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CAPITOLO OTTAVO

Victor Rotha, agente commerciale. Sembrava il titolo che un venditore ambulante avrebbe scelto per i suoi biglietti da visita. Miles contemplò dubbiosamente il suo nuovo aspetto nel videospecchio della sua cabina: immagine reale, non speculare. Che diavolo c'era di sbagliato in un semplice onesto specchio all'antica? E dove diavolo Illyan s'era procurato quella nave? Betana di costruzione, era satura di piccoli irritanti esempi di ciò che per i betani era il lusso. Miles era disposto a pulirsi i denti con uno spazzolino sonico programmabile computerizzato, ma non con uno che trasmettesse anche un sottofondo musicale al suo palato. Gli dava l'impressione di tenere una radio fra i denti.

In armonia con le sue origini, Rotha era vestito in stile alquanto impreciso. Miles aveva provato e scartato un sarong betano; la stazione di balzo Pol Sei non era abbastanza calda per quel tessuto. S'era messo i suoi pantaloni verdi, sostituendo la cintura con una treccia metallizzata betana, e sandali anch'essi confezionati su quel pianeta. La camicia, verde pisello, era in sintoseta pelosa di Escobar, e la giacca svasata a strisce bianche e ocra un costoso esempio di ciò che un burocrate cetagandano avrebbe indossato per una gita in campagna con l'amante. Era l'eclettico guardaroba di qualcuno originario di Colonia Beta che avesse girato qua e là per i sistemi solari più raggiungibili. — Bene. Ottimo — borbottò fra sé, rinfrescando la sua arrugginita imitazione di accento betano mentre attraversava la Cabina del Proprietario.

Erano attraccati a Pol Sei il giorno prima, senza incidenti. Le tre settimane di viaggio da Barrayar a lì erano andate lisce. Ungari sembrava pensare che tanto gli era dovuto dal Cosmo, quando il suo lavoro non tollerava distrazioni. Il capitano della Sicurezza Imperiale aveva trascorso l'ultima parte del viaggio contando cose varie, contando e fotografando: astronavi, attrezzature, guardie addette al traffico civile e militari di truppa. S'era lambiccato il cervello in cerca di scuse valide per fermarsi su quattro delle sei stazioni di balzo sulla rotta fra Pol e il Mozzo Hegen, continuando a prendere dati e a inserirli nel computer per farseli estrapolare e avere suggerimenti su altri dati da prendere. Adesso erano arrivati all'ultima (o alla prima, a seconda da che parte si arrivava) delle stazioni di Pol, il suo aggancio più diretto al Mozzo stesso.

Un tempo la stazione Pol Sei era stata solo un punto di riferimento fra un balzo e l'altro, per le soste d'emergenza e il trasbordo di registrazioni postali. Nessuno aveva ancora scoperto il modo di trasmettere messaggi attraverso un corridoio di transito, cosicché non restava che spedirli fisicamente via nave. Nelle zone più progredite della distorsione c'erano astronavi che effettuavano il balzo ogni ora o più spesso, emettendo un raggio di comunicazione che alla velocità della luce raggiungeva il più vicino punto di balzo in quella regione di spazio, dove i messaggi venivano raccolti e ritrasmessi più avanti. Nelle zone meno sviluppate si doveva aspettare, a volte per settimane o mesi, che un'astronave passasse da lì, sperando che il capitano avesse avuto la premura di fermarsi a prelevare la posta.

Ora Pol Sei più che segnare un punto di balzo gli faceva la guardia. Ungari aveva avuto un fremito d'eccitazione nell'accorgersi che c'erano navi della Marina da Guerra di Pol raggruppate sul retro della stazione, dov'erano in corso grossi lavori di ampliamento. L'ufficiale era riuscito a fingere una manovra erronea per avere la scusa di rallentare a spirale intorno ai moli, prendendo visione delle navi ormeggiate o in movimento.

— Il suo primo compito qui — aveva detto a Miles, — è di dare a chi si interessa dei fatti altrui qualcosa di interessante da guardare, in modo che non guardino me. Vada in giro. Presumo che mettersi in evidenza non debba costarle uno sforzo particolare. Esibisca la sua identità di copertura… con un po' di fortuna potrebbe perfino farsi dei contatti fra persone che varrà la pena di conoscere meglio, anche se dubito che lei possa sfiorare certi ambienti. La gente a cui alludo sta maledettamente sulle sue.

