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La faccia arrossata del generale Metzov era ancor più minacciosa dell'argentea parabola del distruttore neuronico che aveva in pugno, puntato dritto verso la sua testa.

L'uomo s'era procurato da qualche parte un'uniforme grigia e bianca da Dendarii, un po' troppo piccola per le sue misure. La comandante Cavilo, più indietro, ne indossava una uguale e troppo larga per lei. Metzov era teso, fremente e inferocito. Cavilo appariva… strana. Aspra, ironica, freddamente divertita. Sul suo collo candido c'era un'escoriazione. Non portava armi.

— Ora sei mio — sussurrò Metzov, trionfante. — Ora chiudiamo il conto. — Sorridendo di un sorriso distorto avanzò verso di lui e lo prese per il collo con una delle sue grosse mani, schiacciandolo contro la parete. Poi lasciò cadere il distruttore neuronico, che rimbalzò sul pavimento, lo attanagliò alla gola anche con l'altra mano e cominciò a stringere lentamente.

— Non potete sopravvivere. Non… — fece in tempo a gorgogliare Miles prima che la sua voce si strozzasse. Poté sentire la trachea cedere e cominciare a spezzarsi sotto la pressione dei pollici; il sangue gli riempì la testa e gli occhi con una violenza sorda che lo stordì. Niente, comprese, avrebbe impedito a Metzov di ucciderlo e di vendicarsi, neppure la prospettiva della morte certa…

Cavilo scivolò avanti, silenziosa e furtiva come un gatto, raccolse il distruttore neuronico e si spostò di lato, girando lungo la parete alla sinistra di Miles.

— Stanis, mio caro — tubò dolcemente. Assorto nell'estasi del graduale strangolamento di Miles, Metzov non si volse neppure a guardarla. — Ricordi l'ultima frase d'amore che mi hai detto? «Apri le gambe, cagna, o ti rompo la schiena». Che tesoro… sentirò molto la mancanza del tuo affetto, Stanis, sul serio.

Il tono della bionda indusse Metzov a girarsi a mezzo, perplesso. Sbarrò gli occhi. La vampa d'energia azzurrina si rifletté in essi per un breve attimo, prima di fondergli il contenuto delle orbite in una pappa ardente e cuocergli il cervello. Per poco Miles non ebbe il collo spezzato nella convulsione spasmodica che contrasse la muscolatura dell'uomo. Poi sentì il tonfo del corpo che si abbatteva al suolo. L'odore di ozono sparso nell'aria dalla scarica entrò nelle sue narici insieme a quello acre della carne bruciata.

Miles restò con le spalle al muro, ansando, senza osare muoversi. Mise a fuoco lo sguardo sul cadavere, poi lo alzò verso Cavilo. Le belle labbra di lei erano ricurve in un sorriso d'immensa e serena soddisfazione. C'era da dubitare che non fosse stata proprio lei a richiedere a Metzov una fraseologia da postribolo, nei loro momenti d'intimità. Avevano ingannato quelle ore d'attesa nella camera da letto di Oser, libera dagli apparati d'ascolto? Strano che il generale non avesse capito che in lei la meccanica dell'orgasmo era azionata da qualcosa di assai più morboso del sesso. Il silenzio si prolungò per molti secondi.

— Non… — Miles deglutì saliva, massaggiandosi la gola, — non che io mi lamenti, intendiamoci, ma perché non la fai finita e spari anche a me?

Cavilo ebbe una smorfia. — Una vendetta rapida è meglio di niente, ma una lenta è migliore… purché si viva abbastanza da vederla arrivare. Sarà per un'altra volta, ragazzo. — Abbassò il distruttore neuronico come per infilarlo in una fondina, che però non aveva; allora lasciò pendere il braccio lungo il fianco. — Tu hai promesso che in cambio dei miei mercenari mi avresti fatta uscire salva dal Mozzo Hegen, Lord Vor. E io credo che sarai abbastanza stupido da mantenere la tua parola. Non che mi lamenti, intendiamoci. Certo, se Oser avesse dato un distruttore neuronico anche a me, invece di farne gentile dono a Metzov insieme al codice della serratura di questa porta, e se mi avesse presa a bordo come lo supplicavo, forse ora quella navetta avrebbe un altro padrone e si starebbe allontanando su un'altra rotta… molto più sicura. E le cose sarebbero diverse.

