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E cos’altro sta facendo? avrebbe voluto borbottare Val.

— Comunque, si è arenato. O ha mollato. Noi vorremmo spingerlo avanti, ma se lui non vuole è inutile.

— Forse farei a Ender un favore migliore se la mandassi a farsi friggere.

— Lei mi ha già dato un aiuto. Può fare di più. Gli scriva.

— Prometta che non taglierà una sola parola.

— Non sono autorizzato a promettere niente a nessuno.

— Allora se ne dimentichi.

— Nessun problema. Scriverò io la sua lettera. Possiamo far uso delle lettere precedenti per lo stile e i particolari. Semplicissimo.

— Voglio vederlo.

— Avrà la sua prima libera uscita a diciott’anni.

— Lei disse che l’avrebbe avuta a dodici.

— Abbiamo cambiato il regolamento.

— Perché dovrei aiutarvi?

— Non noi, ma Ender. Che le importa se nel farlo aiuterà anche noi?

— Che razza di cose terribili e odiose gli state facendo, lassù?

Graff ebbe una risatina. — Mia cara signorina Wiggin, le cose terribili sono ancora tutte da venire.

Ender era già alla quarta riga quando s’accorse che quella era una lettera, e non un messaggio mandatogli da un compagno della Scuola di Guerra. Gli era arrivata nel solito modo, una nota che lo aveva informato: POSTA IN GIACENZA appena aveva acceso il banco. Con un sussulto, il suo sguardo corse alla firma. Poi tornò alla prima riga e semidisteso sulla cuccetta lesse e rilesse più volte ogni parola.

ENDER,

I BASTARDI NON TI HANNO MAI CONSEGNATO UNA DELLE LETTERE CHE TI HO SPEDITO FIN’ORA. TI AVRÒ’ SCRITTO CENTO VOLTE, MA TU DEVI AVER CREDUTO CHE NON LO ABBIA MAI FATTO. IO NON TI HO DIMENTICATO. RICORDO OGNI TUO COMPLEANNO. RICORDO OGNI COSA. QUALCUNO POTREBBE PENSARE CHE POICHÉ’ STAI FACENDO IL SOLDATO ADESSO TU SIA DIVENTATO CRUDELE E SPIETATO, UNO A CUI PIACE FAR DEL MALE E COLPIRE, COME I MARINES DEI FILM, MA IO SO CHE QUESTO NON È VERO. TU NON SEI AFFATTO COME CHI-SAI-TU. LUI SEMBRA PIÙ BUONO MA INVECE DENTRO DI SÉ È SEMPRE UNA CAROGNA. FORSE TI SEI FATTO PIÙ DURO, MA QUESTO NON PUÒ INGANNARE ME. SEMPRE PAGAIANDO SULLA VECCHIA CANNA, TUTTO IL MIO AMORE E UN GROSSO BACIO

VAL

NON MI SCRIVERE. PROBABILMENTE LORO FAREBBERO LA SCHIFANALISI ALLA TUA LETTERA.

Ovviamente era stata scritta con la piena approvazione degli insegnanti. Ma non c’era dubbio che la mittente fosse Val. La deformazione della parola psicanalisi, l’epiteto carogna per Peter, il vecchio scherzo di pronunciare canna invece di canoa, erano tutte cosette che nessuno poteva sapere salvo Val.

E tuttavia quegli espedienti apparivano forzati, come se qualcuno avesse voluto studiarli per far sì che la lettere avesse un tocco di autenticità in più. Perché avrebbere dovuto esserne tanto preoccupati, se la lettera era vera?

Perché non è vera comunque. Anche se lei l’avesse scritta col suo sangue non sarebbe una cosa vera, dato che gliel’hanno fatta scrivere loro. Mi ha mandato tante lettere, e le hanno intercettate tutte. Quelle avrebbero potuto essere vere, lo erano, ma questa le è stata ordinata. Questa fa parte delle loro manipolazioni.

E quell’oscura oppressione lo sommerse di nuovo. Ora ne conosceva il motivo. Ora sapeva quali cose odiava. Non aveva alcun controllo sulla sua stessa vita. Loro programmavano tutto. Facevano tutte le scelte. Soltanto la partita libera era lasciata a lui, nulla di più; ogni altra cosa apparteneva a loro, dai regolamenti ai giochi, dalle lezioni ai programmi a lunga scadenza, e preso in quell’ingranaggio lui non poteva che continuare o cedere. L’unica cosa reale, l’unica preziosa realtà che gli restava era il ricordo di Valentine, la persona che lo amava da prima che si mostrasse abile in quei giochi bellici, che lo avrebbe amato anche se non ci fosse stata da vincere nessuna guerra contro gli Scorpioni. Ed essi avevano allungato le mani anche su di lei, l’avevano portata al loro fianco. Era una di loro, adesso.

