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— No, non credo — ansimò Miles.

— Stava mirando su di te — riferì lui. — Un sicario prezzolato da qualcuno.

— Sì, l'avevo immaginato. — Miles si trascinò da parte. — Penso di avere solo qualche bruciatura. — Thorne lo aiutò a sedersi. Stava tremando come dopo un pestaggio con uno sfollagente-storditore, paragone che era in grado di fare senza errori. Si guardò le mani, scosse da spasmi e ne abbassò una sul corpo che gli giaceva accanto. Ogni giorno che mi resta da vivere sarà un tuo regalo. E non so neppure come ti chiami. - Quest'uomo… qual è il suo nome?

— Sergente Collins.

— Grazie, sergente Collins.

— Era un bravo soldato.

— Lo so.

Oser si stava avvicinando, con aria stralunata. — Ammiraglio Naismith, questo non deve addebitarlo a me.

— Cosa? — Miles sbatté le palpebre. — Aiutami ad alzarmi, Bel… — Forse avrebbe fatto meglio a restare seduto, perché quando fu in piedi i suoi tremiti peggiorarono al punto che Thorne dovette sostenerlo di peso. Si sentiva debole e svuotato come un malato. Elena! Dove… lei era disarmata…

Ma quasi subito la vide. Era con un'altra donna, una mercenaria, e insieme stavano trascinando verso di loro un uomo con l'uniforme azzurro scuro degli aslundiani. Lo tenevano ciascuna per un piede, e le braccia inerti dell'individuo strisciavano sul pavimento. Morto? Stordito? I due stivali atterrarono con un tonfo quando li lasciarono andare accanto a Miles, con l'espressione pratica e indifferente di due leonesse che consegnassero la loro preda ai cuccioli. Lui abbassò lo sguardo su quel volto ben noto. Generale Metzov. Ma cosa sei venuto a fare, qui?

— Lei conosce quest'uomo? — domandò Oser a un ufficiale aslundiano che s'era affrettato a raggiungerli. — È uno dei vostri?

— Non l'ho mai visto. — L'aslundiano lo frugò in cerca dei documenti. — Ha un passaporto civile. Sembra valido…

— Avrebbe potuto spararmi. Ero allo scoperto — disse Elena a Miles. — Ma ha continuato a far fuoco su di te. Hai fatto bene a restare disteso.

Un trionfo dell'intuito, o un fallimento dei nervi? — Sì, credo. — Miles fece un altro tentativo di reggersi in piedi da solo. Vacillò. Dovette reggersi a Thorne. — Spero che non l'abbiate ucciso.

— È solo stordito — disse Elena, mostrandogli come prova l'arma che aveva in mano. Qualche persona intelligente doveva esser stata svelta a gettarle una pistola. — Può darsi che abbia un polso fratturato.

— Chi può essere? — chiese l'ammiraglio Oser. Sinceramente stupito, giudicò Miles.

— Be', ammiraglio, — rispose, tentando un sogghigno, — come le ho detto, mi proponevo di darle più informazioni di quel che i suoi agenti potrebbero racimolare in mesi di lavoro. Mi permetta di presentarle… — e alzò un braccio a imitare un cameriere nell'atto di sollevare il coperchio da un grosso vassoio d'argento, ma che forse sembrò solo un altro spasmo muscolare, — il generale Stanis Metzov, secondo nella linea di comando dei Randall Rangers.

— E da quando gli ufficiali anziani vengono spediti in missione come killer a pagamento?

— Mi scusi: secondo nella linea di comando fino a tre giorni fa. Potrebbero esserci stati dei cambiamenti. Cominciava a non essere più indispensabile ai progetti di Cavilo. Ora lei ed io, e questo signore, abbiamo un appuntamento con un ipospray.

Oser lo fissò, stupito. — Lei aveva previsto…?

— Perché crede che abbia sprecato un'ora in giro per la stazione? A volte è meglio invitare il pesce, prima che sia lui a scegliere in quali acque accostare l'esca — fu la brillante risposta di Miles. Avrebbe potuto bruciarmi il cervello quando voleva. Non ho più un briciolo di prudenza, dannazione. Ho appena dichiarato d'essere un astuto calcolatore, o un incredìbile imbecille? Oser aveva l'aria di essersi posto esattamente quella stessa domanda.

