— Adesso sei tu il suo monitor — disse Peter. — Ti consiglio di sorvegliarlo, giorno e notte. Non perderlo mai di vista.
— Ender e io non siamo stupidi. Sappiamo fare i nostri progetti come te. Meglio di te in certe cose. Siamo tutti bambini così meravigliosamente intelligenti, no? Tu non sei il più furbo, Peter, sei soltanto il più grosso.
— Oh, lo so. Ma verrà il giorno in cui dimenticherai, e non sarai accanto a lui. E all’improvviso ricorderai, e correrai a cercarlo, e lui sarà lì sano e tranquillo. E la volta dopo non ti affretterai tanto, e non lo cercherai così in fretta. E ogni volta lui sarà sano e tranquillo. E crederai che io abbia dimenticato tutto. Anche se ripenserai a quel che sto dicendo adesso, dirai a te stessa che io ho dimenticato. E passeranno gli anni. E poi accadrà un terribile incidente, e sarò io a trovare il suo cadavere, e piangerò e singhiozzerò su di lui, e tu ricorderai questa conversazione, Vally, ma nel ricordarla avrai vergogna dei tuoi sospetti perché saprai che io sono cambiato, che è stato davvero un incidente, che da parte tua è crudele ripensare alle parole che ho detto durante una lite da bambini. Salvo che sarà tutto vero. Io avrò mantenuto la promessa, e lui sarà morto, e tu non farai niente di niente. E continuerai a credere che io sono soltanto il più grosso di noi.
— Il più grosso pezzo di cacca — disse Valentine.
Peter balzò in piedi e si mosse verso di lei. Valentine lo evitò correndo di lato. Ender si strappò via la maschera. Ma Peter si gettò lungo disteso sul suo letto e cominciò a ridere, forte e con vero divertimento, finché ebbe gli occhi colmi di lacrime. — Oh, voialtri due siete proprio dei super-poppanti, davvero, i più grossi poppanti del sistema solare.
Ender si alzò in piedi, lo guardò ridere e pensò a Stilson, pensò a quel che aveva provato nel prendere a calci il suo corpo. Lui era quello che ne aveva bisogno. Lui era quello a cui avrei dovuto farlo.
Come se gli avesse letto nella mente, Valentine sussurrò: — No, Ender.
Con una rapida contorsione Peter si volse, balzò giù dal letto e si mise bellicosamente in posa. — Oh, sì, Ender — disse. — Quando vuoi, Ender.
Ender alzò il piede destro e si tolse la scarpa. Gliene mostrò la punta. — Vedi cosa c’è qui sulla suola? Questo è sangue, Peter.
— Oooh! Oooh, sto per morire, sto per morire! Ender ha massacrato a calci un pomodoro, e ora sta per uccidere anche me.
Non c’era niente da fare con lui. Peter aveva il cuore di un omicida, e soltanto Valentine e Ender sapevano fino a che punto questo fosse vero.
La loro madre tornò a casa e compatì dolcemente Ender per la perdita del monitor. Rientrò anche il padre, e il suo commento fu che quella era una piacevole sorpresa, erano fortunati ad avere tre figli così eccezionali, e ancor più per il fattto che il governo adesso non si sarebbe preso nessuno di loro, cosicché avrebbero potuto tenerli con loro, compreso il Terzo… finché Ender non lo interruppe gridando: — Io lo so che sono un Terzo, io lo so! E se volete me ne vado via, così non vi vergognerete più davanti a tutti. E mi dispiace che mi abbiano levato il monitor, e che non avrete più niente da dire quando vi chiederanno perché avete tre figli, e che vi metterò in imbarazzo. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…
Quella sera giacque a letto fissando il buio a occhi aperti. Nella cuccetta sopra la sua Peter tossiva e si rigirava incessantemente. Dopo un po’ il fratello scese e attraversò la camera. Ender sentì lo scroscio dell’acqua nel bagno, poi la silouette di Peter si stagliò sulla porta e i suoi passi si avvicinarono in silenzio.
Crede che io dorma. Sta per uccidermi.
