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Le forze cetagandane cominciarono a muoversi, in una direzione e con un'accelerazione che rivelavano la volontà di non attaccare in un solo punto. La loro tattica sembrava quella di aggredire piccoli gruppi di navi, con una superiorità di tre o quattro contro uno, per sopraffare la tenuta degli schermi antiplasma dell'avversario. Anche i vervani e i Dendarii avrebbero cercato di fare lo stesso, e appena giunti a portata si prevedevano numerosi duelli a breve distanza con le nuove lance a implosione gravitazionale. Miles cercò di tener d'occhio anche i movimenti dei Randall Rangers. Non tutte le navi dei Rangers avevano a bordo un consigliere militare vervano, e uno schieramento che li avesse posti in prima linea era preferibile a uno che li vedesse agire più indietro rispetto ai Dendarii.

In sala tattica, il pacato mormorio dei tecnici e dei computer non cambiò ritmo. Avrebbero dovuto esserci motori rombanti, boati di esplosioni, ordini concitati, qualunque cosa che accompagnasse la danza degli uomini con la morte. Ma la realtà esterna avrebbe squarciato il silenzio di quella torre d'avorio solo in un attimo improvviso. E definitivo.

Una chiamata dell'intercom interruppe la concentrazione di Tung, e ricordò a Miles che fuori dalla porta c'era ancora una nave intorno a loro. — Qui reparto detenzione. Signore, state attenti ai ponti superiori. Abbiamo un guaio: l'ammiraglio Oser è fuggito, e ha fatto uscire di cella anche tutti gli altri prigionieri.

— Maledizione! — ringhiò Tung. Indicò a Miles l'intercom. — Occupatene tu. Mettiti in contatto con Auson. — E si volse di nuovo allo schermo tattico, mugolando fra sé: — Ai miei tempi questo non sarebbe successo.

Miles sedette alla consolle e chiamò la plancia della Triumph. - Auson! Le hanno già detto di Oser?

Il volto irritato di Auson apparve sul monitor. — Sì, sto prendendo provvedimenti.

— Ordini che squadre di commando sorveglino la sala macchine, la sala tattica e la plancia. Non possiamo permetterci interruzioni in un momento così delicato.

— Lo dice a me? Li vedo anch'io quei bastardi cetagandani che stanno arrivando. — Auson tolse la comunicazione.

Miles si mise in ascolto sui canali interni della sicurezza, interrompendosi solo quando sentì arrivare in corridoio un plotone di uomini armati fino ai denti. Non c'erano dubbi che Oser fosse stato aiutato ad evadere, e da uno o più leali ufficiali oserani, il che originava spiacevoli interrogativi sugli stessi uomini di servizio nei ponti superiori. Possibile che Oser cercasse di mettersi d'accordo con Cavilo e con Metzov? Un paio di Dendarii agli arresti per motivi disciplinari furono trovati che vagavano nei corridoi e riportati in cella. Un altro si presentò spontaneamente. Un elemento sospetto fu scoperto a sabotare una telecamera. Ma nessun segno di attività pericolose…

— Sta decollando!… Perdita d'aria nella stiva 4!… Sono usciti dal compartimento stagno. Il tubolare è staccato!…

Miles si sintonizzò su quel canale ed ebbe un'immagine video: una navetta s'era staccata dalle flange di tribordo della Triumph, e stava accelerando per allontanarsi nello spazio. Con un'imprecazione fece il codice della centrale di tiro.

— Non aprite il fuoco su quella navetta! Ripeto, non aprite il fuoco!

— Uh… — rispose la voce di un tecnico. — Sissignore. Non aprire il fuoco.

Perché nel subconscio di Miles stava nascendo l'impressione che la centrale di tiro non avrebbe aperto il fuoco comunque? Chiaramente quella era una fuga ben organizzata. Ora si preannunciava una sgradevole caccia alle streghe. Chiamò l'ufficialessa alle comunicazioni, in plancia. — Mi metta in contatto con quella navetta. — Avrei dovuto mandare qualcuno di guardia anche ai portelli di attracco… Ma ormai era troppo tardi.

— Signore, li sto chiamando, ma non rispondono.

— In quanti sono a bordo?

— Parecchi, sembra. Nessuno sa quanti di preciso.

— Mi metta in linea. Devono ascoltarmi, anche se non vogliono rispondere.

