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Il cuore di Miles ebbe il primo palpito di sollievo da quando era partito dall'isola Kyril.

Pensava che suo padre lo avrebbe accompagnato al ben noto complesso dell'Ospedale Militare Imperiale, dall'altra parte della città, invece si vide condotto in un'infermeria assai più vicina: tre piani sotto il Quartier Generale della Sicurezza. Era piccola ma completa, con un paio di laboratori per le analisi, camere singole, celle sorvegliate per i detenuti, una sala operatoria, e una porta chiusa su cui c'era una targhetta inquietante: Indagini Psicofisiche - Trattamenti Chimici. Illyan doveva aver già avvertito, perché un infermiere era pronto a riceverli. Due minuti dopo fece il suo ingresso un medico-chirurgo della Sicurezza, col fiato un po' corto. L'ufficiale si sistemò l'uniforme e salutò con puntigliosa e impeccabile formalità il Conte Vorkosigan, prima di occuparsi di Miles.

Lui rifletté che quel medico doveva essere abituato a trattare con pazienti alquanto innervositi dalle sue qualifiche professionali, visto quanto sembrava goffamente innervosito lui stesso davanti a un ricovero puramente clinico. Oppure c'era qualcosa in suo padre, un odore di violenza che gli restava ancora addosso dopo tutti quegli anni, un carisma alla cui presenza uomini peraltro duri e navigati si sentivano a disagio? Il potere e la storia. Anche Miles riusciva ad avvertirlo con chiarezza, come una situazione atmosferica che lo circondava, benché su di lui non avesse lo stesso effetto.

Si era acclimatato, forse. L'ex Lord Reggente era un uomo che usava prendersi due ore per il pranzo ogni giorno, qualunque crisi politica fosse in corso, e che in quell'intervallo escludeva il resto del mondo dalla sua casa. Soltanto Miles sapeva cosa facesse in quella pausa d'intimità, e di come il grand'uomo buttasse giù un sandwich in cinque minuti per passare poi un'ora e mezzo seduto sul pavimento con il figlio che non poteva camminare, giocando, parlando, leggendo ad alta voce. A volte, quand'era accaduto che Miles si opponesse istericamente a qualche nuova dolorosa terapia fisica, ribellandosi anche a sua madre e al sergente Bothari, il padre era stato l'unico a ottenere con la sua fermezza che lui si sottoponesse ad altri agonizzanti stiramenti delle gambe, ad altre iniezioni di osteospray, ad altre operazioni chirurgiche, ad altre diete che gli facevano torcere le budella dopo ogni pasto. «Tu sei un Vor. Non devi mostrare questa mancanza di autocontrollo ai tuoi dipendenti, Lord Miles.» L'odore acre dell'infermeria e quel medico così nervoso gli avevano riportato un flusso di ricordi. Non poteva meravigliarsi, rifletté, se non era riuscito a sentirsi intimidito da Metzov. Quando il Conte Vorkosigan uscì, l'infermeria sembrò improvvisamente vuota.

Quella settimana non doveva esserci molta attività al Quartier Generale della Sicurezza Imperiale. Nei locali stagnava un silenzio quasi pneumatico, rotto solo dai membri del personale che capitavano per farsi disinfettare un graffio o a chiedere qualcosa contro il mal di capo o il raffreddore. Un paio di tecnici si affannarono tre ore in un laboratorio, un pomeriggio, per installare delle apparecchiature, e se ne andarono in fretta com'erano venuti. Il medico arrestò l'incipiente polmonite di Miles giusto in tempo perché non si aggravasse, prescrivendo una terapia intensiva di sei giorni. E lui ingannò il tempo dormendo e progettando i particolari della licenza a casa che, non ne dubitava, avrebbe potuto godersi appena fosse stato dimesso.

— Insomma, quando potrò andarmene da qui? — si lamentò con sua madre la seconda volta che lei gli fece visita. — Nessuno mi dice niente. Se non sono in arresto, perché non posso prendermi qualche giorno di licenza? E se invece sono in arresto, perché non chiudono la porta a chiave? Ho l'impressione di galleggiare in un limbo.