Peter giunse accanto al letto, ma invece di arrampicarsi sulla cuccetta superiore si fermò. Ender lo sentì a un palmo dalla sua testa.
Non prese un cuscino per cercare di soffocarlo. In mano non aveva nulla che potesse sembrare un’arma.
Si chinò e sussurrò: — Ender, mi dispiace, scusami. So cos’hai provato, perdonami, io sono tuo fratello e ti voglio bene.
Molto tempo dopo Ender sentì il suo respiro lento e capì che s’era addormentato. Si strappò via il cerotto dalla nuca. E per la seconda volta in quel giorno pianse in silenzio.
CAPITOLO TERZO
GRAFF
— La sorella è il nostro punto più debole. Le vuol bene davvero.
— Lo so. Lei può bloccarci. Il ragazzo non vuole lasciarla.
— Perciò, cosa intendete fare?
— Lo persuaderemo che desidera venire con noi più di quanto voglia restare con lei.
— In che modo pensa di riuscirci?
— Gli mentirò.
— E se non funziona?
— Allora gli dirò la verità. Ci è concesso farlo, in caso di emergenza. Abbiamo linee di condotta pronte per ogni circostanza, lo sa.
All’ora di colazione Ender non aveva un briciolo d’appetito. Stava cominciando a chiedersi come sarebbe stata, a scuola. Affrontare Stilson dopo la zuffa del giorno prima. Cos’avrebbero fatto gli altri della sua banda? Probabilmente nulla, ma di questo non poteva essere sicuro. Scoprì che non aveva voglia di andarci.
— Ender, non hai ancora mangiato niente — disse sua madre.
Peter entrò in cucina. — Buongiorno, Ender. Grazie per aver lasciato tutti gli asciugamani bagnati, nella doccia.
— Per te farei questo ed altro — mormorò lui.
— Andrew, devi mangiare.
Ender tese un braccio e le porse la parte interna del gomito, in un gesto che diceva: allora nutritemi attraverso un ago.
— Molto divertente — sospirò sua madre. — Non c’è bisogno che io mi preoccupi per voi, vero? È bello avere figli tanto geniali.
— Sono i tuoi geni che ci hanno fatti cosi geniali, mamma — disse Peter. — Per fortuna i geni di papà quel giorno erano in ferie.
— Ti ho sentito — borbottò suo padre, senza alzare gli occhi dal video-giornale acceso sul piano del tavolo.
— In caso contrario la mia battuta sarebbe andata sprecata.
Il tavolo emise una nota musicale. Qualcuno era alla porta.
— Chi può essere? — chiese la donna al marito.
Lui sfiorò un pulsante della tastiera e sul video della cucina apparve la figura di un uomo, a mezzo busto. Indossava una uniforme, l’unica riconoscibile all’istante in tutto il pianeta: quella della Flotta Internazionale.
— Credevo che con questa faccenda avessimo chiuso — disse il padre.
Peter tacque, limitandosi a versare il latte nel suo piatto di cereali. Ma Ender s’era irrigidito. Forse oggi non dovrò andare a scuola, dopotutto.
Suo padre batté il codice d’apertura per la porta e si alzò da tavola. — Me ne occupo io — disse. — Voi fate colazione.
Gli altri annuirono, ma nessuno cominciò a mangiare. Qualche minuto dopo l’uomo riapparve sulla soglia e accennò alla moglie di seguirlo in soggiorno.
— Sei nei guai fino al collo — commentò Peter. — Hanno scoperto quel che hai fatto a Stilson, e adesso sarai deportato sulla Cintura degli Asteroidi.
— Ho soltanto sei anni, idiota. Sono troppo giovane.
— Sei un Terzo, caccola. Voi non avete diritti civili.
Valentine fece il suo ingresso in cucina, insonnolita e coi capelli scompigliati intorno al volto. — Dove sono mamma e papà? Oggi mi sento troppo male per andare a scuola.
— Un altro esame orale, eh? — chiese Peter.
— Oh, taci, Peter — disse Valentine.