Scese lungo un declivio e parcheggiò la motopulce a circa duecento metri dagli impianti meteorologici, nella depressione che gli era stata raccomandata; accese la torcia elettrica e controllò di nuovo la carta dell'isola. La Stazione Dieci si trovava a una quota non indifferente fra le montagne vulcaniche e i ghiacciai. Meglio non provarci neppure, con l'oscurità. Comunicò il suo cambiamento di programma facendo rapporto via radio alla Base, 160 chilometri più a sud. L'operatore che ne prese nota non gli sembrò particolarmente interessato. Buon segno.
Dato che nessuno lo guardava, Miles ne approfittò per tirare fuori tutte le affascinanti attrezzature di sopravvivenza stivate nel retro della motopulce. Era più prudente impratichirsi del loro uso li, in condizioni climatiche favorevoli, che aspettare l'arrivo di una tempesta di neve. La piccola tenda-bolla a due posti — due posti per individui di corporatura normale, tutti per lui — quando fu aperta gli sembrò un palazzo. La posizionò sottovento rispetto alla motopulce, dopo aver calcolato che la depressione era a suo avviso un po' troppo ampia per offrire un vero riparo dal wha-wha.
Alla luce della torcia Miles rifletté sullo scarso peso della bolla di plastica. D'inverno, dicevano le istruzioni, andava appesantita ammucchiando la neve all'esterno, ma lì c'era solo una quantità di terreno umido e freddo. E sulla violenza del wha-wha gli era rimasta in mente una scena di un video mostratogli da Ahn: una latrina da campo, strappata via dal suolo, che rimbalzava via a una velocità di 150 chilometri all'ora. Abbastanza impressionante. Ahn non aveva saputo dirgli se nella latrina c'era qualcuno al momento di quella ripresa. Miles decise di attaccare la tenda-bolla all'assale della motopulce con una catena. Poi, soddisfatto, penetrò carponi nell'interno.
L'equipaggiamento era di prim'ordine. Fissò la torcia alla parete, appese al soffitto un calorifero tubolare e lo regolò sul minimo, sedendosi sotto di esso a gambe incrociate. Le razioni erano quelle dell'aeronautica, notò con un sorrisetto. Accese la stufetta a piastra e scaldò un vassoio sigillato contenente stufato di carne, riso in salsa piccante e insalata mista. Il succo di frutta, che preferì all'acqua minerale, era più che passabile. Dopo aver mangiato e messo via gli avanzi, srotolò una comoda stuoia imbottita, infilò il dischetto di un libro nel minicomputer e si preparò a lasciar trascorrere la breve notte artica.
Miles aveva conosciuto periodi di tensione nelle ultime settimane, prima degli esami. Gli ultimi tre anni erano stati duri. Il libro-disco, un romanzo betano a sfondo sociale che la Contessa gli aveva appioppato con altro materiale istruttivo, non aveva niente a che fare con Barrayar, il servizio militare, i mutanti, la politica o la meteorologia. Prima che se ne accorgesse stava già cominciando ad appisolarsi.
Si svegliò con un ansito, strizzando gli occhi nella debole luce arancione che usciva dal calorifero tubolare. Sapeva di aver dormito a lungo, ma oltre il settore trasparente della tenda-bolla c'era una profonda oscurità. Un panico irragionevole lo attanagliò alla gola. Dannazione, cercò di dirsi, cosa importa, qui, se ho dormito troppo? Non sono certo in ritardo per un esame. Ma perché era buio? Guardò il display dell'orologio da polso.
Avrebbe dovuto essere giorno da un pezzo.
Le pareti flessibili della tenda-bolla erano piegate all'interno. Non restava neppure un terzo dello spazio originale, e il pavimento s'era deformato. Miles premette le mani sulla fredda plastica. Il materiale cedette lentamente, come burro tenero, e mantenne la cavità che lui aveva prodotto. Cosa diavolo…?
Il sangue gli pulsava nelle tempie e lui aveva la gola secca; l'aria era umida e maleodorante. Puzzava di… mancanza di ossigeno ed eccesso di anidride carbonica, come in una capsula spaziale d'emergenza. Lì dentro? Il senso di disorientamento gli diede le vertigini, come se il pavimento sussultasse.
