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Il suo lavoro lì, ricordò a se stesso, non era quello di comandare. Era di osservare come Tung dirigeva le operazioni e imparare un modo di vedere le cose alternativo a quello che insegnavano all'Accademia Imperiale di Barrayar. La sola condizione lecita per un suo intervento si sarebbe presentata se qualcosa, nella strategia/politica esterna, avesse assunto la precedenza sulle necessità tattiche immediate. Miles pregava che non accadesse, perché una breve e spiacevole definizione per una cosa del genere era: «Tradire la fiducia delle truppe in lui».

La sua attenzione fu attratta da una piccola nave da esplorazione balzata fuori dal corridoio di transito. Il display la mostrava come un puntolino luminoso in lento spostamento su uno sfondo nero. Sullo schermo del teleradar era una forma affusolata; su quello di navigazione un vettore che si allungava; su di un altro ancora un insieme di dati telemetrici, cifre, simboli, quasi un ideale platonico. Qual è la verità? Tutte, nessuna.

— Squalo Uno a Flotta Uno — disse la voce del pilota sulla consolle di Tung. — Rotta libera per dieci minuti fra i punti di balzo. Rapporto su canale ristretto ad alta velocità pronto per la trasmissione.

Tung parlò in un microfono: — Flotta pronta al balzo. Rapporto in arrivo su canale Y-G. Computer in ricezione dati.

La prima nave dendarii in attesa all'imbocco del corridoio di transito si mosse in avanti, lampeggiò un attimo sullo schermo tattico (sugli altri non ci fu niente) e scomparve. Una seconda nave la seguì a trenta secondi di distanza, limite di sicurezza minimo fra due oggetti in transito fuori dallo spazio normale. Due navi che si fossero materializzate nello stesso punto all'uscita dal balzo avrebbero dato origine a un solo esplosivo ammasso di atomi.

Mentre il computer digeriva i dati telemetrici di Squalo Uno, ciò che l'altra nave aveva visto apparve anche sullo schermo della Triumph: il vortice (puramente energetico) d'ingresso del corridoio di transito fu sostituito dal vortice identico all'altra estremità. Oltre quell'immagine c'erano punti e linee in movimento, astronavi che manovravano, sparavano, deviavano su percorsi d'attacco e di difesa: la battaglia in corso sul lato di Vervain, nei pressi della stazione interna, gemellata alla stazione sul lato Mozzo dove Miles aveva lasciato Gregor. Gli attaccanti cetagandani. Finalmente una panoramica della loro destinazione. In differita, naturalmente; quelle immagini risalivano a una decina di minuti prima.

— Cristo — commentò Tung, — che confusione. Quindici secondi al balzo.

Il cicalino suonò. Era il turno della Triumph. Miles si aggrappò allo schienale della poltroncina di Tung, pur sapendo che l'impressione di muoversi era illusoria. Un refolo di sogni sembrò annebbiare la sua mente, per un attimo, per un giorno; impossibile stabilirlo. La nausea che subito dopo gli salì dallo stomaco non era un sogno. Balzo avvenuto. Nella sala ci fu qualche secondo di silenzio mentre gli altri lottavano per riprendere il controllo delle loro disorientate percezioni. Poi il mormorio riprese là dove s'era interrotto. Benvenuti a Vervain. L'inferno non vi ha voluti neanche stavolta.

Il computer tattico sparò su tutti gli schermi le immagini che ora captava in diretta da quella sezione dell'universo. Lo sbocco (o meglio, ora l'imboccatura) del corridoio di transito era sorvegliato dalla stazione di balzo e dalla Marina Spaziale di Vervain, con l'appoggio delle navi dei Rangers sotto il comando vervano. L'attacco era appena finito; i cetagandani avevano colpito, erano stati respinti e adesso si stavano portando a distanza in attesa dei rinforzi per la prossima offensiva. E i loro rinforzi erano ormai un flusso continuo, sul lato opposto del sistema, dove sfociava il corridoio di transito fra Vervain e Cetaganda.

