Il medico annuì, inarcando le sopracciglia. Lui e l'infermiere dovettero poi metter mano alla corda e unirsi agli sforzi di Miles, Pattas e Olney prima che la salma irrigidita nel fango cominciasse a muoversi.
— Cristo, se era incastrato - grugnì l'infermiere. Il corpo uscì finalmente alla luce, accompagnato da un rigurgito d'acqua sporca. Pattas e Olney preferirono restarne a distanza; Miles invece si chinò a guardare da sopra una spalla del medico. Bluastro in faccia e inzuppato d'acqua, il cadavere indossava una comune tuta nera da fatica. Le piastrine sul colletto e il contenuto delle tasche lo identificarono come un soldato semplice della sussistenza. Non aveva ferite visibili, a parte alcune graffiature sulle mani e strappi nella tuta all'altezza delle spalle.
Il medico registrò a voce alcuni dati preliminari nel suo mini-comp: niente ossa rotte, nessuna vescica da distruttore neuronico. Ipotesi preliminari: morte da annegamento o ipotermia, o entrambe, avvenuta entro le ultime dodici ore. Intascò l'apparecchio e aggiunse: — Dopo che l'avremo portato in infermeria potrò dire qualcosa di più preciso.
— Succedono spesso cose di questo genere, qui alla Base? — volle sapere Miles.
Il medico si strinse nelle spalle, cupamente. — Ogni anno mi vedo arrivare in sala operatoria parecchi giovani idioti. Cosa ti puoi aspettare, quando sbatti cinquemila ragazzi fra i diciotto e i vent'anni su un'isola e li fai giocare alla guerra? Ma confesso che questo sembra aver scoperto un metodo completamente nuovo per ammazzarsi.
— Lei pensa che si sia suicidato, allora? — In effetti era strano ammazzare un uomo e poi infilarlo in un posto di quel genere.
Il medico osservò pensosamente lo sbocco della conduttura. — Così sembrerebbe. Mmh, che ne dice di dare un'altra occhiata là dentro, alfiere, giusto per scrupolo?
— Come vuole, signore. — Miles si augurò che fosse l'ultimo viaggio. Non avrebbe mai pensato che la pulizia delle fognature potesse avere risvolti da thriller. Si trascinò avanti nella curva che il condotto faceva sotto la strada, esplorandone ogni palmo, ma trovò soltanto la torcia elettrica del soldato. Indicativo. Dunque era entrato lì di proposito. Con uno scopo. Quale scopo? Cosa poteva indurre un uomo a cacciarsi in una fogna di notte, durante un temporale? Indietreggiò di nuovo alla luce e consegnò la torcia al medico.
Miles aiutò l'infermiere a insaccare il corpo, quindi ordinò a Olney di recuperare la targa con cui avevano bloccato la grata e rimetterla al suo posto. L'acqua gorgogliò liberamente giù nello scarico. Il medico restò sulla strada con lui a guardare il livello della grossa pozzanghera che si abbassava sempre più.
— Sta pensando che potrebbe esserci un altro cadavere? Da questa parte, voglio dire — domandò Miles.
— È stato l'unico a non rispondere all'appello mattutino — disse l'ufficiale, — quindi è probabile di no. — Ma non sembrava disposto a scommetterci.
Quando la pozzanghera fu vuota comparve tuttavia un altro oggetto: il parka del soldato, appiattito nel fango. Evidentemente se l'era tolto prima di addentrarsi nello scarico, poggiandolo sulla bassa recinzione del percorso di guerra, e il vento l'aveva gettato al suolo. Il medico lo portò via con sé.
— Pare che queste cose non le facciano nessun effetto — commentò Pattas, mentre il veicolo si allontanava verso l'infermeria.
Il tecnico motorista non era molto più anziano di lui. — Non ti è mai capitato di maneggiare un cadavere? — gli domandò Miles.
— A me no. E a lei?
— Sì.
— Dov'è successo?
Miles esitò. Gli avvenimenti di tre anni prima erano ancora vividi nella sua memoria. I brevi mesi in cui s'era trovato a combattere disperatamente, in luoghi lontani, non erano però cosa di cui potesse parlare liberamente, o neppure accennare. I militari del Servizio Imperiale provavano soltanto disprezzo per i mercenari, vivi o morti. Ma la Campagna Tau Verde gli aveva senza dubbio insegnato la differenza fra l'addestramento e la realtà, fra le manovre belliche e la guerra vera, e nella morte dei compagni c'era qualcosa che restava per sempre appiccicato addosso. — Sono cose passate — disse, con un gesto vago.
