— Ammiraglio Naismith, io posso credere che Cavilo farebbe il doppio gioco con chiunque lei voglia nominare… ma non ai danni dei cetagandani. Anche se questo costasse loro una generazione, alla fine si vendicherebbero. Non potrebbe scappare abbastanza lontano. Difficilmente vivrebbe abbastanza da spendere i suoi guadagni. Fra l'altro, quale profitto potrebbe mai invogliarla a rinunciare a una tripla paga?
Se si aspetta che a difendere il suo profitto sia l'Impero di Barrayar, con tutte le risorse della Sicurezza Imperiale… - Una via di fuga sicura l'avrebbe, ammiraglio, io posso vederla — disse Miles. — Se la cosa funzionerà come ha progettato, Cavilo potrà avere tutta la protezione che vuole. E godersi i suoi profitti.
Avrebbe potuto funzionare, era una possibilità reale. Se Gregor s'era lasciato incantare dal suo fascino. E se due imbarazzanti testimoni ostili, Miles e il generale Metzov, avessero avuto il buongusto di ammazzarsi a vicenda. Cavilo poteva abbandonare la sua flotta prima dell'invasione cetagandana, non senza aver orchestrato una fuga drammatica per far rifulgere il suo sprezzo del pericolo, offrendosi così a Barrayar come l'eroica salvatrice dell'Imperatore. Se poi un Gregor innamorato e orgoglioso avesse presentato la bella mercenaria nelle vesti di sua fidanzata, futura madre di forti e arditi combattenti, l'aspetto romantico deila vicenda avrebbe ottenuto dall'opinione pubblica un supporto tale da sovrastare il giudizio più ponderato dei consiglieri. Saprebbe davvero manovrarsi la cosa. L'Imperatrice Cavilo, di Barrayar. Avrebbe successo. E avrebbe coronato la sua carriera dopo aver tradito tutti quanti, amici e nemici…
— Miles, hai l'aria di sentirti male — disse Elena, preoccupata.
— Quando? — domandò Oser. — Quando ci sarà l'invasione dei cetagandani? — L'uomo costrinse Metzov a focalizzare i residui della sua vaga attenzione e gli ripeté la domanda.
— Oh, solo Cavy lo sa — mormorò lui. — Cavy sa tutto.
— Dev'essere imminente — disse Miles. — Potrebbe essere sul punto di cominciare. A giudicare da quanto ha atteso prima di rimandarmi qui, sicuramente calcola che già ora i Den… che la nostra flotta sia paralizzata dalle discordie intestine.
— Se questo è vero — disse Oser, — cosa conviene fare?
— Siamo alquanto lontani. Un giorno e mezzo di viaggio dal teatro dell'azione. Che avverrà intorno alla Stazione Vervain e più oltre, nel corridoio di transito e nello spazio locale di quel pianeta. Di conseguenza dobbiamo avvicinarci. Bisogna spostare la Flotta attraverso il sistema e fermare Cavilo, prima che i cetagandani mettano il loro blocco. Lei…
— Cosa? Io non organizzerò proprio nessun attacco contro l'Impero Cetagandano! — lo interruppe Oser.
— Ma deve farlo. Se li troverà di fronte, presto o tardi. Scelga il momento lei, dunque, prima che lo facciano loro. L'unica possibilità di fermarli è all'estremità del corridoio di transito. Se potessero uscirne, questo sarebbe impossibile.
— Se io allontanassi la Flotta da Aslund, i vervani penserebbero che li sto attaccando.
— E mobiliterebbero le loro forze. Sicuro. Ma… nella direzione sbagliata. Questo non andrebbe bene. Finiremmo per fare l'interesse di Cavilo. Dannazione! Senza dubbio un altro passo della sua famosa strategia ramificata.
— Supponiamo… se i cetagandani sono ora d'imbarazzo per Cavilo, come mi stava dicendo… lei non manderà loro nessun segnale.