Con gli occhi fissi sul corpo inerte di Metzov, Miles cercò di fare mente locale. Era stato mandato da Cavilo, oppure si trattava di una sua iniziativa personale? Se la mandante era Cavilo… possibile che avesse inteso lasciar cadere Metzov vivo nelle mani dei suoi nemici? Che nei dintorni ci fosse un secondo sicario, pronto a eliminare Miles nel caso fosse sopravvissuto all'attentato, o Metzov qualunque ne fosse stato l'esito, o entrambi? Ho bisogno di mettermi a sedere e di bere qualcosa.

Una squadra medica era intanto scesa dalla Triumph. Una barella fu poggiata al suolo. — Portate il nostro amico in infermeria — disse stancamente Miles. — Ci occuperemo di lui appena si sarà ripreso.

— Sì, sono d'accordo. — Oser scosse il capo, forse con disappunto per la mira difettosa dell'attentatore.

— Meglio disporre subito una scorta intorno al prigioniero. Non giurerei che fosse nei loro programmi lasciarlo sopravvivere alla cattura.

— Giusto — annuì Oser, dopo un'esitazione.

Con Thorne che lo sorreggeva da una parte ed Elena dall'altra, Miles barcollò verso il portello d'imbarco della Triumph.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Tremando ancora Miles sedette su una panca nel cubicolo di vetro solitamente usato per la quarantena nell'infermeria della Triumph, mentre Elena controllava le cinghie con cui Metzov era stato assicurato a una poltroncina. Quella scena gli avrebbe dato uno sgradevole senso d'identificazione col soggetto, se l'interrogatorio a cui si accingevano non fosse stato così gravido di pericolose complicazioni. Elena era di nuovo disarmata. Due uomini con lo storditore al fianco stazionavano fuori dalla porta trasparente a prova di suono, gettando appena qualche occhiata nell'interno. C'era voluta tutta l'eloquenza di Miles per ottenere che a quel primo interrogatorio partecipassero soltanto Elena, Oser e lui stesso.

— Quanto possono essere attuali le informazioni in possesso di quest'uomo? — aveva chiesto Oser, irritato. — Lo hanno praticamente mandato a farsi catturare.

— Abbastanza attuali da doverle considerare con attenzione prima di lasciare che arrivino agli orecchi di troppi — era stata la risposta di Miles. — E avrà la registrazione, se vorrà renderne partecipi i capitani.

Metzov sembrava malridotto, depresso, ma testardamente deciso a ignorare ciò che gli veniva fatto, e le sue labbra erano strette in una linea sottile. L'ufficiale medico gli aveva steccato il polso destro mentre si riprendeva dagli effetti dello storditore. Il suo silenzio era inutile, lui stesso lo sapeva bene, così come sapeva che fino ad allora quel silenzio era stato rispettato con la strana forma di cortesia riservata a chi stava per essere sottoposto al penta-rapido.

Oser si volse a Miles, accigliato. — Lei è esperto in questo tipo di trattamento?

— Finché non mi si chiede di fare un intervento chirurgico sul cervello, sì. Procediamo. Ho motivo di sospettare che il tempo sia una questione vitale.

Oser fece un cenno d'assenso a Elena. La giovane donna raccolse l'ipospray, calibrò la dose, appoggiò l'estremità svasata della siringa al collo di Metzov e premette il pulsante. L'uomo chiuse un attimo gli occhi, con una breve smorfia disperata. Dopo alcuni secondi le sue mani si rilassarono sui braccioli. La muscolatura del volto si ammorbidì bruscamente in un sorriso vacuo, da idiota. Non era una trasformazione piacevole da osservare; col crollo della tensione psicofisica la sua faccia appariva quella di un vecchio, un uomo senile d'un tratto falsamente a suo agio di fronte ad avversari a cui si compiaceva di esibire un sorrisetto sprezzante.

Elena gli controllò le pupille e le pulsazioni. — Va bene. È tutto vostro, signori. — Si fece indietro e appoggiò le spalle alla parete di vetro, incrociando le braccia, con un'espressione chiusa quasi quanto quella che aveva abbandonato il volto di Metzov.