Elaborò i dati appena giunti dalle stazioni e cominciò ad annotare i vettori del vento che il programma gli estrapolava per le 26,7 ore standard del giorno di Barrayar. Voleva poter fornire le più precise previsioni ottenibili. Ma prima di avere in mano lo stampato vide, dalla finestra, che Bonn e Yaski stavano uscendo dall'edificio dell'amministrazione. I due salirono su una motopulce, si allontanarono in fretta sulla neve e scomparvero nel buio. Che andassero a incontrarsi col capo della sussistenza da qualche altra parte? Miles considerò l'idea di seguirli, ma le previsioni aggiornate non erano diverse da quelle che aveva già comunicato loro. Gli conveniva andare ad assistere alla distruzione del bunker contaminato? Avrebbe potuto essere interessante. D'altra parte, la sua presenza sarebbe stata del tutto superflua. E come unico discendente della famiglia Vorkosigan — e quindi, probabilmente, futuro padre del prossimo Conte Vorkosigan — non aveva il diritto di esporsi a un rischio genetico per mera curiosità. Alla Base non avrebbe corso alcun pericolo, salvo che nella vaga ipotesi che il vento girasse prima del previsto. O la sua era la prudenza dei codardi mascherata da logica? In ogni caso, si disse, la prudenza era una virtù.
Visto che non aveva più sonno, comunque, decise di restare in ufficio per rimettersi in pari coi dati delle previsioni a lunga scadenza, che quel mattino aveva lasciato da parte per andare alla Stazione Undici. Un'ora al computer gli bastò per finire tutto quello che poteva anche remotamente passare per lavoro. Quando s'accorse che per tener occupate le mani stava spolverando uno scaffale, decise che era tempo di andarsene a letto, sonno o non sonno. In quel momento scorse una luce con la coda dell'occhio, e voltandosi verso la finestra vide arrivare una motopulce.
Ah, Bonn e Yaski. Già di ritorno? Erano stati svelti a sistemare il bunker… o non avevano ancora cominciato? Miles raccolse lo stampato con le previsioni del vento e scese all'ufficio ingegneria della Base, in fondo al corridoio del pianterreno.
L'ufficio del tenente Bonn era al buio; ma dalla porta esterna, socchiusa, di quello del comandante della Base usciva una striscia di luce verticale. Luce accesa, e più all'interno voci dal tono secco e nervoso. Miles si avvicinò, col foglio in mano.
Spinse la porta e sbirciò nell'altro ufficio. Metzov sedeva alla sua scrivania, girato a mezzo verso una consolle laterale, e con aria irritata stava battendo un dito sulle immagini colorate dello schermo. Bonn e Yaski erano in piedi davanti a lui. Miles spinse la porta e fece udire un passo sul pavimento di legno per annunciare la sua presenza.
Yaski girò la testa e lo vide. — Mandi Vorkosigan, allora. Lui è già un mutante e non ha problemi, no?
Miles si affrettò a farsi avanti, salutò rispettosamente e disse: — Mi scusi, signore, ma non è esatto. Non lo sono. L'incontro che ho avuto prima della nascita con una sostanza tossica di uso bellico ha causato danni teratogeni, non genetici. I miei figli saranno sani quanto si può esserlo, se ne avrò. Uh… mandarmi dove, comunque, signore?
Metzov lo stava scrutando, ma non raccolse il suggerimento di Yaski. Lui porse il foglio a Bonn, che lo lesse in fretta, ebbe un sogghigno duro e se lo ficcò quasi selvaggiamente in una tasca dei pantaloni.
— Ovviamente intendevo dire che indosserebbero scafandri protettivi — continuò Metzov, seccato, tornando a guardare Bonn. — Crede che io non tenga alla sicurezza del personale?
— Sì, avevo capito, signore. Ma i miei uomini rifiutano di entrare nel bunker, anche con l'equipaggiamento anticontaminazione — riferì Bonn con voce piatta. — E non posso biasimarli. L'equipaggiamento standard è inadeguato per il fetaine, secondo la mia stima. Quella roba ha un incredibile potere di penetrazione, dato il suo peso molecolare. Può intaccare le guarnizioni degli scafandri.