La Contessa Cordelia Vorkosigan sbuffò in modo poco signorile. — Preferiresti essere in un purgatorio? — Il suo piatto accento betano accarezzò dolcemente gli orecchi di Miles, malgrado il tono sarcastico. La nobildonna scosse il capo per gettare all'indietro i lunghi capelli rossi, che quel giorno portava sciolti. Indossava un'elegante blusa autunnale color bronzo, con ricami in argento, e un vestito a gonna larga che avrebbe potuto permettersi solo chi ignorava la moda per mostrare quale fosse la moda della classe Vor. Il suo volto pallido, dagli occhi grigi e accesi, era così vibrante di vitalità che pochi riuscivano a notare subito se fosse o non fosse bella. Da ventun anni recitava la parte della matrona al seguito del Grande Uomo, ma ancora sembrava importarle ben poco delle gerarchie sociali barrayarane, e meno ancora di quelle politiche e militari.

Strano. Perché non penso mai alla mia ambizione di avere il comando di una nave come mia madre prima di me? Al capitano Cordelia Naismith, della Sorveglianza Astronomica Betana, era spettata la rischiosa impresa di espandere il corridoio di transito della distorsione galattica balzo dopo balzo, alla cieca, in nome della scienza e dell'umanità, per il progresso della Colonia Beta e per… cos'era stato a spingere lei personalmente? Aveva avuto il comando di una nave da esplorazione con sessanta persone a bordo, lontano da casa e da ogni aiuto, e senza dubbio la sua carriera non era stata priva di aspetti invidiabili. Gli ordini dei superiori, ad esempio, dovevano esser stati poco più che una finzione legale in quelle zone di spazio inesplorate, dove i desideri del Quartier Generale Betano erano ridotti al livello di una scommessa contro l'ignoto.

Cordelia Naismith navigava ora senza sollevare onde nell'alta società di Barrayar, e soltanto i suoi pochi intimi capivano quanto ne fosse distaccata. Non temeva nessuno, neppure il temuto Illyan, e nessuno la controllava, neppure lo stesso ammiraglio. Era quella sua aria da avventuriera, si chiese Miles, a renderla così inquietante? Il capitano dell'ammiraglio. C'era stato un tempo in cui seguirla nella sua strada era come camminare nel fuoco.

— Cosa sta succedendo fuori di qui? — domandò Miles. — Questo posto è divertente come la cantina di un'agenzia di pompe funebri. Hanno stabilito se io sono un ammutinato oppure no?

— Non credo — disse la Contessa. — Il Servizio sta dando il benservito a tutti gli altri, il tuo tenente Bonn e soci, ma senza disonore, anche se non avranno la pensione né tantomeno quei rango di Vassallo Imperiale che sembra importare più della vita ai maschi barrayarani.

— È un po' come essere riservisti di lusso su Beta — disse Miles. — E le reclute del plotone? E di Metzov cosa sai dirmi?

— Lo stanno scaricando come gli altri. Lui è quello che ci perde di più, direi.

— Lo lasciano in libertà? — borbottò Miles, accigliato.

La Contessa Vorkosigan scrollò le spalle. — Visto che nessuno ci ha rimesso la pelle, Aral si è persuaso che mandarlo davanti a una corte marziale sarebbe controproducente. In quanto alle reclute, hanno deciso di non coinvolgerle nella cosa. Sono ragazzi.

— Mmh. Mi fa piacere, questo. Ma, uh… e io?

— Tu resti ufficialmente nell'elenco dei detenuti della Sicurezza Imperiale. A tempo indefinito.

— Indefinito è proprio come mi sento qui dentro. — Poggiò le mani sul lenzuolo. Aveva le nocche delle dita ancora arrossate. — Quanto tempo?

— Quello che basta per ottenere un certo effetto psicologico.

— E quale, farmi uscire di senno? Altri tre giorni e comincerò ad arrampicarmi sui muri.

Lei ebbe una smorfia. — Il tempo sufficiente a convincere la fazione dura dei militaristi che sei stato ben punito per il tuo, uh, crimine. Finché corre voce che sei imprigionato nei sinistri sotterranei di questo edificio, quei signori possono immaginarti in un modo che li soddisfa… qualunque cosa pensino che succeda qui sotto. Se fossi visto mentre ti aggiri nei ristoranti e nei locali notturni, come sospetto che tu stia fantasticando, sarebbe difficile mantenerli in questo stato d'animo.