L'effetto dei nuovi raggi a implosione in scontri a breve distanza prometteva d'essere interessante, soprattutto in un corridoio di transito. In uno spazio ristretto ciò dava modo a una piccola flotta di concentrare la stessa potenza di fuoco per chilometro cubico di una flotta più numerosa, impossibilitata a spiegare le sue forze su un raggio d'azione più adeguato. Ovviamente questa avrebbe contato su riserve in grado di sostituire le navi distrutte. Una grossa flotta disposta a subire un certo numero di perdite poteva limitarsi a combattere fino ad avere la meglio su un avversario inferiore. E i Lord cetagandani non erano certo allergici al sacrificio, anche se solitamente preferivano cominciare coi subordinati, o meglio ancora con gli alleati. Miles si massaggiò il collo indolenzito.
Dalla porta provenne un ronzio. Allungò una mano verso il pulsante d'apertura.
Sulla soglia apparve un uomo snello dai capelli neri, sulla trentina, che indossava un'uniforme bianca e grigia da mercenario con lo stemma del reparto tecnico. — Mio Lord — disse, con voce bassa e morbida.
Baz Jesek, Primo Ufficiale Ingegnere della Flotta. Già disertore, un tempo in fuga, del Servizio Imperiale di Barrayar. In seguito vassallo-giurato e armiere privato di Miles nelle sue vesti di Lord Vorkosigan. E infine marito della donna che Miles amava. Che aveva amato. Che continuava ad amare. Baz. Dannazione. Nel rispondere al suo saluto lui si schiarì la gola, a disagio. — Si accomodi pure, commodoro Jesek.
Baz chiuse la porta e venne verso di lui, sulla difensiva e con aria colpevole. — Stavo eseguendo riparazioni all'esterno, e ho saputo del suo ritorno soltanto quando sono rientrato, mio Lord — disse. Dopo così pochi anni di esilio volontario il suo accento barrayarano non era scomparso, ma a contatto di tanti altri dialetti galattici s'era già assottigliato.
— È un ritorno temporaneo, nient'altro.
— Io… mi spiace che lei non abbia trovato le cose come le aveva lasciate, mio Lord. Ho l'impressione di aver buttato via la dote di Elena, ciò che lei ci aveva dato. Non ho capito le implicazioni delle manovre finanziarie di Oser finché… be', non ci sono scuse, suppongo.
— Quell'individuo è riuscito a raggirare anche Tung — puntualizzò Miles. Non gli piacque che Baz sentisse il dovere di scusarsi con lui. — Penso che non sia stata una battaglia divertente.
— Non è stata affatto una battaglia, mio Lord — disse lentamente Baz. — Questo è il brutto della cosa. — Assunse la posizione di riposo militaresco. — Sono venuto per chiederle di accettare le mie dimissioni, signore.
— Richiesta respinta — disse subito lui. — In primo luogo, un armiere e vassallo-giurato non può dimettersi. In secondo luogo, non vedo dove potrei procurarmi un altro Primo Ufficiale Ingegnere con un preavviso… — controllò l'orologio, — di due ore. E in terzo luogo… in terzo luogo… ho bisogno di un testimone per tenere il mio nome pulito nel caso che certe cose vadano male. O peggio. Lei dovrà aggiornarmi un po' sulle nuove attrezzature della Flotta, e provvedere che dal lato tecnico tutto fili liscio. Nel frattempo io la metterò al corrente della situazione. Lei è l'unico, a parte Elena, a cui io possa confidare ciò che per altri deve restare segreto.
Con qualche difficoltà Miles convinse l'imbarazzato ingegnere a sedersi, e quindi gli fornì un riassunto di tutto ciò che gli era accaduto dal suo arrivo al Mozzo Hegen, lasciando fuori solo i motivi personali che avevano spinto Gregor a comportarsi in modo indegno del suo rango. L'animo di un Imperatore apparteneva soltanto a lui. Non lo sorprese accorgersi che Elena gli aveva taciuto il suo ritorno; quella breve e rocambolesca (e insoddisfacente, per i Dendarii) comparsa sulla scena doveva esserle apparsa indegna, meritevole solo di passare sotto silenzio. Baz, comunque, parve convinto che la presenza dell'Imperatore in incognito in quel quadro d'azione giustificasse la riservatezza di lei. Al termine del resoconto di Miles, il suo senso di colpa era stato sostituito da una forte preoccupazione.
— Se l'Imperatore restasse ucciso… o se non tornasse, in patria ci sarebbe il caos, per anni e anni — disse Baz. — Forse lei dovrebbe lasciare che Cavilo lo «salvi» a suo modo, invece di rischiare che…
— In mancanza di una soluzione migliore, sceglierei questa — annuì Miles. — Il fatto è che non conosco le intenzioni di Gregor. — Fece una pausa. — Se perdessimo sia l'Imperatore che la battaglia al corridoio di transito, ci troveremmo coi cetagandani alla porta di casa proprio nel momento peggiore della nostra disorganizzazione politica. Che tentazione per loro… che occasione! Saremmo esposti a una seconda invasione in modo così improvviso e drammatico che perfino i cetagandani ne sarebbero sorpresi. Loro preferiscono i piani a lunga scadenza ma, da buoni opportunisti, non si lascerebbero certo scappare un'occasione tanto appetitosa.
Dopo aver immaginato visioni così allarmanti furono entrambi lieti di poter cambiare discorso, e Miles si fece riferire una serie di dati tecnici. Avevano appena passato in rassegna le caratteristiche delle armi di cui disponeva la Flotta, quando l'ufficiale di servizio sul molo chiamò attraverso l'intercom.
— Ammiraglio Naismith? — L'uomo lo guardò con interesse, dallo schermo, poi continuò: — Signore, al portello principale si è presentato uno sconosciuto che insiste per parlare con lei. Dice di avere delle informazioni importanti.
Automaticamente Miles ripensò all'ipotesi del secondo Killer. — Lo avete identificato?
— L'uomo ha chiesto che prima di procedere a un'identificazione le sia comunicato il suo nome: Ungari. Per ora non gli abbiamo chiesto altro.
Miles trattenne il respiro. La cavalleria, finalmente! O almeno un solido contatto con la Sicurezza Imperiale. — Può farmelo vedere, senza che lui si accorga d'essere inquadrato?
— Sì, signore. — Il volto dell'uomo lasciò il posto a una rapida carrellata del molo a cui era attraccata la Triumph. L'immagine si fermò su un paio di uomini con la tuta bianca dei tecnici aslundiani e fu messa a fuoco. Miles sospirò di sollievo. Il capitano Ungari. E, grazie al cielo, il sergente Keller.
— Grazie, tenente. Faccia scortare al mio alloggio questi due uomini fra… — guardò Baz, — dieci minuti. — Spense l'intercom e spiegò: — È un agente della Sicurezza Imperiale, il mio diretto superiore. Dio sia ringraziato! Ma… non sono certo che saprei spiegargli le particolari circostanze della sua diserzione, Baz. Voglio dire, il suo ordine d'arresto fu emesso dalla Sicurezza del Servizio, inoltre suppongo che in questo momento Ungari abbia ben altro a cui pensare, però sarebbe tutto… uh, più semplice se lei lo evitasse, eh?
— Mmh. — Baz annuì, con un sogghigno. — Diciamo che ho dei doveri urgenti a cui tornare.