Appena lo schermo si accese, tuttavia, ogni pensiero sull’esame svanì. Al centro di esso era comparso un messaggio:
L’orologio segnava le 2150, solo dieci minuti all’ora in cui spegnevano le luci. Da quanto tempo era arrivato il messaggio di Ender? Comunque fosse, non poteva ignorarlo. Poteva esserci un’altra battaglia il mattino dopo (il pensiero lo fece gemere) e di qualunque argomento Ender volesse parlargli la cosa andava fatta subito. Così Bean si trascinò giù dalla cuccetta e continuando a sospirare percorse i corridoi deserti fino alla camera di Ender. Bussò alla porta.
— Vieni dentro — fu invitato.
— Ho visto adesso il tuo messaggio.
— Bene — disse Ender.
— Fra poco spengono le luci.
— Ti aiuterò a ritrovare la strada al buio. OK?
— È solo che non so se sapevi che ore erano quando…
— Io so sempre che ore sono.
Bean si tenne in bocca il mugolio che avrebbe voluto emettere. Erano alle solite. Qualunque conversazione avesse con Ender, sempre si tornava su quel tasto. Quello che Bean odiava. Lui era pur capace di riconoscere la genialità di Ender, e per questo lo stimava. Perché Ender non riusciva mai a vedere niente di buono in lui?
— Ricordi quattro settimane fa, Bean? Quando mi hai chiesto di diventare capobranco?
— Uh-uh.
— Io ho nominato cinque capibranco e cinque vice, da allora. E nessuno di loro sei tu. — Ender inarcò un sopracciglio. — Ho sbagliato?
— Nossignore.
— Secondo te, come ti sei comportato in queste otto battaglie?
— Oggi mi hanno disabilitato per la prima volta, ma il computer mi ha assegnato undici avversali congelati prima che mi colpissero. Non ne ho mai messi fuori gioco meno di cinque, in ogni battaglia. E ho sempre portato a termine la manovra che mi era stata assegnata.
— Perché ti hanno preso a fare il soldato così giovane, Bean?
— Non più giovane di quel che eri tu.
— Sì, ma perché?
— Non lo so.
— Lo sai, invece, come lo so io.
— Ho tentato d’immaginarlo, ma sono solo ipotesi. Tu sei… molto bravo. Loro lo sapevano, e sapevano che dandoti qualche spinta…
— Dimmi il perché, Bean.
— Perché hanno bisogno di noi, ecco perché. — Bean sedette sul pavimento e fissò i piedi di Ender. — Perché hanno bisogno di qualcuno che sconfigga gli Scorpioni. Questa è l’unica cosa che a loro importa.
— È necessario che tu lo sappia, Bean. Perché in questa scuola molti ragazzi pensano che le battaglie in sala siano importanti di per sé, mentre non è così. Servono ad aiutarli a trovare ragazzi che possano essere avviati a posti di comando, nella guerra vera. In quanto alle gare, le renderanno più dure. Stanno dando un giro di vite al sistema.
— Divertente. Credevo che lo stessero dando a noi.
— La prima battaglia di un’orda, nove settimane in anticipo. Poi una battaglia al giorno. E adesso due nello stesso giorno. Bean, io non so cosa stiano facendo gli insegnanti, ma la mia orda è stanca, io comincio a essere stanco, e a loro sembra che non importi neppure che le gare abbiano un regolamento. Ho cercato nel computer le registrazioni più vecchie: nessuno ha mai vinto tanto e con tante poche perdite, fin da quando esistono le gare di battaglia.
— Tu sei il migliore, Ender.
Lui scosse il capo. — Forse. Ma non è per caso che mi hanno dato i soldati di cui dispongo. Novellini, scarti di altre orde, ma falli lavorare insieme e il peggiore di loro potrebbe essere un ottimo capobranco in qualunque orda. Fin’ora s’erano limitati a rendermi dura la vita, ma adesso stanno indurendo tutto il sistema contro di me. Bean, vogliono spezzarci la schiena.
