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La ragazzina eseguì un rimbalzo calcolato contro una parete e si spinse velocissima verso Ender. Lui ammortizzò il suo impatto e le impedì di rimbalzare ancora, una delle prime tecniche che aveva imparato col suo gruppo.

— Sei brava — le disse.

— Nessuno è migliore di me. E tu stai per apprendere alcuni piccoli segreti del mestiere.

Come inizio Petra gli insegnò che il braccio armato andava tenuto dritto, per mirare con tutta la sua lunghezza. — Una cosa che molti soldati non capiscono mai è che più il bersaglio è lontano, più a lungo devono tenervi puntato contro il raggio, perché pur ristretto esso si allarga a cono. La differenza in più è di pochi decimi di secondo, ma in una battaglia questo è un tempo lungo. Molti soldati credono di aver sbagliato mira dopo aver colpito il bersaglio, invece hanno solo distolto il raggio troppo presto. Così non puoi usare la tua pistola come una spada swish-swish-spaccali-in-due. Devi mirare colpo per colpo.

Premendo un pulsante richiamò le palle presso la porta, poi le rilanciò lentamente, una alla volta. Ender puntò e sparò. Le sbagliò tutte.

— Benone — disse lei. — Vedo che non hai automatismi sbagliati.

— Non ho neppure quelli buoni — borbottò lui.

— Quelli te li darò io.

Quella prima mattina non realizzarono molto. Per lo più parlarono: come puoi continuare a pensare mentre prendi la mira. La necessità di visualizzare il movimento dell’avversario e il tuo raffrontandoli incessantemente. Devi sempre tenere il braccio teso in avanti, imparando a mirare girando tutto il corpo, così se ti congelano riuscirai ancora a sparare. Calcola dove il grilletto scatta e tienilo sul filo di quel punto, così non sarai costretto a tirarlo del tutto se ti trovi davanti un nemico all’improvviso. Rilassati, impara a respirare, la tensione fisica causa errori di mira.

Fu il solo addestramento che Ender ebbe per quel giorno. Nel pomeriggio, durante le esercitazioni dell’orda, gli fu ordinato di portarsi dietro il banco e di fare i compiti di scuola seduto in un angolo della sala. Bonzo voleva l’orda al completo in sala di battaglia, ma non era tenuto a usare tutti i soldati.

Ender tuttavia lasciò perdere i compiti. Se non gli veniva dato l’addestramento militare, poteva approfittarne per studiare almeno le tattiche di Bonzo. L’orda delle Salamandre era divisa, come di regola, in quattro branchi di dieci soldati ciascuno. Alcuni comandanti li organizzavano in modo che il branco A fosse quello coi migliori combattenti, mentre nel branco D c’erano i peggiori. Bonzo li aveva mescolati, cosicché ognuno era composto di soldati abili e soldati scadenti.

Con la sola differenza che adesso il branco B aveva soltanto nove ragazzi. Ender si chiese chi mai fosse stato trasferito per lasciare il posto a lui. Presto gli fu chiaro che il capo del branco B era nuovo a quel compito. Nessuna meraviglia che Bonzo fosse così seccato: aveva perso un capobranco per vedersi arrivare Ender.

E Bonzo aveva ragione su un’altra cosa: Ender non era pronto. Tutto il tempo degli allenamenti era dedicato a lavorare sulle manovre. Branchi che non potevano vedersi l’un l’altro mettevano in atto operazioni coordinate con precisione cronometrica, o si regolavano sulla posizione altrui per effettuare imprevisti mutamenti direzionali senza scomporre la formazione. Da tutti questi soldati ci si aspettavano come scontate delle capacità che Ender non aveva. L’istinto di un atterraggio morbido e senza rimbalzi, la precisione di volo, la capacità di sfruttare come ripari i soldati congelati che fluttuavano a caso attraverso il locale. Roteare, spingersi via, schivare. Scivolare lungo le pareti, manovra questa difficile quanto preziosa, che consentiva il continuo contatto con una superficie utile.