Il pavimento stava sussultando, s'accorse, indignato, quando una spinta dal basso lo fece rovesciare su un fianco. Dalla gamba destra gli salì una fitta di dolore. Riuscì a distenderla e giacque sulla schiena, lottando contro il panico indotto dall'anidride carbonica. Doveva respirare lentamente, e pensare in fretta.
Sono finito sottoterra. Assorbito nelle sabbie mobili o qualcosa del genere. Magari fango congelato, che il calore della tenda e della motopulce aveva fatto sciogliere. Possibile che i due bastardi del reparto veicoli gli avessero fatto uno scherzo così carogna? E lui c'era cascato, anzi c'era completamente sprofondato.
Fango semisolido, forse. La motopulce non era affondata in modo visibile nel tempo che lui aveva impiegato a montare la tenda. In caso contrario avrebbe capito che quella zona era una trappola. Ma era arrivato lì col buio, naturalmente. Certo che, se non avesse fatto lo sbaglio di mettersi a dormire…
Rilassati! si impose, freneticamente. La superficie della tundra e l'aria fresca dovevano essere solo una decina di centimetri più in alto. O dieci metri… Rilassati! Frugò attorno alla ricerca di qualcosa da usare come sonda. Fra gli attrezzi c'era un sottile tubo telescopico con l'estremità cava, affilata, per estrarre campioni di ghiaccio dal terreno. No, era rimasto insieme alla radio da campo sul sedile posteriore della motopulce. La quale si trovava, cercò di calcolare Miles dall'angolazione del pavimento, circa due metri e mezzo più ad ovest e più in basso della sua posizione attuale. Era il peso della motopulce che lo stava trascinando giù. La tenda-bolla, da sola, avrebbe dovuto galleggiare su quella maledetta fanghiglia congelata. Se fosse riuscito a staccare la catena sarebbe tornato a galla? Non abbastanza in fretta. Gli sembrava già di avere i polmoni pieni di cotone. Doveva uscire da lì al più presto o sarebbe morto asfissiato. Morto e sepolto. Sarebbero stati presenti anche i suoi genitori quando alla fine l'avessero trovato? Quando una scavatrice avesse tirato fuori il veicolo grondante di fango, e poi la tenda schiacciata e deforme… e dentro di essa il suo corpo congelato, come in un'orrida placenta partorita dalla palude… Rilassati!
Si alzò e premette le mani contro il soffitto: solido e pesante. I suoi piedi affondavano nel pavimento, ma in qualche modo riuscì a staccare dalla parete una delle costole d'alluminio, contorta come una serpe. Lo sforzo lo fece quasi svenire. Trovò la parte più alta della tenda e spinse la costola contro la plastica molle finché non la sentì cedere. Non voleva squarciarla troppo, per timore che la melma schizzasse giù nell'interno e lo facesse annegare in pochi secondi; ma quella che gli colò lungo le braccia fu una melassa semisolida, che pioveva attorno con lenti plop. L'odore e il colore erano repellenti quanto la sua consistenza. Dio, e pensare che credevo d'essere stato altre volte nella merda fino al collo.
Spinse la costola verso l'alto e la sentì affondare, ma con più resistenza del previsto. Spinse ancora, mentre l'alluminio scivolava fra le sue mani sudate. Non erano pochi centimetri. Neppure mezzo metro. Un metro, un metro e trenta, e la costola finì. Fece una pausa e cercò di agitare e ruotare la sua sonda improvvisata. C'era meno resistenza all'altra estremità? Era sbucata alla superficie? La tirò indietro e la spinse di nuovo all'insù, ma ottenne solo di farsi grondare altra fanghiglia sulla testa e non riuscì a capire in cosa stava frugando.
Forse, forse, fra la cima della tenda-bolla e l'aria libera c'era qualcosa di meno della sua altezza. Abbastanza spazio da restarci per sempre. A che velocità si chiudeva un buco in quella melma? I suoi occhi cominciavano a non vedere più niente, e non perché la luce rossa del calorifero stesse diminuendo. Staccò il tubolare e se lo ficcò in una tasca della giacca. Il buio in cui rimase immerso lo riempì d'orrore, ed esitò. O forse era il senso di soffocamento, l'anidride carbonica. Ma doveva essere ora o mai più.