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— Bonzo non ha intenzione di addestrarti. Ciò che farà è di ordinarti di portare il tuo banco anche in sala di battaglia, perché tu studi anche là. In un certo senso ha ragione… non vuole che un marmocchio ignorante rovini la precisa meccanica delle sue manovre. — La sua voce si deformò nell’imitazione della parlata di chi non conosceva né l’inglese né l’interlingua: — Bonzo, lui così pre-cizo. Lui così curato. Lui piscia dentro piatto senza che una goccia va fuori!

Ender sogghignò.

— La sala di battaglia è aperta a orario continuato. Se ti va, potremmo andarci nelle ore in cui non c’è nessuno e ti insegnerò quello che so. Io non sono un gran soldato, però sono in gamba, e conosco un bel po’ di cose che tu non sai.

— Se hai tempo — annuì Ender.

— Domattina dopo colazione, allora.

— E se qualcun altro sta usando la sala? Il mio gruppo ci andava sempre, dopo colazione.

— Nessun problema. Le sale di battaglia sono sette.

— Non mi avevano detto dell’esistenza delle altre.

— Il locale d’ingresso è unico per tutte. Le sale di battaglia si trovano nel centro esatto della Scuola, al mozzo della ruota. E non ruotano con il resto della stazione. Ecco perché l’assenza di peso, lo zero-G, è totale. Niente impulso centrifugo, niente alto e basso. Le sette sale sono piazzate intorno al mozzo, che è il corridoio d’ingresso comune. Una volta lì dentro lo fanno girare, così alla porta ti si presenta la sala che desideri.

— Ah!

— Domani al termine della colazione, come ho detto.

— D’accordo — rispose Ender.

Lei cominciò ad allontanarsi.

— Petra — la fermò.

La ragazzina si volse a guardarlo.

— Grazie.

Lei non disse nulla. Ebbe appena un cenno del capo e poi se ne andò a passi svelti.

Ender risalì sulla cuccetta e si tolse la tuta, poi giacque nudo sul materasso con il banco elettronico girato davanti a sé, riflettendo sulla possibilità che avessero messo le mani sui suoi codici d’accesso. Era quasi certo che il suo sistema di sicurezza fosse stato tolto di mezzo. Non poteva possedere niente lì, neppure il suo banco.

Le luci si abbassarono leggermente. Era quasi l’ora di dormire. Ender domandò dove fossero i gabinetti.

— Esci e vai a sinistra — disse il ragazzo della cuccetta accanto. — Li abbiamo in comuni coi Topi, i Condor e gli Scoiattoli.

Ender lo ringraziò e fece per avviarsi.

— Ehi — lo richiamò l’altro. — Non puoi uscire a quel modo. Fuori dalla camerata l’uniforme è obbligatoria.

— Anche per andare ai gabinetti?

— Soprattutto questo. E non puoi neppure rivolgere la parola ai membri di un’altra orda. Né a mensa né ai gabinetti. A volte si può farlo in sala giochi, e naturalmente quando un insegnante te lo chiede. Ma se ti pesca Bonzo sei morto, capito?

— Grazie.

— E un’altra cosa: Bonzo ti mangia vivo se ti scopre a… fare giochetti con Petra.

— Eppure era nuda quando sono entrato, no?

— Lei fa quel che vuole, ma tu devi vestirti. Ordini di Bonzo.

Era una stupidaggine. Petra aveva ancora l’aspetto di un ragazzino, perciò l’ordine era assurdo. Questo la isola, la rende diversa, divide l’orda. Stupido, stupido. Come aveva fatto Bonzo a diventare comandante se non riusciva a pensarne una migliore? Alai sarebbe un comandante più capace di Bonzo. Lui sa come tenere unito un gruppo.

E anch’io so come unire la gente in un gruppo, continuò a pensare Ender. Forse sarò comandante, un giorno o l’altro.

Era nelle docce che si lavava le mani quando qualcuno gli rivolse la parola. — Ehi, tu, non mi dire che adesso le Salamandre allevano poppanti!

Ender non rispose e andò ad asciugarsi le mani.

