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I suoi pensieri stavano ancora correndo a vuoto senza alcun vero obiettivo, come topolini su una ruota girevole, quando la serratura della porta fece udire il suo bip-bip. Sì, lui avrebbe finto di collaborare, promettendo il meno possibile, se lei gli avesse dato la possibilità di parlare con Gregor.

Cavilo apparve sulla soglia, con un mercenario al fianco. L'uomo aveva qualcosa di familiare… uno di quelli che erano venuti a prenderlo al molo? No…

Il mercenario si appoggiò al montante della porta e scrutò Miles con aria divertita, poi si volse a Cavilo.

— Sì, è proprio lui, non c'è dubbio. L'ammiraglio Naismith, della Guerra di Tau Verde. Lo riconoscerei dovunque, questo nanerottolo. — Sul suo volto apparve un po' di perplessità. — Ehi, ma che sta facendo da queste parti, signore?

Mentalmente Miles rivestì l'uomo con un'uniforme nera e ocra. Sì. Alla guerra di Tau Verde avevano partecipato parecchie migliaia di mercenari. Molti di loro dovevano essere finiti in ogni angolo della distorsione.

— Grazie, sergente, questo è tutto. — Cavilo gli mise una mano su un braccio e con fermezza lo spinse via. Il graduato si allontanò con lei nel corridoio fra le celle, e Miles lo sentì dire sottovoce: — Dovrebbe cercare di assoldarlo, signora. È uno stratega militare molto abile…

Cavilo riapparve dopo qualche secondo e si fermò sulla soglia, con le mani sui fianchi e un'espressione fra esasperata e stupita. — Insomma, quante identità ha lei, si può sapere?

Miles allargò le braccia e le rivolse un sorriso mite, preparandosi a discutere le condizioni per uscire da quel buco…

— Bah! — Cavilo gli volse le spalle e la porta si chiuse, tagliando a mezzo la sua esclamazione.

E adesso? Frustrato Miles abbatté un pugno sulla parete, ma la sola risposta che ebbe fu il colpo che gli rimbalzò nelle ossa fino alla spalla.

CAPITOLO TREDICESIMO

Quel pomeriggio, comunque, un po' di sano esercizio fisico fu concesso a tutte e tre le sue identità. Miles venne condotto in una piccola palestra di bordo per l'occasione riservata soltanto a lui e per un'ora poté far uso delle attrezzature, distraendosi col calcolo delle traiettorie fra ciascuna di esse e la posizione in cui stazionava l'uomo di guardia, accanto alla porta. Riuscì a vedere almeno due modi in cui un giovanotto robusto come Ivan avrebbe potuto stordirlo e fuggire. Nessuno dei due alla sua portata. Per un momento desiderò quasi che Ivan fosse con lui.

Durante il ritorno sotto scorta alla Cella 13, nella stanza di controllo, incrociò un altro prigioniero che le guardie stavano perquisendo. Era un uomo scosso e tremante, con corti capelli biondi bagnati di sudore, e quando poté guardarlo in faccia Miles dovette fare uno sforzo per celare lo sbalordimento nel vederlo lì. Il luogotenente di Oser. La sua espressione era molto diversa.

Portava ancora i pantaloni grigi dell'uniforme, ma l'avevano messo a torso nudo. La sua schiena era segnata da lividi lasciati da uno sfollagente-storditore. Sull'epidermide pallida del braccio destro risaltavano i puntolini rossi di un ipospray. Dalle labbra umide, ogni tanto contratte da un sorriso ebete simile a un rictus, gli usciva un balbettio sconnesso. Reduce di fresco da un interrogatorio col penta-rapido, evidentemente.

Miles abbassò lo sguardo a osservare la mano sinistra del tenente: sì, erano ancora lì i segni dei suoi denti, la mossa d'esordio della lotta nel corridoio della Triumph, quando l'uomo aveva estratto la vibrolama nel selvaggio impulso di amputargli la lingua.

La guardia lo fece proseguire con uno spintone. Miles per poco non cadde, ma continuò a voltarsi indietro finché la porta della Cella 13 non si chiuse, imprigionandolo di nuovo.

