— Nelle partite che combattiamo in sala di battaglia. Qualcun altro ha gli armadietti aperti? — L’uomo si guardò attorno. — Voglio dire, avete seguito le istruzioni e codificato la voce e l’impronta palmare? Non potrete usare le serrature finché non lo fate. Questa camerata sarà la vostra casa almeno per il primo anno, qui alla Scuola di Guerra, perciò scegliete una cuccetta e tenetevela. Di regola lasciamo che le reclute scelgano un capo-camerata, il quale prende la cuccetta inferiore accanto alla porta, ma sembra che questo posto sia già stato occupato. Ormai è impossibile ricodificare le serrature. Decidete quale compagno intendete scegliere. La cena è fra sette minuti. Seguite le tracce luminose sulla pavimentazione. Il vostro colore-codice è rosso giallo giallo… vale a dire che quando avrete ordine di seguire un percorso assegnato questo sarà rosso giallo giallo, tre linee affiancate, e andrete nella direzione che esse indicano. Qual è il vostro colore-codice, ragazzi?
— Rosso giallo giallo.
— Molto bene. Il mio nome è Dap. Nei mesi che ci attendono io sarò la vostra mammina.
I ragazzi risero.
— Ridete finché volete ma fate quello che vi dico. Se vi perderete nelle strutture della Scuola, cosa che a volte capita, non andate in giro ad aprire tutte le porte che vedete. Alcune si apriranno… ma soltanto sul vuoto. — Ci furono altre risate. — Quando capita, dite al più vicino inserviente che la vostra mammina è Dap, e mi chiameranno. O dite il vostro colore, e loro accenderanno un percorso per rimandarvi a casa. Se avete dei problemi, venite a parlarne con me. Ricordate sempre che qui dentro io sono l’unica persona pagata apposta per essere simpatico con voi. Ma simpatico fino a un certo punto. Fatemi uno sgarbo e io vi romperò la faccia. D’accordo?
Di nuovo tutti risero. Dap aveva una camerata piena di amici. I ragazzini spaventati sono facili da conquistare.
— Qualcuno di voi sa dirmi da che parte è il basso?
Le loro voci gli risposero in coro.
— Certo, è proprio così. Ma questa direzione indica soltanto l’esterno. La stazione sta ruotando, e l’effetto fa sì che questo sia il basso. In realtà il pavimento su cui state è curvo. Se lo seguite finirete per ritrovarvi nello stesso posto da cui siete partiti. Ma non provateci, perché in quella direzione ci sono le stanze degli insegnanti, e in quella opposta le camerate dei ragazzi più grandi. E ai ragazzi più grandi non piace ritrovarsi fra i piedi voialtri pivelli. Potrebbero farvi qualche brutto scherzo. Anzi, i brutti scherzi vi saranno fatti. E quando questo accadrà non venite a piangere da me. Capito? Questa è la Scuola di Guerra, non un asilo infantile.
— Ma allora cosa dovremo fare? — chiese un ragazzino, un soldo di cacio dalla pelle nera che occupava la cuccetta superiore accanto a quella di Ender.
— Se c’è qualcuno a cui i soprusi non piacciono, pensi lui stesso al modo di difendersene. Ma vi avverto: l’assassinio è tassativamente proibito. E così anche le ferite inferte deliberatamente. Mi è stato detto che fra voi c’è già stato un tentativo di omicidio. Un braccio rotto. Se una cosa del genere capita di nuovo, qualcuno finirà congelato. Mi avete inteso?
— Cosa significa congelato? — domandò il ragazzino col braccio immobilizzato nella steccatura.
— Congelato. Sbattuto fuori nello spazio. Rimandato sulla Terra. Comunque, con la Scuola di Guerra avrà chiuso.
Nessuno guardò dalla parte di Ender.
— Così, pivelli, se qualcuno di voi sta pensando di andare in cerca di guai, qui dentro, farà meglio a darsi una regolata. Chiaro?
Dap uscì. Gli occhi dei ragazzi continuarono a evitare Ender.
Ma d’improvviso lui aveva sentito la mano gelida della paura attanagliarlo allo stomaco. Il ragazzo a cui aveva spezzato il braccio… non provava alcun rimorso per averlo fatto. Era un altro Stilson. E come Stilson stava già radunando una piccola banda attorno a sé. Un pugno di ragazzini, quelli fra i più robusti. Stavano ridendo fra loro sul fondo della camerata, e ogni tanto uno si voltava a guardare Ender.
