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— Io sono smontato un paio d'ore fa — disse Ivan. — Stavo giusto per uscire. Porto Tatya a cena fuori, stasera. Mi hai preso appena in tempo. Allora dimmi, in due parole: com'è la vita lì, con la fanteria?

— Oh, grande. La Base Lazkowski è un posto dove si fa sul serio, sai? Non è un… un posteggio per i Lord Vor in eccesso, come il Quartier Generale Imperiale.

— Be', io faccio il mio lavoro! — replicò Ivan, piccato. Poi tornò a sorridere. — È un incarico che ti piacerebbe, sai? Processiamo informazioni. C'è da non crederci, quanto materiale ci trasmette la sezione operativa di questi tempi. È come essere sulla cima del mondo. Sarebbe una cosa adatta a te.

— Interessante. Anch'io stavo pensando che la Base Lazkowski sarebbe proprio adatta a te. Che abbiano scambiato i fogli con la nostra destinazione?

Ivan si grattò un lato del naso e fece una smorfia. — Non saprei dire. — La sua allegria lasciò il posto a uno sguardo un po' preoccupato. — Senti, abbi cura di te, lì in quel posto. Non mi hai l'aria d'essere molto in forma.

— Ho avuto una mattinata impegnativa. Appena riattacchi, filo di corsa sotto la doccia.

— Oh, bene. Be', cerca di riguardarti.

— E tu goditi la cena.

— Contaci pure, ragazzo. Ci vediamo.

Voci da un altro universo. Eppure Vorbarr Sultana era a due sole ore di volo suborbitale. In teoria. Ma per Miles fu in qualche modo un conforto poter ricordare che il nebbioso orizzonte dell'isola Kyril non rappresentava tutto il pianeta.

Quel giorno trovò difficile concentrarsi sulla meteorologia. Per fortuna il suo superiore non ci faceva caso. Da dopo l'incidente con la motopulce Ahn manteneva un nervoso silenzio con lui, salvo quando veniva interpellato su questioni di lavoro. Al termine dell'orario d'ufficio Miles uscì e andò subito in infermeria.

Il medico-chirurgo stava facendo lo straordinario, o comunque indugiava seduto alla sua scrivania, quando lui mise dentro la testa. — Buonasera, signore.

L'ufficiale alzò lo sguardo. — Oh, è lei, alfiere. Che c'è?

Miles lo prese per un invito, malgrado il tono di voce poco incoraggiante, ed entrò. — Mi stavo chiedendo cos'ha scoperto sul poveraccio che abbiamo tirato fuori dallo scarico stamattina.

Il medico si strinse nelle spalle. — Non che ci fosse molto da scoprire. Ho controllato la sua identità e confermato una diagnosi di annegamento. L'esame degli ematomi, l'ipotermia, le tracce di stress e tutte le altre prove fisiche e metaboliche indicano che al momento della morte si trovava nella conduttura da meno di mezz'ora. Mi sembra che si possa parlare di «morte accidentale».

— Sì, ma perché è morto?

— Perché? — Il medico allargò le braccia. — Se aveva deciso di fare quest'idiozia il motivo lo sapeva soltanto lui, no?

— Lei non desidera scoprirlo?

— A che scopo?

— Be'… per saperlo, suppongo. Per esser certo di aver stabilito esattamente la causa del decesso.

Il medico corrugò le sopracciglia.

— Non sto discutendo le sue conclusioni, signore — aggiunse in fretta Miles. — Però è una faccenda dannatamente strana. Lei non è curioso?

— Non più — rispose lui. — Mi basta aver stabilito che non è un suicidio o un omicidio. Per gli altri particolari, quali che siano, si può parlare di semplice stupidità. Non le pare?

Miles si chiese se l'uomo avrebbe commentato con quell'epitaffio anche la sua morte, se non fosse riuscito a tirarsi fuori dalla tenda-bolla. — Suppongo di sì, signore.

Fuori dall'infermeria, nel vento umido che soffiava dal mare, Miles si fermò a riflettere. Quel cadavere non era affar suo, dopotutto. Lui l'aveva trovato e rimesso nelle mani dell'autorità competente. E l'ufficiale medico aveva fatto la sua diagnosi. Eppure…

C'erano ancora parecchie ore di luce. In quei giorni dalla durata interminabile Miles aveva sempre difficoltà a prendere sonno. Tornò nel suo alloggio, indossò la tuta da ginnastica e le scarpette acquistate allo spaccio, e uscì per fare un po' di corsa.

