Oser vacillò ed emise alcuni grugniti, lottando contro l'effetto della droga. Senza lasciargli la mano Elena lo fece girare, in modo che voltasse la schiena verso la porta; poi gli incastrò una spalla sotto l'ascella, passandogli un braccio intorno alla cintura. Il tipico sorrisetto idiota del penta-rapido aleggiò sulle labbra di Oser, si dissolse un paio di volte ma infine riapparve e si fissò stabilmente.
— Ha agito come se io fossi disarmata. — Elena scosse il capo, con rabbia, e si ficcò l'ipospray in una tasca della blusa.
— E ora? — sussurrò freneticamente Miles, mentre il caporale batteva la combinazione sulla serratura della porta.
— Finiremo tutti in cella, credo. A far compagnia a Tung — disse Elena.
— Ah. Be'… — Male che vada, non può andare peggio di così. Doveva provarci. Miles sorrise cordialmente all'ingresso dei due mercenari e li aiutò a slegare Metzov, tenendosi fra loro e Oser nel tentativo di nascondere l'espressione insolitamente giuliva che avrebbero potuto vedere sulla faccia dell'ammiraglio. Approfittando di un attimo in cui i due non guardavano diede una spallata a Metzov, facendolo barcollare.
— Ehi, meglio che lo sosteniate per le braccia. Sembra che l'uomo non si regga in piedi — disse. Neanche lui era troppo sicuro sulle gambe, ma si fece premura di tenere aperta la porta intanto che i mercenari uscivano, tenendo Metzov fra loro. Li seguì subito, tallonato a sua volta da Elena che si stringeva al fianco di Oser come una gatta in calore. — Sì, tesoro. Come vuoi tu. Tutto quello che vuoi — la sentì dire, con voce appassionatamente calcolata per gli orecchi di chi doveva sentire e dedurre.
Quella breve passeggiata fu una delle più lunghe che Miles avesse mai fatto. A un certo punto restò indietro e sussurrò a Elena: — Non possiamo scendere con Oser nel reparto detenzione. Hai qualche idea?
Lei si morse le labbra. — Quello che vorrei avere non è un'idea, ma una pistola.
— Temevo che avresti detto questo. Allora volta a destra. — Senza cambiare il passo girarono l'angolo del corridoio.
Uno dei mercenari si voltò a guardare. — Signore?
— Voi proseguite, ragazzi — esclamò Miles. — Quando l'uomo sarà in cella, datecene conferma nell'alloggio dell'ammiraglio.
— Va bene, signore.
— Continua a camminare — ansimò Miles in un orecchio di Oser. — Continua a sorridere. Ti piacerebbe uccidermi? — L'ammiraglio annuì con entusiasmo.
I passi dei due che portavano via Metzov si allontanarono. — Dove andiamo, adesso? — chiese Elena. Oser inciampò. — Si sta indebolendo sempre più. È una situazione insostenibile.
— C'è un solo posto: la cabina dell'ammiraglio — decise Miles. Il sorriso che gli deformava la faccia era una smorfia dolorosa, ma la sfacciata audacia con cui Elena s'era ammutinata gli aveva dato una carica d'energia nervosa. Quello era il loro momento, se lo sentiva stampato in ogni cellula del corpo, e sarebbe andato avanti finché non lo avessero fermato a colpi di fucile. La sua mente s'era sgonfiata dell'insopportabile circolo chiuso dei forse-può darsi-se/forse-può darsi-se inchiodati dall'incertezza. Il momento è ora. La parola è: avanti.
Se. Forse.
Oltrepassarono alcuni tecnici e mercenari, uomini e donne. Oser stava continuando ad annuire la sua risposta all'ultima domanda. Miles si augurò che passasse per una risposta informale ai loro saluti. Nessuno si voltò a gridare «Ehi voi!», comunque. Due piani più in alto, un'ultima svolta li portò nel mai dimenticato corridoio degli alloggi-ufficiali. Oltrepassarono la cabina del comandante della Triumph (Dio, avrebbe dovuto trattare con Auson, fin troppo presto) e poi il palmo della mano di Oser, premuto sulla piastra della serratura, diede loro ingresso nei locali che l'ammiraglio aveva trasformato nel suo ufficio e alloggio. Quando la porta si chiuse alle sue spalle Miles si rese conto che nell'ultima parte del percorso aveva trattenuto il respiro.
