— Sì, signore.
— Niente più trasgressioni con quei pidocchietti merdosi.
— Posso parlarti privatamente? — domandò Ender.
Era un genere di richiesta che i comandanti dovevano accogliere. Bonzo non nascose un’espressione irritata, ma precedette Ender nel corridoio esterno. — Apri bene gli orecchi, Wiggin. Io non ti voglio, e sto cercando di liberarmi di te. Ma provati a darmi dei problemi e io ti faccio passare attraverso questo muro.
Un buon comandante, pensò Ender, non ha bisogno di fare queste stupide minacce.
Seccato dal suo silenzio Bonzo emise un grugnito. — Allora, mi hai fatto venire qui solo per rimirarmi? Sentiamo cos’hai da dire.
— Comandante, hai fatto bene a non aggregarmi a un branco. Io non so far niente.
— Non ho bisogno delle tue opinioni su quello che faccio, Wiggin.
— Però io intendo diventare un buon soldato. Non voglio disturbare le vostre esercitazioni giornaliere, ma ho necessità di far pratica, e posso farla soltanto con quelli che accettano di esercitarsi con me. I miei ex compagni.
— Tu farai quello che dico io, piccolo bastardo!
— Certo, signore. Io eseguirò tutti gli ordini che sei autorizzato a darmi. Ma la partita libera è libera. Non possono essere imposte delle restrizioni. Nessuna. E da nessuno.
Il bel volto di Bonzo fu deformato da una smorfia di furore. Lasciarsi andare a emozioni così accese era uno sbaglio. Ender lo sapeva, ed era freddo, e sapeva come usare la sua freddezza. Bonzo prendeva fuoco, ed era la rabbia a usare lui.
— Signore, questa carriera l’ho scelta liberamente. Non voglio interferire coi vostri allenamenti e le vostre battaglie, ma ho il diritto d’imparare. Non ho chiesto io d’essere assegnato alla tua orda, e tu stai cercando di vendermi al più presto. Però nessuno mi acquisterà se non so fare niente, no? Lasciami imparare qualcosa, e questo ti aiuterà a liberarti di me in minor tempo e a scambiarmi con qualcuno che ti sarà veramente utile.
Bonzo non era così sciocco da lasciare che l’ira gli impedisse di riconoscere un’osservazione logica e sensata. Ma questo non bastò a fargliela sbollire del tutto.
— Chi indossa l’uniforme delle Salamandre non deve azzardarsi a discutere i miei ordini, bamboccio!
— Alterare le partite libere di qualcuno può costare il congelamento.
Questo probabilmente non era vero. Ma era possibile. Certo, se Ender avesse fatto un esposto agli insegnanti, l’aver interferito con le sue partite libere poteva costare a Bonzo il grado di comandante. Inoltre era ovvio che gli ufficiali dovevano aver visto qualcosa in Ender, per avergli dato quella promozione. Forse Ender aveva abbastanza influenza presso gli ufficiali da ottenere il congelamento di qualcuno. — Bastardo! — ringhiò Bonzo.
— Non è colpa mia se mi hai dato quell’ordine davanti a tutti — disse Ender. — Ma se vuoi, adesso fingo di andarmene a letto con la coda fra le gambe. E domani potrai informarmi che hai cambiato idea.
— Sei così presuntuoso da suggerire a me come mi devo comportare?
— Non voglio che gli altri ti vedano costretto a far marcia indietro. Altrimenti non potresti conservare la tua autorità.
Quella cortesia Bonzo se la legò al dito come uno sgarbo, quasi che Ender gli avesse concesso a titolo di favore di non perdere la faccia con gli altri. Lo fissò con odio, conscio che pur dandogli una scappatoia quel novellino non gli lasciava scelta. E non stette a pensare che la colpa era sua, per avergli dato un ordine irragionevole. Sapeva solo che Ender lo aveva messo alle strette, e che adesso si degnava d’essere magnanimo con lui.
— Un giorno o l’altro avrò le tue palle su un vassoio — disse Bonzo.
— Probabilmente — annuì lui. Le luci si abbassarono e un cicalino ronzò il segnale della ritirata. Ender rientrò nel dormitorio a capo chino. Irritato. Mogio mogio. Gli altri ragazzi poterono trarne le ovvie conclusioni.