— Lei non può biasimarli? — ripeté Metzov, stupefatto. — Tenente, lei ha dato loro un ordine, o almeno così devo presumere. No?
— L'ho dato, signore. Ma…
— Ma… ma ha mostrato loro la sua indecisione. La sua debolezza. Per la miseria, tenente, quando un ufficiale deve dare un ordine deve darlo, non girarci attorno.
— Perché bisogna salvare quella roba, signore? — domandò Yaski.
— Mi sembra di averlo già spiegato. È materiale affidato alla nostra custodia — ringhiò Metzov.
Salvare il fetaine? - Signore, sono certo che i laboratori dov'è stato cucinato non hanno buttato via la ricetta — osò dire Miles. — Possono miscelarne dell'altro fresco, se ce n'è bisogno.
— Non si intrometta, Vorkosigan — mugolò Bonn a mezza bocca, mentre il generale esclamava: — Ancora un'altra delle sue spiritosaggini, alfiere, e la faccio mettere agli arresti!
Miles chiuse la bocca ed esibì un sorrisetto mite. Subordinazione. Il Principe Serg, ricordò a se stesso. Per quello che lo riguardava Metzov poteva tenersi in frigo tutto il suo fetaine e farselo portare in tavola a pranzo e a cena. Non erano fatti suoi.
— Tenente, non ha mai sentito parlare della vecchia usanza di sparare ai soldati che sul campo di battaglia rifiutano di ubbidire a un ordine? — chiese Metzov a Bonn.
— Io … non credo che potrei minacciare gli uomini di questo — rispose rigidamente lui.
E inoltre questo non è un campo di battaglia, pensò Miles. Almeno, per chi ha tutte le rotelle a posto.
— Tecnici! — sbottò Metzov, disgustato. — Io non ho detto minacciare, ho detto sparare. Dia un esempio, e gli altri si affretteranno a tornare in riga.
Miles rifletté su quella dichiarazione, perplesso. Possibile che il generale lo intendesse alla lettera?
— Signore, il fetaine ha terribili effetti mutageni — disse Bonn, a denti stretti. — Non sono sicuro che gli altri tornerebbero in riga, qualunque sia la minaccia. Si tratta di istinto, non di ragionamento. Un istinto che… che provo io stesso.
— Già, a quanto vedo — annuì freddamente Metzov. Il suo sguardo si spostò su Yaski, che raddrizzò la schiena e tossicchiò a bocca chiusa, accigliato. Miles cercò di diventare invisibile.
— Se intendete continuare a portare l'uniforme, voi tecnici avete urgente bisogno di una lezione pratica su come ottenere l'ubbidienza dei sottoposti — decise Metzov. — Prelevate i vostri uomini e fateli schierare di fronte a questo edificio, fra venti minuti esatti. Io fornirò loro un esempio di quella disciplina che i militari d'oggi sembrano aver dimenticato.
— Lei non… non dice sul serio quando parla di fucilare qualcuno, signore. È così? — chiese il tenente Yaski, allarmato.
Metzov sorrise acremente. — Dubito che sarà necessario. — Si volse a Miles. — Ufficiale meteorologico, qual è la temperatura esterna in questo momento?
— Cinque gradi sotto zero, signore — rispose lui. Aveva stabilito di parlare solo se interrogato.
— E il vento?
— Vento da est. Velocità nove chilometri all'ora, signore.
— Molto bene. — Negli occhi di Metzov brillò una luce di ferina eccitazione. — Potete andare, signori. Vediamo se riuscite a far eseguire l'ordine che avete ricevuto, stavolta.
In piedi accanto all'asta della bandiera di fronte all'edificio dell'amministrazione, col parka abbottonato fino al collo, il berretto calcato sulla fronte e le mani guantate dietro la schiena, il generale Metzov continuava a guardare la strada illuminata dalla fila di lampioni. In attesa di cosa? si domandò Miles. Mezzanotte era passata da un pezzo. Yaski e Bonn avevano già fatto mettere in fila sul bordo dello spiazzo i loro uomini, una quindicina, intabarrati in tute termiche e parka di panno verde.