul campo, qualche riga.

Le navi cetagandane si videro costrette ad allontanarsi, dapprima singolarmente, sfuggendo qua e là, poi in gruppi più ordinati che cercavano di organizzare una ritirata col minimo di perdite. Il Principe Serg e la flotta alleata non persero tempo ad aspettare la loro risposta: le inseguirono e le attaccarono con tutta la violenza possibile, per impedire che pianificassero una resistenza efficace. Nelle ore successive la ritirata divenne sempre più scoordinata e confusa, mentre anche le forze vervane attestate a protezione del pianeta abbandonavano l'orbita per tagliare la strada agli invasori in rotta. I vervani attaccarono senza pietà, dando la caccia alle navi cetagandane con la furiosa sete di vendetta di chi ha dovuto temere la tracotante sopraffazione di un nemico spietato.

I particolari organizzativi, la stressante attività per riparare i danni, ed i problemi del recupero dei naufraghi rimasti alla deriva in una vasta zona di spazio, assorbirono l'attenzione di Miles al punto che solo alcune ore più tardi cominciò a rendersi conto che per la Flotta dei Mercenari Dendarii la guerra finiva lì. Ciò che dovevano fare era stato fatto.

CAPITOLO DICIASSETTESIMO

Prima di uscire dalla sala tattica Miles, per prudenza, chiamò la sicurezza interna della Triumph e s'informò su come procedeva la ricerca dei prigionieri evasi. Quelli definiti al momento ancora irreperibili erano Oser, il capitano della Peregrine e altri due ufficiali oserani, la comandante Cavilo e il generale Metzov.

Miles era quasi certo d'aver visto Oser e gli altri fuggiaschi esplodere in cenere radioattiva sui monitor. C'erano stati anche Cavilo e Metzov a bordo della navetta? Che ironia per la bionda mercenaria finire così ad opera dei cetagandani. Ma non le sarebbe accaduto nulla di diverso se avesse dovuto rispondere delle sue manovre ai Randall Rangers, agli aslundiani, ai vervani, ai barrayarani o a chiunque fra quelli che aveva ingannato nella sua breve e movimentata comparsa al Mozzo Hegen. Era uscita di scena (se era davvero così) nel modo più pulito e conveniente per tutti, anche se le sue ultime parole avevano lasciato a Miles l'amaro sapore profetico delle maledizioni di chi era atteso dall'inferno. A preoccuparlo, comunque, era più l'ipotesi che Metzov si fosse nascosto da qualche parte per tendergli un agguato. Prese con sé uno dei mercenari di guardia in corridoio e si fece scortare al suo alloggio.

Per strada incrociò una fila di feriti sbarcati da una navetta, che venivano trasportati nell'infermeria della Triumph. La nave ammiraglia, pur seguendo gli scontri con il gruppo di riserva non aveva incassato colpi che i suoi scudi non potessero assorbire, ma poche erano state così fortunate. L'elenco delle perdite, nelle battaglie spaziali, aveva caratteristiche opposte a ciò che avveniva su un pianeta; i morti erano assai più dei feriti, anche se gli ambienti stagni dei relitti alla deriva consentivano ai superstiti di sperare nell'arrivo dei soccorsi. Angosciato da ciò che vedeva Miles cambiò strada e seguì la triste processione. Di che utilità poteva essere lui nell'infermeria?

Le squadre di recupero non avevano certo mandato alla Triumph i casi più facili. Sulle barelle di testa c'erano tre gravissimi casi di ustioni e una frattura cranica, e il personale di sala operatoria cominciò a occuparsene subito. Alcuni mercenari erano consci e attendevano con calma il loro turno, immobilizzati dai campi-rete d'energia delle barelle, lo sguardo annebbiato dai sedativi.

Miles cercò di dire qualche parola a ciascuno di loro. Tre o quattro non lo udirono neppure, altri sembrarono apprezzarlo. Lui fece del suo meglio per incoraggiare e distrarre questi ultimi, commosso nel vederli compatire le condizioni dei compagni feriti ancor più gravemente di loro. Poi andò a bere qualcosa e restò sulla porta per alcuni minuti, immerso negli spiacevoli odori di un'infermeria dopo la battaglia: sangue, disinfettante, carne bruciata, urina, apparecchiature surriscaldate, finché s'accorse che la stanchezza l'aveva ridotto in uno stato di stordimento tale che stava tremando, sull'orlo delle lacrime. Depose il bicchiere di carta e uscì. Un letto. Se qualcuno lo voleva, avrebbe potuto venire a cercarlo più tardi.

Batté il codice sulla serratura dell'alloggio di Oser. Ora che l'aveva ereditato, gli sarebbe forse convenuto modificare la combinazione. Scrollò le spalle ed entrò. Pochi istanti dopo nella sua mente penetrò la consapevolezza di due fatti allarmanti. Primo: quando aveva rimandato indietro l'uomo di scorta s'era dimenticato di dirgli che tornasse a prenderlo all'infermeria. Secondo: non era solo. Il suo passo indietro fu inutile; la porta s'era chiusa prima che l'istinto gli suggerisse di tornare in corridoio.