Miles depose sul letto la sua valigia e ne passò in rassegna il contenuto. Un venditore ambulante, ecco quello che sono. Inserite nei loro incavi c'erano dodici armi portatili, prive della batteria, con un visore e pacchetto di videodischi che descrivevano sistemi d'arma di maggiori dimensioni. Altre cose che costavano assai più care — e potevano costar care a lui, se l'avessero perquisito — erano registrate su minuscoli dischi nascosti nella sua giacca. Morte, e ve la posso vendere a prezzi stracciati.

La guardia del corpo di Miles lo attendeva al portello d'uscita. Perché mai, dannazione, Illyan aveva voluto assegnargli proprio il sergente Killer? Probabilmente per lo stesso motivo della sua precedente missione all'isola Kyril. L'uomo era affidabile, Miles non ne dubitava, ma era imbarazzante lavorare con uno che l'aveva arrestato. Che ne pensava ora Keller di lui? Per fortuna il grosso individuo era del tipo silenzioso.

Keller era vestito in modo eclettico e sgargiante come lui, anche se non aveva saputo né voluto rinunciare ai suoi stivali. Aveva esattamente l'aspetto di una guardia del corpo che sta fingendo di essere un turista. Proprio il tipo di gorilla che un contrabbandiere d'armi come Victor Rotha si sarebbe portato dietro. Funzionale e decorativo. Bisogna dire che siamo una coppia fornita di un senso logico e compiuto. Da soli, sia lui che Keller sarebbero parsi fuori posto oltreché evidenti. Insieme… sì, Ungari aveva ragione. Insieme dicevano già troppe cose per destare altri sospetti.

Miles si avviò per primo nel corridoio tubolare che portava sul molo e nell'interno di Pol Sei. Da lì una galleria piena di immagini olografiche pubblicitarie li condusse al vasto atrio della dogana, dove la valigia e il campionario di Miles vennero accuratamente esaminati. Keller dovette esibire il porto d'armi per il suo storditore. Da lì ebbero ingresso libero a tutti gli impianti e i locali pubblici della stazione, salvo certi corridoi sorvegliati da cui si accedeva evidentemente a zone militarizzate. Quelle zone, aveva chiarito Ungari, erano affar suo, non di Miles.

In buon anticipo per il suo primo appuntamento d'affari Miles si avviò senza fretta, godendosi la sensazione d'essere in una stazione spaziale. Non era un posto di richiamo per turisti come Colonia Beta, ma anche lì ci si poteva muovere in un ambiente internazionale e vedere le mode e le novità della cultura galattica. Non come sul povero e periferico Barrayar. L'ambiente non mancava del suo brivido di pericolo, un brivido che poteva trasformarsi in panico e urla nel caso di un'improvvisa depressurizzazione. La zona di passeggio centrale, il luogo del suo appuntamento, era una galleria larga come un viale sui cui lati si allineavano negozi, alberghi, succursali di banche, ristoranti e bar.

Miles notò un curioso terzetto che sostava fra il fitto traffico pedonale, dall'altra parte della strada. Uno di essi, che indossava abiti larghi ideali per nascondere un'arma o due, scandagliava i dintorni con occhi attenti. Un professionista collega di Keller, senza dubbio. Miles e il sergente si scambiarono un breve sguardo e un sogghigno, fermandosi a poca distanza con l'atteggiamento di chi sta andando a spasso senza meta. L'uomo dai vestiti larghi era condannato alla quasi-invisibilità dalla femmina che gli stava accanto.

Era di piccola statura, ma così attraente da dare un vuoto allo stomaco, snella, con corti capelli biondo-platino che conferivano al suo volto un aspetto da elfo. Indossava una tuta da pilota nera scollata sul petto e ancor di più sulla schiena — se era possibile immaginare una tuta scollata — così lucida che ad ogni movimento sembrava liquefarsi in rivoli di luce e di scintille. Le scarpe nere a tacco alto le davano qualche inutile centimetro in più. Le labbra, rosso carminio, erano dello stesso colore della fascia annodata al suo collo d'alabastro, i cui capi le penzolavano sulla candida pelle nuda della schiena. Aveva un aspetto… costoso.