— È in contatto con la loro radio di bordo, signore. Ma non so dirle se l'abbiano spenta.

— Ci proverò. — Miles fece un lungo respiro. — Ammiraglio Oser! Inverta immediatamente la rotta e torni alla Triumph. Siamo in una situazione pericolosa, e lei sta andando dritto nella zona del fuoco. Rientrate, e io personalmente vi garantisco l'incolumità.

Tung venne accanto a lui e scosse il capo. — Sta cercando di raggiungere la Peregrine. Che Dio lo maledica, se perdiamo quella nave il nostro schema difensivo potrebbe crollare.

Miles gli indicò lo schermo tattico. — No, non credo. Abbiamo tenuto la Peregrine più indietro proprio perché la sua affidabilità era incerta.

— Sì, ma se la Peregrine ci lascia posso dire il nome di altri tre capitani che faranno lo stesso. E se perdiamo quattro navi…

— I Rangers decideranno che la situazione è troppo dura, malgrado i loro comandanti vervani, e allora saremo messi molto male. Sì, è vero. — Miles continuò a guardare lo schermo tattico. — Santo cielo, non credo che ce la farà. Guarda! … Ammiraglio Oser! Mi sente?

— Oh, Cristo! — Tung tornò a sedersi al suo posto. Quattro incrociatori leggeri cetagandani stavano stringendo su un lato della Flotta Dendarii, mentre un quinto puntava dritto verso il suo centro, evidentemente in cerca di uno scontro ravvicinato in cui far uso della lancia gravitazionale. Fu quest'ultimo che di passaggio sparò con un'arma al plasma contro la navetta, distante non più di quindicimila chilometri. Sullo schermo ci fu una scintilla. Nient'altro che una scintilla.

— Non sapeva che i cetagandani stavano attaccando. Se n'è accorto solo dopo la fuga — mormorò Miles. — Buon piano, cattiva scelta di tempo… ma avrebbe potuto invertire la rotta, invece ha deciso di tentare… — Oser aveva fatto il suo gioco e perso. Lo si poteva considerare un argomento consolante?

I cetagandani non spinsero l'attacco alle estreme conseguenze, com'era prevedibile, e venti minuti dopo si ritirarono di nuovo. Il conto delle perdite fu leggermente a favore dei Dendarii. Tre astronavi degli invasori furono danneggiate e una completamente distrutta. I canali radio dei Dendarii e dei Rangers erano intasati dalle voci frenetiche delle squadre di rilevamento danni. Nessuna nave era andata perduta, ma quasi tutte avevano incassato colpi a bordo: motori fuori uso, impianti elettrici in cortocircuito, griglie gravitazionali sconnesse, sistemi d'arma coi sensori bruciati, forti cali di potenza negli accumulatori. L'elenco era lungo. Il prossimo attacco sarebbe stato molto più devastante.

Possono permettersi di perdere tre navi per ognuna delle nostre. Se continuano a ricevere rinforzi e a venirci addosso, l'esito è ormai scontato, rifletté freddamente Miles. A meno che non arrivino rinforzi anche per noi.

Trascorsero le ore, mentre i cetagandani riorganizzavano la loro formazione. Miles lasciò la sala tattica un paio di volte per cercare di rilassarsi nella stanza di riposo, ma era troppo teso per riuscire a concedersi gli stupefacenti pisolini istantanei di Tung, della durata di quindici minuti esatti. E sapeva che l'eurasiatico non fingeva quella flemma per rinfrancare il morale degli altri; nessuno avrebbe russato in quel modo disgustoso solo per finta.

Il teleradar a lunghissima portata dava la possibilità di vedere i rinforzi cetagandani in uscita dal loro corridoio di transito, a molte centinaia di milioni di chilometri di distanza. Dovevano fare un ampio giro, perché numerosi astrocaccia vervani di stanza su un pianeta esterno continuavano a insidiare le loro navi più piccole. Quello era il tempo che avevano deciso di prendersi. Più i cetagandani aspettavano, più il loro numero cresceva. Anche se davano modo ai difensori di riparare i danni. Sicuramente a bordo della nave ammiraglia cetagandana il computer tattico aveva generato una curva di probabilità per stabilire l'optimum dell'intersezione Noi/Loro, e l'attesa era calcolata su quella stima. Se soltanto i vervani fossero stati più aggressivi nell'attaccare quella colonna di rinforzi dalla loro base planetaria…