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Certo. Ma non è un nome che lei darebbe alla sua tenuta di campagna. - Sì, signore. Però… in fanteria? I miei limiti fisici non dovrebbero essere d'ostacolo, se tenuti nel debito conto, ma non posso far finta che non esistano. In caso contrario mi converrebbe cascare in qualche buca fin dall'inizio, finire all'ospedale e far risparmiare tempo a tutti quanti. — Dannazione, perché mi hanno fatto occupare un prezioso posto nella più costosa scuola di Barrayar per tre anni, se volevano solo mandarmi a crepare in un buco sperduto? - Voglio dire, ho sempre supposto che questi limiti sarebbero stati presi in considerazione.

— Quella di ufficiale meteorologico è una specializzazione tecnica, alfiere — lo rassicurò il maggiore. — Nessuno la costringerà ad ammazzarsi sui percorso di guerra carico di uno zaino da campo. Dubito che esista un ufficiale disposto a spiegare all'ammiraglio perché un Vorkosigan viene rispedito a casa in una bara. — La sua voce si fece improvvisamente fredda. — Una bara che non occuperebbe molto spazio sull'aereo. Adatta a un mutante.

Cecil non aveva pregiudizi; lo stava solo mettendo alla prova. Sempre prove. Miles abbassò la testa. — Potrei esserlo, come potrebbero esserlo quelli che discenderanno da me.

— Ci ha pensato, vero? — Lo sguardo di Cecil assunse una luce speculativa, e di vaga approvazione.

— Da anni, signore.

— Mmh. — Il maggiore ebbe l'ombra di un sorriso, poi saltò giù dalla scrivania e gli porse la mano. — Buona fortuna, allora, Lord Vorkosigan.

Miles gliela strinse. — Grazie, signore. — Piegò il foglio e rimise nella busta i permessi di viaggio.

— Qual è la sua prima tappa? — domandò Cecil.

Un'altra prova. Doveva essere un riflesso connaturato in lui. Miles fu svelto a rispondere: — L'archivio dell'Accademia.

— Ah!

— Per una copia del manuale del Servizio Meteorologico. E altro materiale necessario.

— Molto bene. Comunque, l'ufficiale che lei deve sostituire starà sul posto per un breve periodo, finché lei non si sarà orientato.

— È un vero sollievo saperlo — disse Miles, con convinzione.

— Non stiamo cercando di renderle le cose impossibili, alfiere.

Solo maledettamente sgradevoli. - È un sollievo sapere anche questo, signore. — Il saluto con cui Miles si accomiatò fu quasi degno di un buon subordinato.

Miles fece l'ultimo tratto del percorso per l'isola Kyril a bordo di una grossa navetta atmosferica automatica, insieme a un annoiato pilota di riserva ed a ottanta tonnellate di rifornimenti. Aveva trascorso la maggior parte di quel viaggio solitario sfogliando freneticamente il materiale meteorologico di cui disponeva. E poiché il programma di volo aveva subìto lunghi ritardi per il carico nelle due ultime tappe, quando la navetta rullò sulla pista della Base Lazkowski poté consolarsi con la constatazione che era riuscito a studiare molto più del previsto.

I portelli della stiva si aprirono, lasciando entrare la debole luce di un sole che indugiava stancamente presso l'orizzonte. La brezza di fine estate poteva vantare cinque gradi abbondanti sopra il punto di congelamento dell'acqua. I primi militari che Miles vide furono una squadra di uomini in tuta da fatica nera, addetti ai carrelli, al comando di un caporale dall'aria pigra che sali a farsi consegnare le bolle di carico dal pilota. Dallo sguardo con cui si sprecò a constatare la presenza di un passeggero, Miles dedusse che l'incaricato di accogliere il nuovo ufficiale meteorologico non era lui. Scrollò le spalle e si avviò giù per la scaletta.

Un paio degli uomini in tuta nera che lo guardavano mentre si avvicinava ai carrelli commentarono la sua comparsa a bassa voce in greco barrayarano, un dialetto minore di origine terrestre alquanto mutato nei secoli dell'Era dell'Isolamento. Stanco del viaggio, e seccato dalle espressioni fin troppo eloquenti che vedeva sulle loro facce, Miles decise che avrebbe ignorato quel che dicevano semplicemente facendo finta di non capire. Del resto, come Plause gli aveva fatto notare, il suo accento greco era esecrabile.

