— Ghiaccio — grugnì Bonn. — Spesso tre o quattro centimetri, direi. Qui stiamo sopra uno strato di ghiaccio, proprio come su un lago congelato, salvo che si tratta di un dannatissimo lago di fango… roccia vulcanica polverizzata.
Miles saggiò la consistenza del terreno con un tacco. Umido, ma solido. Più o meno come quando ci si era accampato sopra.
Bonn, che lo osservava, aggiunse: — Lo spessore del ghiaccio varia con la stagione, da pochi centimetri a qualche metro. D'inverno qui sopra potrebbe atterrare una navetta; in estate è molto più sottile. Questo materiale può diventare da solido a liquido in poche ore se qualcosa ne alza la temperatura, e col buio congelare di nuovo.
— Sì… me ne sono accorto.
— Mi dia una mano — ordinò laconicamente Bonn, e Miles afferrò l'asta appoggiandovisi con tutto il suo peso. Poté sentire lo scricchiolio con cui oltrepassò lo strato di ghiaccio. Se la temperatura si fosse abbassata più in fretta mentre lui era sepolto là sotto, e il fango avesse cominciato a congelarsi, sarebbe mai riuscito a sfondare quel sigillo di ghiaccio? Al pensiero ebbe un brivido, e tirò su la cerniera del parka che indossava sulla tuta nera.
— Freddo? — chiese Bonn.
— Faccio finta di non sentirlo.
— Bene. Ci si abitui. — Bonn premette un pulsante e lo scandaglio sonico in cima all'asta si accese con ronzio così acuto da far vibrare i denti. Sul display apparve una figura rossa a forma di goccia, qualche metro più a sinistra. — Eccola qui. — Bonn lesse le cifre del display. — È affondata di un bel pezzo, eh? Dovrei ordinarle di scavarla fuori con un cucchiaino da tè, alfiere, ma suppongo che ci metterebbe tutto l'inverno prima di arrivare a quella profondità. — Inarcò un sopracciglio, fissandolo come se immaginasse la scena.
Anche Miles non aveva difficoltà a immaginarla, dopo aver conosciuto Metzov. — Sì, signore — disse, rispettosamente.
Tirarono fuori la sonda, sporcandosi i guanti di melma mista a schegge di ghiaccio. Bonn segnò il punto e fece un cenno ai tecnici. — È qui, ragazzi! — I due annuirono, rientrarono in cabina e azionarono il cuscino d'aria. Mentre il pesante veicolo scivolava avanti, Bonn e Miles si tolsero di mezzo e risalirono sul pendio roccioso, dalla parte della stazione meteorologica.
Ululando, fra vortici di gocce che roteavano via in tutte le direzioni, il veicolo si fermò a mezzo metro sopra la superficie della palude. Il grosso raggio trattore, un modello usato anche per i lavori nello spazio, fu puntato in basso. Fango, pezzi di radici e ghiaccio esplosero fuori come un geyser, con un ruggito. Da lì a due minuti il raggio aveva scavato un cratere largo tre metri e fondo almeno cinque, percorso da vibranti ondulazioni color caffellatte lungo le pareti. La fossa cominciò a chiudersi appena il raggio invertì la polarità, ma il manovratore fu svelto a restringerlo e con un gorgogliante risucchio la motopulce fu tirata fuori dalla sua tomba di melma. Sotto di essa, appesi alla catena, penzolavano miseramente i resti contorti della tenda-bolla. Il veicolo indietreggiò fuori dalla palude, spense il cuscino d'aria e si appoggiò al suolo accanto al suo carico.
Bonn e Miles andarono a esaminare la motopulce coperta di fango. Il tenente toccò con un piede la plastica afflosciata lì accanto. — Lei non era in questa tenda-bolla, no, alfiere?
— Temo di sì, signore. Aspettavo che facesse giorno. Purtroppo… mi ero addormentato.
— Ma è uscito prima che affondasse.
— Be', non proprio. Quando mi sono svegliato ero già un bel pezzo sotto.
Bonn inarcò le sopracciglia. — Sotto di quanto?
Miles si portò una mano all'altezza del mento.
Il tenente lo guardò stupito. — E come diavolo ha fatto a tornare in superficie?
— Mi sembra che non sia stato facile. Adrenalina, suppongo. Sono arrivato su senza i pantaloni e le scarpe. Ripensandoci, anzi, posso andare a vedere se ritrovo almeno le scarpe, signore?