— Oh, Cavilo ha ancora bisogno di loro. Ma per uno scopo diverso. Le servono come minaccia da cui fuggire. E come arma che eliminerà i testimoni indesiderati. Ma non le interessa che ottengano il loro obiettivo militare. In effetti le calza meglio la possibilità che l'invasione cetagandana fallisca. Questo se sta già pensando a lunga scadenza, secondo il suo nuovo piano.
Oser scosse la testa come per schiarirsela. — Perché?
— La nostra sola speranza, e la sola speranza di Aslund, sta nel catturare Cavilo, combattendo poi i cetagandani da un punto di forza come lo sbocco del corridoio alla Stazione Vervain. No, aspetti… dobbiamo tenere entrambe le estremità del balzo Vervain-Mozzo. Finché arriveranno i rinforzi.
— Quali rinforzi?
— Aslund, Pol… dopo che i cetagandani si saranno materializzati in forze, anche loro vedranno la minaccia. E se Pol interviene come avversario dei cetagandani, Barrayar potrà accodarsi mandando le sue astronavi da battaglia attraverso lo spazio di Pol. I cetagandani saranno fermati, se tutto procede nell'ordine giusto. — E sarebbe stato possibile salvare Gregor? Non una sola strada per la vittoria, ma tutte le strade…
— Lei dice che i barrayarani interverranno?
— Oh, credo di sì. Il suo servizio di controspionaggio potrà certo confermarlo… non ha forse notato un incremento dell'attività spionistica di Barrayar nel Mozzo, da qualche giorno?
— Ora che ci penso, sì. Ultimamente le loro trasmissioni in codice sono quadruplicate.
Grazie a Dio. Forse la situazione era migliore di quanto lui avesse osato sperare. — Avete decifrato qualcuno di questi messaggi? — domandò in tono indifferente, già che c'era.
— Solo il meno interessante, sembra, finora.
— Ah, bene. Voglio dire, peccato.
A braccia conserte Oser si mordicchiò le labbra, rimuginando i suoi pensieri intensamente per un paio di minuti. La sua espressione ricordò spiacevolmente a Miles quella che aveva prima di ordinare ai suoi uomini di gettarlo nello spazio, meno di una settimana addietro.
— No — disse l'uomo alla fine. — La ringrazio per le informazioni. Mi sdebiterò risparmiandole la vita. Ma noi ce ne terremo fuori. Non è una battaglia che si possa vincere. Soltanto le forze militari di un pianeta, ben imbottite di propaganda e con tutte le risorse che potrebbero avere, sarebbero disposte a un autosacrificio così poco produttivo. La mia Flotta è strutturata per essere un sottile strumento tattico, non una cieca barricata coperta di cadaveri. Io non sono, per usare le sue parole, un capro espiatorio.
— Non un capro espiatorio, ma la punta di lancia delle forze difensive.
— La sua «punta di lancia» non avrebbe dietro di sé nessuna lancia. Niente da fare.
— È la sua ultima parola, signore? — chiese Miles, con voce sottile.
— Sì. — Oser accese il comunicatore da polso per chiamare gli uomini all'esterno. — Caporale, queste tre persone vanno scortate al reparto detenzione. Chiami il capoguardia per notificarlo.
Il mercenario al di là del vetro salutò militarmente. Oser spense il comunicatore.
— Ma signore… — Elena si avvicinò, alzando una mano in un gesto supplichevole. Con velocità serpentina tolse l'altra da dietro la schiena, premette sul collo di Oser la canna dell'ipospray e gli sparò il contenuto del serbatoio attraverso la pelle. L'uomo sbarrò gli occhi, fece un passo di lato e il suo volto si contrasse per la rabbia. Sollevò il braccio destro per sferrarle un pugno. Il colpo si fermò a mezz'aria.
Le guardie all'esterno del cubicolo avevano voltato la testa di scatto, allarmate dall'improvviso movimento di Oser. Elena afferrò la mano dell'ammiraglio e gliela baciò, con un sorriso di commossa gratitudine. I due mercenari si rilassarono; uno di loro diede di gomito all'altro e si scambiarono qualche parola, con aria fra divertita e disgustata. Miles era troppo teso per cercare di leggere sulle loro labbra se erano davvero convinti che l'ammiraglio si fosse lasciato impietosire.