— Ehi, guarda un po' questo tipo. Un bambino in divisa.

— Diavolo, che ci stavano mandando un ufficialetto di basso grado l'avevo sentito dire. Ma non credevo così basso.

— Non è un bambino. Sembra un nano di qualche genere. L'ostetrica deve averlo lasciato cadere nella lavatrice. All'inferno… ehi, è un dannato mutante!

Con uno sforzo Miles evitò di voltarsi verso di loro. Sempre più fiduciosi di non essere capiti, i due non si preoccuparono di abbassare la voce.

— Se è così, perché gli hanno messo addosso l'uniforme, eh?

— Bah! Magari è la nostra nuova mascotte.

Le vecchie paure genetiche erano così subdolamente inserite nella cultura, così stratificate a ogni livello sociale, che venivano fuori nelle battute e nelle osservazioni spicciole senza che la gente si rendesse neppure conto di ferire e di offendere. E spesso riemergevano con risultati dolorosi. Miles sapeva bene d'esser sempre stato protetto dal rango di suo padre, ma a persone d'aspetto insolito e meno socialmente fortunate potevano accadere cose molto spiacevoli. Solo due anni prima nella Città Vecchia, un quartiere di Vorbarr Sultana, era accaduto un episodio drammatico: un accattone zoppo era stato accusato d'essere un mutante da un gruppo di ubriachi, e castrato con una bottiglia rotta. Che ciò avesse destato reazioni scandalizzate e dure condanne era ritenuto un sintomo di «progresso». Ma nello stesso quartiere dei Vorkosigan c'erano stati casi di infanticidio, di cui uno recente. Sì, il rango sociale o militare aveva la sua importanza. Miles intendeva mettersi al sicuro il più possibile, prima che quelle paure trovassero modo di sfogarsi su di lui.

Sbottonò il colletto del parka per lasciar vedere meglio i gradi da ufficiale sul colletto e si rivolse al caposquadra, che tornava ai carrelli. — Senta, caporale, ho ordine di mettermi a rapporto dal luogotenente Ahn, l'ufficiale meteorologico della Base. Dove posso trovarlo?

Attese che l'altro portasse la mano al berretto nel saluto che gli spettava, ma la mano stentava a muoversi; il caporale lo guardava dall'alto in basso con aria incerta. Alla fine parve rendersi conto che se Miles aveva gradi da ufficiale, era un ufficiale.

Con un gesto torpido eseguì il saluto. — Mi scusi, uh, signore. Cosa stava dicendo?

Miles gli restituì il saluto e ripeté la domanda, con voce piatta e controllata.

— Uh, il luogotenente Ahn, sicuro. Di solito sta rintanato… cioè, di solito è nel suo ufficio. Nell'edificio dell'amministrazione. — Il caporale ruotò un braccio in direzione di un prefabbricato a due piani che emergeva dietro file di magazzini seminterrati in fondo alla pista di tarmac, a circa un chilometro da lì. — Non può sbagliare. È la costruzione più alta della Base.

Miles notò che l'edificio si distingueva dagli altri più che altro per il vasto assortimento di antenne che sporgevano dal tetto. Bene, sospirò fra sé.

E ora: caricare la sua sacca da viaggio su uno di quei carrelli e pregare che lo seguisse all'alloggio che gli era stato assegnato, dovunque fosse? O poteva permettersi d'interrompere il loro lavoro e ordinare che un carrello gli desse un passaggio fino a destinazione? Ebbe una breve visione di se stesso in piedi sulla prora di uno dei veicoli, come il capitano di una nave intento a sorvegliare un mare senza onde e diretto al suo destino… insieme a mezza tonnellata di biancheria di ricambio, casse di attrezzature termiche, fasci di tubature antigelo e rotoli di cavi elettrici. Decise di mettersi la sacca in spalla e andare a piedi.

— Grazie, caporale. — Si avviò nella direzione indicata, fin troppo conscio della sua andatura sbilenca e delle protesi, celate sotto i pantaloni, a cui era affidato il compito di sostenere la muscolatura delle gambe nel suo sforzo. La distanza si rivelò più lunga di quel che gli era parso, ma prestò attenzione a non fermarsi e a non vacillare finché non ebbe girato l'angolo del primo magazzino della fila.