La strada che costeggiava i silenziosi campi da addestramento era deserta. Il sole si spostava di traverso, una ventina di gradi sopra l'orizzonte. Miles rallentò a un'andatura più cadenzata, e infine al passo. I rinforzi metallici, sotto i pantaloni, gli stavano irritando la pelle. Un giorno o l'altro avrebbe dovuto trovare un po' di tempo per farsi sostituire le fragili ossa lunghe delle gambe con altre sintetiche. Un intervento chirurgico poteva essere una discreta scusa per andarsene dall'isola Kyril prima dello scadere dei sei mesi, se le cose si fossero fatte troppo difficili. Ma gli sarebbe sembrato di imbrogliare.

Si guardò attorno, cercando di immaginare la zona immersa nel buio e sotto la pioggia battente. Se lui fosse stato quel soldato, lì sulla strada e intorno alla mezzanotte, cos'avrebbe visto? Cosa poteva aver attirato la sua attenzione verso la conduttura? E prima di tutto, perché diavolo era uscito a un'ora simile? Quella strada non portava che a un percorso a ostacoli e al tiro a segno.

Si accostò allo scarico… no, la conduttura era quella più avanti. Ce n'erano quattro che sfociavano sul canaletto a cielo aperto sul lato esterno della strada, lunga circa mezzo chilometro. Miles trovò quella giusta e si fermò a guardare il rivolo d'acqua che ne sgocciolava fuori. Non c'era niente di interessante lì, decise. Perché, allora? Perché?

Percorse la strada fino in fondo esaminando l'asfalto, la recinzione del campo e le attrezzature consunte del percorso a ostacoli. Quando giunse alla curva tornò indietro lungo il lato opposto, ma arrivò di nuovo all'altezza della conduttura senza aver visto nulla di particolare.

Si appoggiò al recinto e meditò sul mistero della cosa. Una logica doveva pur esserci, si disse. Quale irresistibile emozione aveva spinto il soldato a cacciarsi dentro lo scarico, malgrado l'evidente pericolo di quell'iniziativa? Rabbia? Ma a cosa stava dando la caccia? Paura? Cosa poteva dare la caccia a lui? Uno sbaglio? Miles poteva fare diverse ipotesi su certi sbagli. E se il soldato fosse entrato nella conduttura sbagliata…

D'impulso Miles saltò giù nel primo canaletto scoperto. Il soldato poteva aver avuto l'intenzione di entrare in una conduttura ben precisa, una fra quattro, ma essersi sbagliato a causa del buio, o dell'acquazzone, o della fretta. Se fosse stato necessario lui era disposto a esplorarle tutte e quattro, ma preferiva indovinare al primo colpo, anche se nei dintorni non c'era nessuno a curiosare. La conduttura davanti al cui sbocco si chinò aveva un diametro leggermente maggiore della seconda, quella che s'era rivelata fatale. Tolse di tasca la torcia elettrica, si spinse nell'interno e cominciò a esaminarla centimetro per centimetro.

— Ah! — sussurrò soddisfatto, a metà del percorso sotto la strada. Là c'era l'oggetto, fissato all'arco superiore del condotto con del nastro adesivo. Un pacco avvolto in plastica impermeabile. Molto interessante. Lo prese e indietreggiò all'esterno; poi sedette nell'alveo del canaletto, incurante di bagnarsi i pantaloni pur di tenersi il più possibile fuori vista.

Si appoggiò il pacchetto in grembo e lo esaminò senza fretta, pregustandone il contenuto come se fosse un regalo di compleanno. Droga? Materiale di contrabbando? Documenti segreti? Il bottino di un furto? L'ipotesi che lo eccitava di più era quella dei documenti segreti, anche se non riusciva a immaginare cosa potesse esserci di segreto sull'isola Kyril, a parte forse i rapporti sull'efficienza individuale. Un traffico di droga poteva essere interessante, ma un agente straniero in azione sarebbe stato meraviglioso. Questo gli avrebbe dato un momento di gloria… e la sua mente corse avanti, già escogitando la prossima manovra di quell'indagine, seguendo gli indizi a partire da un cadavere su fino al suo misterioso mandante, e chi poteva dire quanto in alto nella scala gerarchica? Poi il drammatico arresto, magari un elogio da parte di Simon Illyan in persona… Il pacchetto era umido, ma nell'interno si sentiva uno scricchiolio. Pellicole fotografiche?