Un angolo della bocca del Conte si piegò in su. — Vedo che stai imparando a essere pratico, figliolo. — Inserì il dischetto in un computer, per registrarlo. — Penso di poter avere un mandato di pagamento da una banca di Vervain per l'ora di pranzo. Potrete portarlo con voi quando tornerete sulla Triumph.
— Grazie, signore.
— Signore — Elena si piegò in avanti, ansiosamente. — Cosa ne sarà, ora, della Flotta Dendarii?
— La scelta spetta ai vostri capitani, presumo. Anche se non posso dar torto a Illyan quando esprime l'opinione che non debbano restare nelle vicinanze di Barrayar.
— Allora saremo di nuovo abbandonati? — chiese Elena.
— Abbandonati?
— Avevate fatto di noi una milizia imperiale, una volta. Io lo credevo. Anche Baz lo credeva. Poi Miles ci lasciò, e da allora… niente.
— Come l'isola Kyril — aggiunse Miles. — Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. — Scosse la testa, tristemente. — Il loro morale ne soffrirà molto.
Il Conte Vorkosigan gli diede un'occhiata tagliente. — Il destino dei Dendarii, come anche la tua futura carriera militare, è… ancora sotto discussione.
— E loro avranno voce in capitolo, in questa discussione? Io l'avrò?
— Ve lo faremo sapere. — Il Conte poggiò le mani sulla consolle e si alzò in piedi. — Questo è tutto ciò che posso dirvi. E ora, signori, che ne dite di andare a pranzo?
Anche Elena e Miles dovettero alzarsi. — Il commodoro Tung non sa ancora niente della nostra parentela — disse quest'ultimo. — Se desideri che la copertura sia ancora sfruttabile, quando saremo a tavola dovrò continuare a recitare la parte dell'ammiraglio Naismith.
Il Conte Vorkosigan fece un sorrisetto ironico. — Illyan e il capitano Ungari non vorranno certo rinunciare a un personaggio ancora potenzialmente utile. Comunque, per quello che vale… fai pure come credi.
— Devo avvertirti che l'ammiraglio Naismith non è molto deferente con gli alti papaveri.
Elena e il Conte Vorkosigan si guardarono, e d'un tratto scoppiarono a ridere. Miles rimase ad attendere, rigido e per niente divertito, finché la loro ilarità si placò. A volte aveva la seccante impressione d'essere un microbo sotto il microscopio.
L'ammiraglio Naismith fu straordinariamente compito durante il pranzo. A tavola non raccontò barzellette sporche, anche se il tenente Yegorov lo guardò un paio di volte come chiedendosi (evidentemente la sua fantasia non ci arrivava) cosa poteva esser successo fra il cannibale e la bella missionaria.
Il corriere del governo vervano appoggiò l'assegno, una tessera magnetica, sulla scrivania del comandante della Stazione Interna di Vervain. Miles impresse sulla ricevuta l'impronta del pollice, quella della retina e l'illeggibile e fantasioso scarabocchio dell'ammiraglio Naismith, assai diverso dall'accurata firma dell'alfiere Vorkosigan. — È un piacere fare affari con onesti gentiluomini come voi, signori — si compiacque, intascando la tessera e chiudendo con cura la tasca.
— È il meno che possiamo fare — disse il comandante della stazione di balzo. — Non so dirle come mi sia sentito sollevare lo spirito quando le navi dei Dendarii si sono materializzate nel nostro spazio, per combattere e scacciare gli invasori cetagandani.
— I Dendarii non avrebbero potuto riuscirci da soli — precisò modestamente Miles. — Tutto ciò che abbiamo fatto è stato di affiancarvi in attesa che la vera forza d'urto entrasse in campo.
— Ma se non aveste tenuto le posizioni, l'Alleanza del Mozzo Hegen, la «vera forza d'urto» come dice lei, non avrebbe potuto fare il balzo nello spazio locale.
— Non senza gravi perdite, è vero — concesse lui.
Il comandante della stazione guardò l'orologio. — Be', il mio pianeta esprimerà fra poco la sua opinione sull'argomento in modo più tangibile. Posso accompagnarla alla cerimonia, ammiraglio? È quasi l'ora.