Cosa sei venuto a fare qui? Quella, stabilì, era la domanda che al Mozzo Hegen tutti facevano a tutti… anche se pochi dovevano aver risposto con la franchezza del tenente oserano. Non c'era dubbio che quello di Cavilo fosse un servizio di controspionaggio efficiente. Da quanto si trovava lì il tirapiedi di Oser? Com'era riuscito a rintracciare lui e Gregor? A giudicare dalle sue condizioni fisiche non doveva essere nelle mani dei Randall Rangers da più di ventiquattr'ore…

Ma ciò che Miles avrebbe voluto sapere era se quella puntata degli Oserani su Stazione Vervain faceva parte di una loro strategia generale, oppure significava che Tung era stato costretto a parlare. Oser aveva scoperto il tradimento di Elena? L'aveva fatta arrestare? A denti stretti cominciò a camminare avanti e indietro nella cella, sempre più ansioso e preoccupato. Ho rovinato i miei amici? Sono stati uccisi per colpa mia?

E ora tutto ciò che Oser sapeva lo sapeva anche Cavilo: l'intero guazzabuglio di menzogne, errori e verità. Perciò, se Gregor le aveva mentito e intendeva continuare a mentirle, la reazione della bionda avrebbe potuto essere feroce. C'era quasi da augurarsi che Gregor si fosse davvero innamorato di lei. Miles si sentiva la testa così piena di domande angosciose che avrebbe voluto ubriacarsi e non pensare più a niente.

Due guardie vennero a svegliarlo a metà del ciclo notturno e gli ordinarono di vestirsi. Dunque s'erano decisi a torchiarlo? Miles ripensò al balbettante tenente oserano ed ebbe un fremito. Insisté per lavarsi la faccia, poi indossò con deliberata lentezza la tuta da fatica dei Rangers per rallentare il più possibile la sua uscita di cella, finché i due cominciarono a battere minacciosi colpetti sui loro sfollagente-storditori. Anche lui da lì a poco sarebbe stato un balbettante imbecille. E tuttavia, a quel punto, sotto l'effetto del penta-rapido cosa poteva dire che rendesse le cose peggiori? Da quanto ne sapeva lui, Cavilo aveva già il quadro completo della situazione. Si scrollò di dosso le mani dei due uomini e li precedette fuori, con tutta la scarsa dignità che ancora riusciva a mostrare.

Fu scortato lungo i corridoi in penombra e fatto salire su un ascensore che si riaprì davanti a una targa: PONTE G. I suoi sensi si tesero di colpo. Gregor doveva essere alloggiato proprio lì. Le guardie lo fecero fermare di fronte a una cabina contrassegnata 10-A e uno di loro batté un codice sulla tastiera della serratura, per identificarsi. La porta scivolò di lato.

Cavilo sedeva a una consolle di comunicazioni, sotto un cono di luce azzurrina che spandeva vaghi riflessi ultravioletti sui suoi capelli platinati. Quello doveva essere l'ufficio, adiacente all'alloggio privato, della comandante. Miles aguzzò lo sguardo nella penombra della stanza in cerca dell'Imperatore. Lo riportò su di lei e notò che malgrado l'ora tarda indossava la sua solita uniforme sexy-militaresca da lavoro. Aveva anche l'aria stanca. Se non altro, si disse, lui non era il solo a dormire poco e male in quel periodo. Cavilo poggiò lo storditore sulla consolle, a portata di mano, e licenziò le guardie. Nelle vicinanze non c'era traccia di ipospray, ma quello che Miles sentiva nell'aria non era l'odore del penta-rapido. La bionda emanava un profumo intenso, non lo stesso — a quel ricordo lui deglutì a vuoto — che aveva il giorno in cui gli si era presentata come Livia Nu.

— Si accomodi, Lord Vorkosigan.

Miles sedette sulla sedia che gli era stata indicata, e attese. Cavilo lo studiò con sguardo calcolatore. Il suo profumo era forte, così pungente da fargli prudere le narici, e tuttavia anche tanto femminile che d'un tratto lui si accorse di non vedere più alcun pericolo in quella situazione. Ne fu irritato con se stesso. Reprimere il bisogno di grattarsi il naso gli costò uno sforzo, ma era un gesto di debolezza che non voleva fare di fronte a a quella donna.

— Il suo Imperatore è in un brutto guaio, piccolo Lord Vor. Se lei vuole salvarlo non ha che un modo: tornare dai Mercenari Oserani e riprenderne il comando. Quando avrà fatto questo riceverà ulteriori istruzioni.