Già, alquanto diverse. A passi pesanti, e stancamente, Miles andò ad accendere l'interfono e chiamò la sicurezza. Cavilo lo guardava con aria pensosa. Dopo un poco, mentre aspettavano che la squadra arrivasse, la donna gli si avvicinò. — Quel giorno, in quell'albergo… qualcosa mi diceva che sottovalutare un tipetto strano come te poteva essere uno sbaglio.

— Io non ti ho sottovalutato mai.

— Lo so. Non ho l'abitudine di dirlo spesso, ma… grazie. — Con gesto sprezzante gettò il distruttore neuronico sul cadavere di Metzov. Poi si girò, lasciando balenare un attimo il candore dei suoi denti; passò un braccio intorno al collo di Miles e lo baciò voluttuosamente sulla bocca. La sua scelta di tempo era stata perfetta: condotta da Elena e dal sergente Chodak, ad armi spianate, la squadra della sicurezza fece irruzione nell'alloggio.

Equilibrandosi sulle irregolarità gravitazionali del tubolare di collegamento Miles lasciò la navetta e passò a bordo del Principe Serg. Uscito dal compartimento stagno guardò con invidia il largo corridoio, scintillante di luci, ai lati del quale era allineata sull'attenti la guardia d'onore, e gli eleganti ufficiali nell'impeccabile uniforme verde del Servizio Imperiale che li stavano aspettando. Si volse a gettare un'occhiata ansiosa ai suoi mercenari in bianco e grigio. La vecchia Triumph, orgoglio dei Dendarii, sembrava piccola e sporca e malconcia a paragone di quel lusso.

Già, ma voi ragazzi non avreste segnato il punto se noi non avessimo portato la palla attraverso tutto il fango che c'era nel campo, cercò di consolarsi.

Tung, Elena e Chodak stavano gongolando come turisti appena entrati nell'albergo di lusso dei loro sogni, e lui dovette richiamarli all'ordine con un gesto perché ricevessero e restituissero lo scattante saluto militare dei loro ospiti.

— Signori, sono il comandante Natochini, ufficiale esecutivo del Principe Serg - si presentò l'ufficiale più anziano. — Ammiraglio Naismith, il tenente Yegorov, qui, scorterà lei e la comandante Bothari-Jesek dall'ammiraglio Vorkosigan, che vi sta aspettando. Commodoro Tung, se me lo permette io condurrò personalmente lei e la sua scorta in visita al Principe Serg, e avrò il piacere di rispondere alle sue domande. Sempre che non riguardino particolari tecnici riservati, naturalmente.

— Naturalmente. — Il largo volto di Tung espresse impazienza e compiacimento. In effetti, se non si fosse subito tolto le sue curiosità sarebbe esploso.

— Più tardi saremo a pranzo con voi e l'ammiraglio Vorkosigan alla mensa ufficiali — disse Natochini a Miles. — I nostri ultimi ospiti a cena sono stati il Presidente di Pol e il suo staff, dodici giorni fa.

Certo che i mercenari apprezzavano al giusto valore un simile privilegio, l'ufficiale esecutivo accennò a Tung e a Chodak di seguirlo e si avviò lungo il corridoio. — A pranzo con l'ammiraglio Vorkosigan, eh? Bene, bene… — mormorò Tung, affiancandolo a passi marziali.

Il tenente Yegorov scortò Elena e Miles nella direzione opposta. — Lei è di Barrayar, signora? — domandò alla giovane donna, poiché la cortesia imponeva una conversazione formale.

— Mio padre è stato per diciotto anni vassallo-giurato e armiere del Conte Piotr — rispose lei. — È morto al servizio di Casa Vorkosigan.

— Capisco — disse rispettosamente l'ufficiale. — Lei è intima della famiglia, allora. — Questo spiega perché l'ammiraglio ti ha invitata, parve a Miles di sentirlo pensare.

— Oh, sì.

Yegorov considerò con sguardo incerto quello che aveva sentito chiamare «ammiraglio Naismith». — Mi sembra… uh, di aver capito che lei è di Beta, signore.

— Per parte di madre, ragazzo — disse lui, con smaccato accento betano.

— Ah… in tal caso lei potrà accorgersi che noi barrayarani diamo più importanza a certe formalità — lo avvertì il tenente. — Il Conte Vorkosigan, come lei capirà, è abituato ai modi deferenti dovuti al suo alto rango.