— Sì, grazie. — Miles si alzò e lo precedette fuori dall'ufficio, palpando il ringraziamento più tangibile che aveva in tasca. Medaglie, uh-hu. Non è con le medaglie che si pagano i conti dei cantieri navali.
Davanti a una finestra panoramica si fermò un istante, non tanto per guardare lo spazio all'esterno della stazione quanto la sua immagine riflessa nel cristallo. L'accoppiamento bianco/grigio dei Dendarii non mancava di stile, riconobbe. La giacca dell'uniforme aveva bordi in velluto grigio scuro, messi in risalto dalle strisce bianche lungo le cuciture e intorno ai gradi. I morbidi stivaloni di pelle, anch'essi grigi, aggiungevano alcuni preziosi centimetri alla sua statura. I bottoni e le fibbie d'argento gli conferivano, senza eccedere, un'eleganza marziale. Forse avrebbe potuto riportare lo stesso disegno su qualche abito civile.
Nel vuoto esterno fluttuavano sparse numerose astronavi di Dendarii, Rangers, vervani e dell'Alleanza. Il Principe Serg non era fra esse. Si trovava nell'orbita di Vervain e ospitava continue riunioni ad alto livello, in cui venivano perfezionati i particolari di diversi accordi: traffici commerciali e turistici, rapporti economici, comportamenti diplomatici, tariffe doganali, alleanza militare di mutua protezione, programmi di scambio culturale e altri ancora fra Barrayar, Vervain, Aslund e Pol. Gregor, così Miles aveva sentito dire, si stava distinguendo sia nelle relazioni sociali, come protagonista dei notiziari televisivi, che nell'oscuro lavoro degli affari politici. Meglio tu che io, ragazzo. Il cantiere della stazione vervana aveva lasciato da parte altre riparazioni per dare la precedenza alle astronavi dendarii. Baz era indaffarato da qualche parte, fra le centinaia di lucciole che si spostavano lente intorno agli scafi. Miles si distolse da quella vista e seguì il comandante della stazione.
Nel corridoio fuori dal vasto auditorium dove si teneva la cerimonia furono fermati dal personale che stava organizzando la sala. Evidentemente i vervani (o i registi dei loro notiziari) desideravano che i protagonisti facessero il loro ingresso secondo una coreografia precisa. Il comandante entrò a controllare l'ambiente. Non era un grosso auditorium, ma i vervani avevano fatto in modo di riempirlo con un pubblico scelto e rappresentativo. Miles aveva contribuito con un plotone di Dendarii convalescenti. Nel suo discorsetto, decise, avrebbe sottolineato che poteva accettare ogni merito solo a nome dei mercenari, come loro rappresentante.
Mentre aspettava fuori vide arrivare la comandante Cavilo con la scorta in alta uniforme fornitale da Barrayar. A quanto ne sapeva lui, ai vervani non era stato detto che quella guardia d'onore aveva in realtà l'ordine di sparare alla bionda mercenaria, se solo avesse fatto tanto di fuggire. Due ausiliarie barrayarane dall'aria dura provvedevano a sorvegliare ogni momento delle sue giornate. Cavilo le precedeva con andatura flessuosa, ignorando altezzosamente la loro esistenza.
Indossava una delle sue versioni sexy dell'uniforme dei Randall Rangers, nera e ocra, coi gradi applicati ai lati di una scollatura vertiginosa. La vampira morde, ricordò Miles a se stesso. Cavilo sorrise e deviò nella sua direzione. Emanava il profumo aspro, muschioso, a cui lui era allergico, intenso come se ci avesse fatto il bagno dentro.
Miles la salutò con un cenno del capo, s'infilò una mano in tasca e ne estrasse due filtri nasali. Con lenta ostentazione se li mise uno dopo l'altro nelle narici, e quindi aspirò l'aria per controllarne l'efficacia. Funzionavano bene. Avrebbero filtrato anche numerosi batteri oltre alle molecole organiche di quel dannato profumo.
Alla vista della sua esibizione Cavilo s'irrigidì, fulminandolo con uno sguardo furioso. — Maledetto imbecille! — sibilò fra i denti.
Lui si strinse nelle spalle, come per dire: «E cosa dovrei fare, secondo te?» — Siete già pronti per partire, tu e i Rangers?
— Ce ne andremo subito dopo questa stupida mascherata. Ho dovuto vendere come rottami sei navi che non possono più fare il balzo.