Bonn annuì in silenzio, e Miles tornò nella palude. Girò intorno alla buca prodotta dal raggio trattore, tenendosi a distanza di sicurezza dall'acqua marroncina che ora la riempiva, e dopo aver frugato nel fango più solido che era stato proiettato attorno trovò infine una scarpa, ma non l'altra. Valeva la pena di tenerla, nel caso che un giorno gli avessero amputato un piede? Probabilmente sarebbe stato il piede sbagliato. Fece un sospiro e risalì fino al veicolo.
Bonn guardò la scarpa malconcia e scosse il capo. — Avrebbe potuto lasciarci la pelle.
— Tre volte. Schiacciato nella tenda-bolla, affogato nel fango, e congelato sotto la grandine in attesa dei soccorsi.
Il tenente gli diede un'occhiata penetrante. — Proprio così. — Si allontanò a passi lenti dal veicolo, guardandosi attorno come in cerca di una vista migliore della zona. Miles lo seguì. Quando furono fuori portata d'udito dei due tecnici Bonn si fermò a osservare la palude, e con aria spassionata gli comunicò: — Ho sentito dire… ufficiosamente, che un certo tecnico motorista di nome Pattas si è vantato con un collega di averle fatto un brutto scherzo, dicendo che lei è stato così stupido da cascarci. Questa vanteria potrebbe esser stata… poco intelligente, se lei fosse rimasto ucciso.
— Se fossi rimasto ucciso, importerebbe poco che se ne sia vantato o meno. — Miles scrollò le spalle. — Quello che sfuggirebbe alla polizia militare della Base, stia pure certo che non resterebbe ignoto alla Sicurezza Imperiale dopo un'indagine approfondita.
— Lei si è reso conto d'esser stato vittima di un atto deliberato? — Bonn studiò l'orizzonte.
— Sì.
— Allora mi sorprende che non abbia subito informato la Sicurezza Imperiale.
— Oh, ammetto di averci pensato, signore.
Lo sguardo di Bonn tornò su di lui, come prendendo visione di tutte le sue deformità. — Non reciti la parte del Lord sportivo con me, Vorkosigan. Perché l'hanno accolto nel servizio?
— Lei che ne pensa?
— Privilegi dei Vor.
— E io ne ho approfittato.
— Allora perché è finito qui? Lei avrebbe potuto fare la bella vita al Quartier Generale.
— Vorbarr Sultana è deliziosa in questa stagione — annuì lui con un sospiro, e pensò a come se la stesse cavando suo cugino Ivan. — Ma io volevo fare servizio su un'astronave.
— E non poteva imbarcarsi, in qualche modo? — lo interrogò Bonn, scettico.
— Mi è stato detto che dovevo meritarmelo. Ecco perché sono qui. Per dimostrare che sono adatto al Servizio oppure… oppure no. Chiamare la Sicurezza Imperiale dopo una settimana dal mio arrivo, e far mettere a soqquadro la Base e tutti quanti da investigatori alla ricerca di una cospirazione, magari politica… dove io so che non c'è stato niente del genere… per quanto forse sarebbe divertente, non mi porterebbe più vicino al mio obiettivo. — Prove confuse, voci, la sua parola contro quella di due uomini… anche se lui avesse chiesto un'indagine completa e la macchina della verità gli avesse dato ragione, alla lunga le ripercussioni di quell'episodio l'avrebbero soltanto danneggiato. No, il Principe Serg valeva la rinuncia a una vendetta.
— Il reparto veicoli è sotto il comando del reparto ingegneria. Se la Sicurezza Imperiale venisse a indagare, io sarei tenuto a dire quello che so. — Gli occhi scuri di Bonn ebbero uno scintillio.
— Sì, signore, le sarebbe richiesta una testimonianza. Ma le voci restano voci, e possono circolare come esser smentite. Rischiare di compromettersi non le gioverebbe. E per quello che è successo qui, lei ha soltanto la mia parola. — Miles soppesò la scarpa, poi la scaraventò di nuovo nella palude.
Bonn la seguì pensosamente con lo sguardo mentre piombava nella poltiglia marroncina semiliquida. — La parola di un Lord Vor?
— Non ha molto valore, in questi tempi degenerati. — Miles scoprì i denti in un sogghigno. — Lo domandi a chiunque.