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Controllò l'orologio digitale. Non erano neppure le nove di sera. Aveva dormito meno di due ore, dopo essere rientrato esausto da un lungo viaggio nell'interno dell'isola, sotto una bufera di neve, per riparare un guasto alla Stazione Undici. Sulla consolle accanto al letto nessuna luce rossa lampeggiava per informarlo di qualche lavoro fuori programma da eseguire con urgenza. Niente gli impediva di rimettersi a dormire.

Il silenzio era inquietante.

Infilò anche il secondo stivale e mise la testa fuori dalla porta. Un paio di altri ufficiali avevano fatto lo stesso e stavano speculando sottovoce sui possibili motivi dell'allarme. Il tenente Bonn uscì dalla sua stanza e s'incamminò in fretta lungo il corridoio, abbottonandosi il parka. Aveva un'espressione tesa, fra preoccupata e irritata.

Miles corse ad afferrare il suo parka e lo raggiunse sulle scale. — Ha bisogno di una mano, tenente?

Bonn abbassò lo sguardo su di lui e si mordicchiò un labbro. — Può darsi — concesse.

Miles lo affiancò, segretamente compiaciuto che Bonn lo ritenesse capace di rendersi utile. — Che sta succedendo?

— Un incidente di qualche genere in uno dei bunker dei gas tossici. Se è quello che penso, potremmo avere un brutto problema per le mani.

Fuori dalla doppia porta che manteneva il calore nell'atrio degli alloggi ufficiali la notte era fredda e chiara come il cristallo. La neve fresca crepitava sotto gli stivali di Miles; un secco vento dell'est aveva spazzato via le nuvole, e le stelle brillavano nitide sopra le luci della Base. I due salirono sulla motopulce di Bonn, annebbiando il parabrezza con il fiato finché il riscaldamento non entrò in funzione. Bonn prese la strada che usciva dalla Base verso ovest e aumentò la velocità.

Qualche chilometro dopo l'ultimo campo di addestramento, alcuni bassi edifici col tetto coperto di zolle sbucavano dalla neve. Davanti a uno dei bunker erano posteggiati alcuni veicoli: tre motopulci, inclusa quella del comandante dei vigili del fuoco, e un'ambulanza. Fra di essi si muovevano due o tre torce elettriche. Bonn si fermò sul ciglio della strada e scese subito. Miles gli tenne dietro, attento a non scivolare sulla neve che le ruote avevano compresso in uno strato di ghiaccio.

Il medico-chirurgo si stava occupando di un soldato in uniforme da campo che tossiva, seduto nel retro dell'ambulanza, mentre due infermieri manovravano per introdurre nel veicolo una barella su cui ne giaceva un secondo con una coperta addosso. Il medico li fece entrare e poi saltò giù dal veicolo.

— Voialtri, tutti e tre, appena arrivati spogliatevi e buttate nell'inceneritore ogni indumento che avete addosso — ordinò agli infermieri. — Anche le coperte, la barella e l'attrezzatura che è stata là dentro. Doccia di decontaminazione per tutti, ancora prima di dare un solo sguardo alla gamba rotta di quest'uomo. Gli ho iniettato un analgesico, ma anche se facesse poco effetto voi ignoratelo e finite di lavarlo. Anch'io verrò sotto la doccia, appena possibile. — Volse le spalle al veicolo e borbottò qualcosa fra sé, scuotendo la testa.

Bonn si diresse alla porta del bunker. — Non la apra! — gridarono subito il medico e il comandante dei vigili del fuoco. — Dentro non c'è più nessuno — aggiunse quest'ultimo. — Sono già stati evacuati tutti.

— Ma cos'è successo? — Bonn passò una mano guantata sul finestrino della porta incrostato di ghiaccio, cercando di vedere qualcosa nell'interno.

— Quei due stavano spostando delle casse. Dovevano fare spazio per altro materiale che arriverà domani — lo informò il comandante dei vigili del fuoco, un luogotenente di nome Yaski. — Hanno rovesciato il fork-lift. Uno di loro ci è rimasto sotto e si è fratturato una gamba.

— Cristo, bisogna proprio mettercela tutta per far ribaltare un fork-lift — mugolò Bonn con una smorfia, come se stentasse a immaginare la scena.