Pattas scrollò le spalle e tornò al loro veicolo. — Be' — grugnì, voltandosi a mezzo, — almeno lei non ha paura di sporcarsi le mani, signore.
Miles inarcò un sopracciglio, divertito. Già. Non è di questo che ho paura.
Scrisse «Tubatura di drenaggio CA/69-B: stasata» sul display del rapporto giornaliero; poi riconsegnò la motopulce, l'equipaggiamento e i silenziosi Olney e Pattas al sergente Neuve della manutenzione e tornò agli alloggi ufficiali. Non aveva mai desiderato tanto una doccia in vita sua.
Stava percorrendo il corridoio verso la sua stanza quando una porta si aprì e un altro ufficiale mise fuori la testa. — Ah, alfiere Vorkosigan.
— Sì?
— Hanno chiamato al videotelefono, poco fa. Ho registrato a suo nome, così se vuole rispondere…
— Una telefonata? — Miles si fermò. — Da dove?
— Vorbarr Sultana.
Miles sentì un brivido nella nuca. Qualche problema a casa sua? — Grazie — annuì. Tornò in fretta all'inizio del corridoio, dove c'era la consolle che gli ufficiali di quel piano usavano in comune.
Sedette al terminale e batté il suo nome. Il numero che aveva chiamato gli era sconosciuto. Lo compose, infilò la tessera di credito nella fessura e attese che il satellite gli trovasse una linea libera. Il videotelefono all'altro capo del filo suonò parecchie volte; poi lo schermo prese vita e su di esso comparve il volto attraente di suo cugino Ivan. Il giovanotto sogghignò.
— Ah, Miles. Eccoti qua, finalmente.
— Ivan! Dove diavolo sei? Cos'è successo?
— Sono a casa mia, ragazzo. E non sto parlando della casa di mia madre. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere dare uno sguardo al posticino dove mi sono sistemato.
Miles ebbe la vaga, disorientante, sensazione d'essere in linea con un universo parallelo, o un piano astrale alternativo. Vorbarr Sultana, certo. Lui aveva vissuto in quella città, in una precedente reincarnazione. Diversi eoni addietro.
Ivan staccò la telecamera dalla sua consolle e la girò attorno, fornendogli una panoramica un po' instabile di un soggiorno dalle eleganti tonalità pastellose. — Già completamente ammobiliato — disse la sua voce fuori campo. — L'ho avuto da un capitano del Genio Militare che è stato trasferito a Komarr. Un vero affare, credimi. Ho appena portato qui le mie cose. Riesci a vedere il terrazzo?
Miles vedeva il terrazzo, e vedeva la calda luce dorata del tramonto al di là di esso, in un cielo color miele. I tetti di Vorbarr Sultana si stagliavano su quello sfondo come il profilo di una città fatata. Grappoli di fiori scarlatti traboccavano da un lungo vaso sulla balaustra del terrazzo, così rossi da far male agli occhi. Miles si accorse di aver deglutito un pesante groppo di saliva. — Belli, i tuoi fiori — disse, con voce rauca.
— Vero? Li ha portati la mia ragazza.
— La tua ragazza? — Ah, sì, gli esseri umani erano suddivisi in due sessi, ora che ci pensava. Uno aveva un profumo migliore dell'altro. Molto migliore. — Che ragazza?
— Tatya.
— La conosco? — Miles si sforzò di ricordare.
— Naah. È una nuova.
Ivan smise di far ruotare la telecamera e riapparve sullo schermo. I sensi esacerbati di Miles si placarono un poco. — Allora, com'è il tempo da quelle parti? — Ivan lo scrutò con più attenzione. — Mi sembri bagnato, ragazzo. Che stavi facendo di bello?
Lui esitò. — Uh, medicina legale… e idraulica.
— Cosa? — Le sopracciglia di Ivan s'inarcarono.
— Non importa — borbottò Miles. — Senti, è davvero un piacere vedere una faccia nota e tutto il resto, sul serio. — Ed era un piacere, in effetti, strano, quasi doloroso. — Però adesso sono in piena giornata lavorativa, qui.