Il mattino successivo, mentre Ender si metteva in fila coi compagni diretti a far colazione, Bonzo gli ordinò di fare un passo avanti e disse, a voce alta: — Ho cambiato idea, ragazzo. Forse far pratica con i tuoi vecchi compagni ti insegnerà qualcosa, e potremo imbrogliare l’orda a cui ti venderemo dicendo che almeno due soldi li vali. D’accordo?
— Sissignore. Grazie, signore — disse lui.
— E spero — sussurrò Bonzo, — di vederti finire congelato.
Ender gli rivolse un sorriso di gratitudine e uscì con gli altri. Dopo colazione fece ancora pratica con Petra. Per tutto il pomeriggio assisté alle esercitazioni di Bonzo e ipotizzò metodi per distruggere la sua orda. Durante la partita libera lavorò con Alai e gli altri finché furono esausti. Posso farcela, si costrinse a pensare quella sera lasciandosi cadere sulla cuccetta. Aveva i muscoli a pezzi. Posso tenere in pugno questa cosa.
Quattro giorni dopo l’orda delle Salamandre entrò in campo contro l’orda dei Condor. Ender sfilò nei corridoi con gli altri soldati, marciando al passo verso la sala di battaglia. Sulle pareti scorrevano due striscie luminose, la verde verde marrone delle Salamandre e la bianca nera bianca dei Condor. Nel corridoio centrale le due striscie si separarono, e le Salamandre seguirono i loro colori in una diramazione. Dopo un’ultima svolta a destra l’orda si fermò davanti a una parete nuda.
I branchi serrarono i ranghi in silenzio, mentre Ender restava in coda alla formazione. Bonzo mitragliava già i primi ordini: — A, predere per il corrimano e andare su, B a sinistra, C a destra, D in basso. — Controllò che gli uomini fossero pronti, poi si volse. — Tu, pivello, aspetta quattro minuti poi entra e fermati a lato della porta. Non muoverti e non estrarre la pistola.
Ender annuì. Ad un tratto la parete davanti a Bonzo diventò trasparente. Non era un muro dunque, ma un campo di forza. Anche la sala di battaglia che vide era diversa. Nell’aria erano sospesi cassoni poligonali di colore marroncino, che ostruivano in parte la visuale. Dunque quelli erano gli ostacoli che i soldati chiamavano stelle. Apparentemente erano distribuiti a caso. Bonzo sembrò non preoccuparsi della loro dislocazione, così Ender pensò che i soldati sapevano già quale uso fare delle stelle.
Ma quasi subito, mentre sedeva in corridoio a osservare l’inizio delle ostilità, gli fu chiaro che non lo sapevano affatto. Non erano capaci di compiere un atterraggio morbido su una di esse e sfruttarla per coprirsi, quando dovevano attaccarla per distruggere un avamposto nemico attestato sul retro. Non avevano il senso di quello che era al momento il valore strategico di una stella: insistevano ad attaccare anche quelle che avrebbero potuto lasciarsi alle spalle per conquistare posizioni più avanzate.
L’altro comandante stava approfittando delle manchevolezze strategiche di Bonzo. L’orda dei Condor invitava le Salamandre a effettuare attacchi che costavano loro un prezzo eccessivo, e dopo aver conquistato una stella erano sempre meno gli uomini non congelati che si spingevano verso la successiva. Dopo cinque o sei minuti soltanto fu evidente che l’orda delle Salamandre non poteva vincere insistendo in quell’attacco.
Ender oltrepassò la porta. In assenza di peso si spinse leggermente verso il basso. Le sale di battaglia in cui s’era esercitato avevano l’ingresso al livello del pavimento. Negli scontri fra orde questo era invece al centro di una parete, equidistante dalle altre quattro.
In pochi istanti il suo senso dell’orientamento cambiò come gli era accaduto la prima volta nella navetta. Quello che era stato il basso diventava a piacere l’alto, oppure un lato. A zero G non c’era motivo di restare orientato secondo i punti cardinali del corridoio, e poiché la porta era quadrata gli era già impossibile dire dov’era stato l’alto. Non che questo importasse. Ender aveva stabilito su quale parametro un soldato doveva regolarsi: la porta d’ingresso del nemico era giù. L’obiettivo della battaglia stava nel cadere verso le postazioni avversarie.