L'altra stazione era caduta quasi senza colpo ferire in mano agli assalitori. Eppure, malgrado l'attacco a sorpresa, i vervani avrebbero potuto fermare facilmente l'invasione cetagandana del loro spazio, se non fosse accaduto che tre navi dei Rangers avessero frainteso gli ordini (apparentemente) ritirandosi quando avrebbero dovuto invece contrattaccare. Così i cetagandani avevano rinsaldato la loro testa di ponte e cominciato a far affluire altre forze.

L'ingresso/uscita del secondo corridoio, quello da cui i Dendarii stavano uscendo, era meglio equipaggiato per la difesa… o meglio, lo era stato: i vervani avevano ritirato buona parte di quelle forze nell'orbita del loro pianeta. Miles non poteva biasimarli; la scelta tattica era dura in entrambi i casi. Ma ora i cetagandani si spostavano a loro piacere attraverso il sistema, girando alla larga dal pianeta ben sorvegliato nel tentativo di forzare l'ingresso del Mozzo Hegen, se non di sorpresa almeno il più presto possibile.

Il sistema migliore per impadronirsi di un corridoio di transito erano i sotterfugi, la corruzione, l'infiltrazione, in altre parole l'inganno. Il secondo, anch'esso preferibilmente facilitato da qualche sotterfugio, stava nel raggiungere la zona di spazio interessata attraverso un'altra rotta, se ce n'era una. Il terzo consisteva nel far balzare una nave suicida che innalzasse subito davanti a sé un «muro solare», un'onda d'urto fatta di numerose esplosioni nucleari, al riparo della quale creare spazio per l'arrivo di altri attaccanti. Ma il muro solare era costoso, durava poco prima di dissolversi, funzionava solo localmente. I cetagandani avevano cercato di usare tutti e tre questi metodi, ed i Rangers li avevano facilitati ritraendosi dalla nuvola radioattiva dietro cui era penetrata la loro avanguardia.

Il quarto sistema per risolvere la questione di un attacco frontale a un'imboccatura sorvegliata era di sparare all'ufficiale che lo aveva proposto. Miles contava che i cetagandani si vedessero presto costretti a esaminare quella possibilità.

Il tempo trascorse. Miles agganciò una poltroncina davanti allo schermo principale e lo studiò finché le immagini cominciarono a confondergli la vista e la sua mente scivolò in una specie di trance. Poi se ne riscosse e si alzò, andando a curiosare nella strumentazione degli altri.

I cetagandani facevano manovra. L'inaspettato arrivo dei Dendarii durante quella pausa li aveva gettati in una momentanea confusione tattica; il loro attacco definitivo alle difese vervane doveva essere sostituito da un'altra azione colpisco-e-fuggi per indebolirle. Un'azione che avrebbe richiesto il suo prezzo. A quel punto non potevano celare il loro numero né i loro spostamenti. La presenza dei Dendarii poteva significare trattati, alleanze, altre riserve (chi sapeva di quale entità? Non Miles, di certo) in attesa all'altra estremità del corridoio. In lui sorse l'effimera speranza che quest'ipotesi bastasse a far desistere i cetagandani.

— No, no — sospirò Tung quando Miles gli confidò il suo ottimismo. — Ormai si sono spinti troppo avanti. Le perdite che ci sono state impediscono ai cetagandani di tornare indietro senza conseguenze, economiche e diplomatiche. Anche interne. Un Lord che rinunciasse ora, in patria troverebbe la corte marziale. Continueranno anche se dovessero perdere l'ultima speranza, mentre chi ha organizzato l'invasione cercherà fino in fondo di salvarsi il collo con i soliti espedienti: falsificare l'entità delle perdite, gonfiare il valore degli obiettivi raggiunti, e tacere agli uomini la situazione reale per poterli mandare al massacro pieni di entusiasmo patriottico.

— Questo è vile cinismo.

— Questo è il sistema, ragazzo, e non solo fra i cetagandani. È uno dei difetti delle aristocrazie militariste. Inoltre, purtroppo — Tung ebbe un sogghigno, — contro di noi potrebbe funzionare. Un fatto che cercheremo di tenere nascosto finché possibile.