Odiava quella gente e i loro giochi. Li odiava al punto che non seppe frenare le lacrime, con gli occhi fissi sulla lettera fatta su ordinazione. E i ragazzi dell’orda delle Fenici che se ne accorsero distolsero lo sguardo. Ender Wiggin che piangeva? Questo era preoccupante. Stava accadendo qualcosa di terribile. Il miglior soldato di tutte le orde disteso in lacrime sulla sua cuccetta. Nella camerata scese un silenzio profondo.

Ender cancellò la lettera, la spazzò via dalla sua memoria e richiamò sullo schermo la partita libera. Non sapeva bene cosa lo rendesse tanto ansioso di riprendere il gioco, di tornare alla Fine del Mondo, ma agì in modo da arrivarci senza sprecare tempo. Soltanto quando spinse lo sguardo sui colori autunnali di quel fiabesco mondo pastorale, soltanto allora capì cos’aveva detestato di più nella lettera di Val. Tutto ciò che diceva era in relazione con Peter, puntualizzava il fatto che lui non era come Peter: parole che Valentine aveva detto così spesso quando lo abbracciava per confortarlo mentre lui tremava di rabbia o di paura o di disgusto per i tormenti che il fratello gli aveva inflitto. Questo era più o meno tutto il contenuto della lettera.

E questo era ciò che loro avevano ordinato. I bastardi ne erano informati, e sapevano di Peter nello specchio della stanzetta di pietra, sapevano tutto, e per loro Val era soltanto uno strumento da usare per controllare lui, un altro trucco da mettere in atto. Dink aveva ragione: il nemico erano loro, e non amavano nessuno, e nulla gli importava, e perciò lui non avrebbe fatto quel che volevano, e di questo avrebbero potuto stare maledettamente certi. Lui aveva avuto un solo ricordo degno d’essere ricordato, una sola cosa buona, e quei bastardi l’avevano preso e mescolato al resto del loro concime… e così lui era finito, e avrebbe messo fine al gioco.

Come sempre nella stanza in cima alla torre c’era ad attenderlo il lungo serpente, e al suo arrivo srotolò le spire davanti al caminetto. Ma stavolta Ender non lo schiacciò sotto i piedi. Stavolta allungò le mani a prenderlo, gli si inginocchiò davanti, e dolcemente, molto dolcemente attirò la bocca scagliosa del rettile alle sue labbra.

E lo baciò.

Non aveva avuto intenzione di farlo. Voleva lasciare che il serpente lo mordesse sulla bocca. O forse aveva inconsciamente desiderato mangiarlo vivo, come il Peter dello specchio doveva aver fatto col rettile la cui coda sanguinante gli emergeva pendula dalle labbra. Invece lo aveva baciato.

E fra le sue mani il corpo del serpente s’ingrossò, assumendo un’altra forma. Le sue sembianze si fecero umane, femminili. Era Valentine, e la sorella gli restituì il bacio.

Il serpente non poteva essere Valentine. Lo aveva ucciso troppe volte perché ora si rivelasse per sua sorella. Era insopportabile!

Era questo che volevano ottenere quando gli avevano fatto leggere la lettere di Valentine? Non che gliene importasse molto.

Lei si alzò dal pavimento della stanza della torre e si mosse verso lo specchio. Ender fece alzare anche la sua figura e la affiancò. Si fermarono davanti allo specchio, dove al posto dell’orrido riflesso di Peter c’erano ora un drago e un unicorno. Ender tese una mano e toccò il cristallo: la parete cadde in polvere, rivelando la presenza di una grande scalinata che curvava verso il basso, fitta di personaggi che gridavano e acclamavano invitandoli festosamente a scendere. Tenendosi sotto braccio lui e Valentine s’avviarono giù per le scale. Ender aveva gli occhi pieni di lacrime per il sollievo d’aver infine trovato l’uscita da quella torre di pietra alla Fine del Mondo. E a causa delle lacrime non notò che ogni persona di quella folla eterogenea aveva la faccia di Peter. Riusciva soltanto a pensare che dovunque fosse andato in quel mondo Valentine sarebbe stata con lui.