— Ora ci siamo fino al collo — disse Elena, appoggiandosi sfinita al primo mobile che si trovò davanti. — Pensi di lasciarci a bollire nel nostro brodo, come prima?
— Non stavolta — la rassicurò lui, trucemente. — Forse hai notato un particolare di cui ho evitato di parlare, giù in infermeria.
— Gregor.
— Proprio così. In questo momento Cavilo lo tiene in ostaggio a bordo della sua nave ammiraglia.
Elena ebbe un moto di sconforto. — Ha intenzione di venderlo ai cetagandani per una grossa cifra, immagino. È così?
— No. Il suo piano è molto più allucinante e spaventoso, credimi. Vuole sposarlo.
Elena spalancò gli occhi, sbalordita. — Cosa? Miles, non è possibile che una follia così inverosimile le sia passata per la testa. A meno che… a meno che…
— A meno che Gregor non abbia piantato il seme di quest'idea in lei. Cosa che credo abbia fatto. Fertilizzandolo e annaffiandolo, anche. Quello che non so è se facesse sul serio oppure solo per sfizio. Lei ci ha tenuti accuratamente separati. Tu conosci Gregor forse meglio di me, sotto certi aspetti. Che ne pensi?
— Mi è difficile immaginare Gregor infatuato d'amore fino all'idiozia. È sempre stato… uh, piuttosto moderato. Quasi privo di… be', forti impulsi sessuali. A paragone, che so, di un tipo come Ivan.
— Non sono certo che Ivan sia un paragone valido.
— No, hai ragione. Diciamo che Gregor non è molto diverso da te, per intenderci.
Miles si chiese come interpretare quella diagnosi. — Gregor non ha mai avuto molte opportunità, quando eravamo più giovani. Voglio dire, nessuna intimità. La Sicurezza sempre incollata alla schiena. Questo può… inibire un uomo, a meno che non sia un tantino esibizionista.
Lo sguardo di lei parve riconsiderare eventi passati. — Gregor non ha mai avuto questa tendenza.
— Senza dubbio Cavilo sta mettendo ogni impegno nel presentargli il suo lato più attraente.
Elena si mordicchiò pensosamente un labbro. — Ed è attraente?
— Sì. Se a qualcuno piacesse una bionda con l'hobby dell'intrigo e le attitudini sentimentali di un maniaco omicida, suppongo che impazzirebbe per lei. — La sua mano destra si contrasse, come se la carezza con cui aveva sfiorato i capelli di Cavilo gli fremesse ancora nella carne.
Il volto di Elena parve rasserenarsi un po'. — Ah. Allora non ti piace.
Miles guardò la bruna valchiria da sotto in su. — È troppo piccola per i miei gusti.
Lei sogghignò. — Non so perché, ma ti credo. — Condusse Oser, che vacillava, al tavolo più vicino e lo scaricò su una sedia. — Meglio legarlo, prima che si riprenda.
L'intercom emise un ronzio. Miles andò alla consolle che occupava un'intera parete della stanza e premette un pulsante. — Sì? — rispose, nel suo tono più calmo.
— Qui caporale Meddis, signore. Abbiamo messo il sicario vervano nella Cella Nove.
— Grazie, caporale. Ah… — Valeva la pena fare un tentativo. — Abbiamo ancora un ipospray carico di penta-rapido. Le spiace portare su il capitano Tung per un interrogatorio? — Alla sua destra, fuori dal raggio della telecamera, Elena trattenne speranzosamente il fiato.
— Tung, signore? — La voce del mercenario era incerta. — Uh, posso prendere altri due uomini di rinforzo, allora?
— Sicuro… guardi se in giro c'è il sergente Chodak, e gli chieda se ha qualcun altro di corvé con lui. Se non sbaglio è stato assegnato a turni di lavoro extra, no? — Con la coda dell'occhio vide Elena unire il pollice e l'indice nel vecchio segno di OK.
— Credo di sì, signore.
— Bene, proceda pure. Chiudo. — Spense l'intercom e lo guardò con vago stupore, come se si fosse trasformato nella Lampada di Aladino. — Se il destino ha messo da parte per dopodomani i guai da cui mi ha salvato oggi, quella sarà una giornata memorabile.