E mentre si rendeva conto di quante fossero le cose che non sapeva, Ender ne vide altre che avrebbe potuto perfezionare. La manovra in formazioni prestabilite era un errore. Permetteva ai soldati di ricevere ed eseguire immediatamente gli ordini a voce, ma li rendeva anche molto più prevedibili. Inoltre ai singoli elementi era concessa poca iniziativa. Una volta che uno schema era ritenuto valido, c’era l’obbligo di seguirlo dall’inizio alla fine. Questo non lasciava spazio alle improvvisazioni, necessarie allorché il nemico si rivelava più capace del previsto. Ender analizzava le manovre di Bonzo come l’avrebbe fatto un comandante avversario, prendendo nota dei loro punti deboli.

Durante la partita libera di quella sera Ender chiese a Petra di giocare con lui.

— No — disse alla ragazzina. — Io voglio diventare comandante un giorno o l’altro, perciò ho intenzione di cimentarmi solo in sala giochi.

Era convinzione comune che gli insegnanti spiassero elettronicamente le partite, e scegliessero lì i potenziali comandanti. Ender ne dubitava. I giocatori si esibivano su una macchina, i capibranco potevano mostrare sul campo le loro capacità di comando.

Ma non volle discutere con Petra. La sua offerta di fargli fare un po’ di pratica era generosa. Tuttavia, quel breve allenamento dopo colazione non gli bastava. E non poteva esercitarsi da solo, salvo che in certe attività di base. Molte delle sue attività più complesse richiedevano un compagno o una squadra. Se soltanto avesse avuto Alai o Shen…

Be’, cosa gli impediva di allenarsi con loro? Non aveva mai sentito di un membro di un’orda che andasse a far pratica coi novellini, però non c’erano regole che lo vietassero. Semplicemente, visto il generale disprezzo per i pivelli, nessuno s’era mai abbassato a tanto. Ender si disse che comunque l’orda avrebbe continuato a trattarlo come un pivello. A lui interessava avere qualcuno con cui esercitarsi, uno al quale avrebbe potuto dare in cambio ciò che apprendeva osservando l’orda.

— Ehi, il grande soldato è di ritorno! — fu il saluto con cui lo accolse Bernard, quando lo vide comparire sulla soglia della sua vecchia camerata. Mancava da appena ventiquattr’ore ma già gli sembrava che il posto avesse qualcosa di estraneo, e così anche i ragazzini con cui aveva vissuto fianco a fianco. Per un attimo fu tentato di voltarsi e di andarsene. Ma poi vide il volto di Alai, con cui aveva stretto un sacro patto di amicizia. Alai non era un estraneo.

Ender non si curò affatto di nascondere il modo in cui era trattato nell’orda delle Salamandre. — E non hanno torto — disse poi. — Io servo loro come uno sternuto in una tuta spaziale. — Alai rise, e altri del gruppo si fecero loro attorno. Ender propose il suo affare: partite libere ogni giorno, lavorando sodo in sala di battaglia sotto la sua direzione. Loro avrebbero appreso comportamenti e tecniche usate dalle orde in battaglia, lui si sarebbe impratichito nelle capacità militari che gli servivano. — Potremo migliorare insieme. D’accordo?

I ragazzi che accettarono subito furono parecchi. — A patto — disse però lui, — che veniate per lavorare. Chi ha soltanto voglia di svagarsi, è escluso. Io non ho tempo da gettar via.

Non fu gettato via, infatti, il tempo di quelli che lo seguirono in sala di battaglia. Ender ebbe delle difficoltà a far visualizzare loro gli addestramenti a cui aveva assistito, nuovi per tutti. Ma al termine della prima partita libera i ragazzi avevano imparato diverse cosette. Quando se ne andarono, sfiniti, già si eccitavano nel discutere questa o quella tecnica.

— Dove sei stato? — fu la domanda con cui lo accolse Bonzo.

Davanti alla cuccetta del comandante Ender si mise sull’attenti. — A far pratica in sala di battaglia, signore.

— Sì? Mi è stato detto che avevi con te alcuni dei tuoi ex compagni.

— Non potevo esercitarmi da solo.

— I soldati dell’orda delle Salamandre non devono far comunella con i novellini. E tu sei soldato, adesso.

Ender lo fissò senza aprir bocca.

— Mi stai ascoltando, Wiggin?