— Non possono spezzare te.
— Ti sorprenderebbe, se ci riuscissero? — Ender emise un sospiro secco, a denti stretti, come a un’improvvisa fitta di dolore. Bean scrutò il suo volto e s’accorse che l’impossibile stava accadendo: lungi dal perseguitarlo ed esasperarlo, Ender Wiggin si stava confidando con lui. Non molto. Ma un po’ sì. Ender era un essere umano, e a lui veniva concesso di saperlo.
— Forse ne saresti sorpreso tu — disse Bean.
— C’è un limite alle idee nuove o intelligenti che io posso tirar fuori ogni giorno. Qualcuno può sempre rivolgere contro di me stratagemmi che non ho mai neppure lontanamente immaginato, e allora non saprei come fronteggiarli.
— Il peggio che può succederti è che avrai perso una battaglia.
— Il peggio che può succedermi è proprio questo. Io non posso perdere nessuna battaglia. Perché se perdessi…
Tacque, senza spiegarsi meglio e Bean non fece domande.
— Ho bisogno che tu faccia lavorare il cervello, Bean. Voglio che tu pensi alla soluzione di problemi che ancora non ci siamo mai trovati di fronte. Voglio che tu tenti cose che nessuno ha mai tentato perché sono assolutamente stupide.
— Perché io?
— Perché anche se nell’orda dei Draghi ci sono alcuni soldati migliori di te… non molti, ma alcuni sì… non c’è nessuno che riesca a pensare meglio e più in fretta di te. — Bean non disse niente. Entrambi sapevano che era vero.
Ender gli indicò lo schermo del suo banco. Su di esso c’erano dodici nomi di ragazzi dell’orda. — Scegli cinque di questi — disse. — Uno da ogni branco. Saranno una squadra speciale, e tu li addestrerai. Solo durante gli allenamenti extra della sera. Mi farai un rapporto sulle cose che insegnerai loro. Non dedicare troppo tempo a ciascuna di queste cose. Per tutto il resto dell’orario di lavoro, tu e la tua squadra tornerete a far parte dell’orda, ciascuno col suo branco. Ma in battaglia, quando ci sarà qualcosa che soltanto tu e i tuoi potrete fare, sarete la mia squadra speciale.
— Questi sono tutti giovani — disse Bean. — Nessun veterano.
— Dopo quest’ultima settimana, Bean, tutti i nostri soldati sono veterani. Non ti sei accorto che nella classifica dell’efficienza individuale tutti e quaranta i nostri soldati sono fra i primi cinquanta? E che devi scendere al diciassettesimo posto per trovarne uno che non sia un Drago?
— E se non riuscissi a pensare a niente?
— Allora mi sarò sbagliato su di te.
Bean sogghignò. — Non ti sei sbagliato.
Le luci si spensero.
— Saprai ritrovare la strada al buio, Bean?
— Facile che domani mi trovino addormentato in qualche corridoio.
— Allora resta qui. E se terrai gli orecchi aperti potrai sentire la buona fata che stanotte passerà a lasciarci il nostro solito regalo quotidiano.
— Diavolo, non vorranno farci combattere anche domattina… o sì?
Ender non rispose. Bean lo sentì distendersi sul letto. A tentoni estrasse dalla parete la cuccetta di riserva e si sdraiò anch’egli. Prima che il sonno avesse la meglio riuscì a pensare a una dozzina di nuove idee. Ender ne sarebbe stato compiaciuto: ognuna di esse era stupida.
CAPITOLO DODICESIMO
BONZO
— Prego, si sieda, generale Pace. Mi pare d’aver capito che lei sia venuto a parlarmi di un argomento ritenuto urgente.
— Proprio così. Fino ad oggi, colonnello Graff, mi sono fatto un dovere di non interferire con l’andamento interno della Scuola di Guerra. Le è stata garantita l’autonomia, e malgrado la nostra differenza di grado sono conscio di nn poterle ordinare certe precauzioni, ma solo di consigliarle.