— Succede, quando si fanno lavorare gli uomini fino a quest'ora — disse l'ufficiale medico, con impazienza. — Ma il peggio non è questo. Hanno tirato giù anche diversi contenitori di fetaine allineati su uno scaffale, e sembra che almeno due si siano rotti. L'interno ne è saturo, adesso. Noi abbiamo sigillato il bunker il meglio possibile. — In quanto a ripulirlo… — Fece un grugnito. — È compito suo, questo. Io devo andare. — Aveva l'aria di volersi liberare al più presto anche della pelle, oltre che dei vestiti. Salutò con un gesto rapido e salì su una motopulce, affrettandosi a seguire i quattro già diretti all'impianto di decontaminazione dell'infermeria.

— Fetaine! — mormorò Miles, stupito. Bonn s'era subito scostato dalla porta. Il fetaine era un veleno mutagenico sviluppato come arma deterrente, benché non fosse mai stato usato in combattimento, almeno per quanto ne sapeva lui. — Credevo che fosse roba ormai obsoleta, cancellata dal menu. — Gli insegnanti dei corsi di armi chimiche e biologiche, all'Accademia, ne avevano appena parlato.

— Il fetaine è sorpassato, infatti — disse cupamente Bonn. — Non lo fabbricano più da vent'anni. Questo dev'essere l'ultimo deposito rimasto su Barrayar. Dannazione, quei contenitori non dovrebbero rompersi neanche se ci atterrasse sopra una navetta.

— Si trovano qui da vent'anni o più — precisò il comandante dei vigili del fuoco. — Corrosione, forse.

Bonn lo guardò. — Se è così, in che stato sono gli altri?

— Questa è la domanda numero uno — annuì Yaski.

— Il fetaine si può distruggere col calore, no? — osservò Miles, mentre si accertava nervosamente che stessero discutendo sopravvento rispetto al bunker. — Si scompone in sostanze chimiche innocue, ho sentito dire.

— Be', non esattamente innocue — disse Yaski, — però almeno non si mangiano il DNA che uno ha nelle palle.

— Ci sono anche degli esplosivi qui dentro, tenente? — domandò Miles.

— No — rispose Bonn. — Solo il fetaine.

— Se buttassimo un paio di mine al plasma attraverso la porta, pensate che tutto il fetaine potrebbe decomporsi prima che il calore fonda il soffitto?

— Io non ci tengo a far fondere il soffitto. E magari anche il pavimento. Se quella roba si disperdesse nel terreno… Però, usando un paio di mine a combustione lenta, e aggiungendoci qualche chilo di plastosigillante, il bunker potrebbe reggere per un certo tempo. — Bonn si grattò la mandibola, cercando di calcolare le conseguenze. — Sì… potrebbe funzionare. In effetti può essere l'unico modo sicuro di togliere questa castagna dal fuoco, specialmente se gli altri contenitori cominciano a essere difettosi tutti quanti.

— Dipende dalla direzione del vento, però — disse il tenente Yaski accennando verso la Base, e guardò Miles.

— Le previsioni dicono che la temperatura avrà ancora un calo, e che questo vento continuerà a tirare da est fino alle 0070 circa di domattina — disse Miles, in risposta al suo sguardo.

— Poi girerà da nord e aumenterà di forza. Domani sera intorno alle 1800 ci saranno le condizioni potenziali per un wha-wha.

— Se scegliamo questa soluzione è meglio darsi da fare stanotte, allora — disse Yaski.

— Va bene — decise Bonn. — Prepara i tuoi uomini. Io vado a tirare giù dal letto i miei. Poi studierò la struttura di questi bunker e calcolerò il calore che occorre. Ci vediamo fra un'ora con il capo della sussistenza, in amministrazione.

Il comandante dei vigili del fuoco lasciò il suo sergente a guardia del bunker, per tenere alla larga chi fosse passato sulla strada. Un incarico poco divertente ma non insopportabile, dato che se la temperatura si fosse abbassata l'uomo avrebbe potuto ripararsi nella motopulce. Miles tornò alla Base con Bonn e si fece scaricare davanti all'edificio dell'amministrazione, per controllare di nuovo la situazione meteorologica e le correnti d'aria in arrivo da nord-est.