— Ehi, guardate un po’! Le Salamandre arruolano anatroccoli. Quello potrebbe passarmi fra le gambe senza toccarmi le palle!

— Questo è perché non le hai, Dink, ecco perché — ridacchiò un altro.

Mentre Ender usciva dal locale sentì una terza voce dire: — Lui è Wiggin. Quello che ha stracciato Waldrop in sala giochi, ricordi?

Allontanandosi lungo il corridoio s’accorse di sorridere. Lui è piccolo, certo, ma loro ricordano il suo nome. In sala giochi, naturalmente, perciò non significa nulla. Ma lo vedranno. Diventerà un buon soldato, anche. Presto tutti conosceranno il suo nome. Non nell’orda delle Salamandre, forse, ma abbastanza presto.

Petra era già in attesa nel corridoio che portava alla sala di battaglia. — Aspettiamo qui — disse a Ender. — L’orda delle Lepri sta arrivando proprio ora, e occorre qualche minuto per girare la porta sulla sala di battaglia successiva.

Ender sedette accanto a lei, per terra. — C’è dell’altro circa le sale di battaglia, oltre a questo fatto di passare da una a quella che segue — disse. — Ad esempio, perché qui nel corridoio c’è la gravità, mentre appena oltre quella porta si va subito a zero-G?

Petra chiuse gli occhi. — E se le sale di battaglia sono davvero isolate dal resto della stazione, cosa succede quando una viene collegata alla porta? Perché non comincia a muoversi secondo la rotazione della Scuola?

Ender annuì gravemente.

— Questi sono i grandi misteri — disse Petra in un drammatico sussurro. — Non cercare di svelarli. Cose terribili accaddero all’ultimo soldato che osò ficcarci il naso. Fu ritrovato appeso per i piedi al soffitto del gabinetto, con la testa infilata nella tazza.

— Allora non sono il primo che fa queste domande.

— Una cosa devi tenere a mente, pivello. — Detto da lei l’appellativo suonò amichevole, non più sprezzante. — Loro non ti diranno mai più verità di quanto non siano costretti a fare. Ma perfino i bambini dell’asilo sanno che la scienza ha fatto grandi passi dai giorni del vecchio Mazer Rackham e della Flotta Vittoriosa. È ovvio che adesso possiamo controllare la gravità. Accenderla e spegnerla, cambiarne la direzione, forse rifletterla. … ho pensato a un sacco di cose veramente forti che potresti fare, con armi antigravità e con motori gravitazionali sulle astronavi. E pensa a come potrebbero manovrare in vicinanza dei pianeti. Magari usando la gravità planetaria stessa per accelerare, oppure come energia per le apparecchiature. Ma loro non dicono niente.

Le riflessioni di Ender andavano più in là. Manipolare la gravità era una cosa basilare, ufficiali che tenevano segreti dei dati scientifici era una cosa grave, ma il messaggio che Petra gli stava inviando era questo: i nostri nemici sono gli adulti, non le altre orde. Loro non ci dicono la verità.

— Avanti, pivello, la sala di battaglia è calda. La mano di Petra è salda. Davanti a noi il nemico si sfalda. — Ridacchiò. — Petra la poetessa, ecco come mi chiamano.

— Dicono anche che sei matta come un cavallo.

— E tu galoppa dietro di me, puledro — esclamò lei, entrando nel vastissimo locale.

Ender la seguì. La ragazzina aveva un contenitore con dieci palle-bersaglio. Quando le tirò, ciascuna in una diversa direzione, lui si aggrappò alla ringhiera con una mano e la tenne ferma con l’altra, per impedirle di fluttuare via. In assenza di gravità le palle cominciarono a rimbalzare velocemente da tutte le parti.

— Lasciami — disse lei. Si diede una spinta, deliberatamente casuale; agitando un braccio si mise in assetto stabile, poi estrasse la pistola e la puntò su un bersaglio dopo l’altro. Quando colpiva una palla il suo colore da bianco diventava rosso. Ender sapeva che entro due minuti esatti i bersagli centrati sarebbero tornati al colore originale. Soltanto una delle palle era ridiventata bianca allorché Petra riuscì a colpire l’ultima.