Lui sentì un desiderio struggente di tornare a casa. Cos’avevano a che fare loro col fatto di salvare il mondo? Non c’erano monitor, adesso. Era di nuovo lui, da solo, contro una banda di ragazzini, con la differenza che ora li aveva proprio nella sua stanza. Di nuovo Peter, ma senza Valentine.
La paura continuò a tormentarlo durante la cena, quando nessuno sedette accanto a lui nella sala mensa. Gli altri chiacchieravano di varie cose: il grande schermo a una delle pareti, il cibo, i ragazzi più grandi. Ender, nel suo isolamento, poté soltanto guardarsi attorno.
Sullo schermo apparivano i nomi delle squadre in gara. Le vittorie, le sconfitte e i punteggi raggiunti. Gli parve che alcuni dei ragazzi più grandi avessero fatto delle scommesse sulle ultime competizioni. Due squadre, le Mantidi e le Vipere, non avevano punteggi recenti ma i loro nomi lampeggiavano. Ender decise che stavano gareggiando proprio in quel momento.
Aveva già notato che i ragazzi più anziani erano suddivisi in gruppi, a seconda delle uniformi che indossavano. Alcuni con uniformi diverse parlavano fra loro, ma in generale ciascun gruppo disponeva di una propria zona. I pivelli (i suoi compagni, più due o tre gruppi appena di poco più anziani) portavano tute di un uniforme colore azzurro. Ma i ragazzi più grandi, quelli suddivisi in squadre, esibivano indumenti multicolori e sgargianti. Ender cercò di capire da essi quali fossero i loro nomi. Api e Ragni erano facili da indovinarsi. E così anche le Fiamme e le Onde.
Un ragazzo più alto venne a sedersi al suo fianco. Non era soltanto più alto: dimostrava dodici o tredici anni. La sua corporatura era già quella di un adulto.
— Ehilà — disse.
— Ehilà — rispose Ender.
— Io mi chiamo Mick.
— Io Ender.
— Di cognome?
— No. Fin da piccolo mia sorella mi chiamava così.
— Non è un nome malvagio, qui dentro. Ender… quello che finisce, eh?
— Così spero.
— E sei tu lo Scorpione del tuo gruppo, Ender?
Lui scrollò le spalle.
— Mi sono accorto che ti fanno mangiare da solo. Ogni mandata di pivelli ne ha uno così. Uno che tutti gli altri scansano. A volte penso che gli insegnanti lo facciano apposta. Qui gli insegnanti non sono esattamente dei simpaticoni. Lo avrai notato.
— Già.
— Allora, sei tu lo Scorpione?
— Così credo.
— Ehi! Non è il caso di piangerci sopra, ti pare? — Prese il budino di Ender, e gli diede in cambio la sua brioche. - Tutta roba nutriente, qui. Vogliono farci crescere robusti. — Mick attaccò di gusto il budino.
— Tu di che gruppo sei?
— Io? Di nessuno. Sono uno stronzo nell’impianto dell’aria condizionata.
Ender cercò di sorridere volonterosamente.
— Divertente, già, ma non è uno scherzo. Io non combino niente di buono qui dentro. E ora sono cresciuto. Molto presto mi spediranno alla mia prossima scuola. Solo che non sarà la Scuola Ufficiali, ci puoi scommettere. Non sono mai stato portato a comandare, capisci? E soltanto chi ha doti di comando ha una possibilità di arrivare là.
— Come si fa per dimostrare doti di comando?
— Eh! Se lo sapessi, ti pare che sarei ancora dove sono? Quanti ragazzi alti come me vedi, qui dentro?
Non molti, notò Ender, ma non lo disse.
— Pochi, vero? Non sono io il solo già mezzo congelato, cibo da Scorpioni. Siamo in pochi. Gli altri bei tipi… quelli sono tutti al comando di un’orda. Tutti quelli arrivati qui con me adesso hanno la loro orda. Io no.
Ender annuì.
— Ascoltami, ragazzino. Voglio insegnarti una cosa. Fatti degli amici. Diventa un capo. Lecca pure il culo a qualcuno, se dovrai farlo, ma attento che se gli altri cominciano a disprezzarti… capisci cosa voglio dire?